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Un blog creato da Secondaprospettiva il 06/11/2009

TeatrodiFollia

...con ancora in bocca il sapore di una gustosa caramella al lampone.

 
 

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La terra sotto ai piedi

Post n°4 pubblicato il 18 Febbraio 2010 da Secondaprospettiva
Foto di Secondaprospettiva

Aveva sempre avuto una paura fottuta di volare. Lo aveva letto cento volte che la probabilità di morire a causa di un guasto aereo era notevolmente minore del rischio che correva mettendosi alla guida della sua Lancia Y vecchio modello, ogni mattina per andare al lavoro. Non bastava. Il fatto di non capire come quell’apparecchio che pesava tonnellate riuscisse a librarsi nell’aria proprio la terrorizzava. E poi a che cavolo poteva mai servire quel maledetto salvagente posto sotto al sedile, una volta che l’aereo in picchiata andava a schiantarsi al suolo a Brooklyn? –Stronzate,- pensava – Tutte stronzate-. Continuava ad avere una paura fottuta di volare. Neppure lei sapeva per quale motivo aveva preso quel volo per Parigi. Di Febbraio poi. Con quel freddo. Non ne conosceva il motivo, Emma aveva trovato un biglietto aereo a suo nome, tra lo stipite e la porta, quella sera al rientro dalla serata brava con la sua amica.

Prese la busta sospetta tra le mani e dentro, oltre alla prenotazione di volo prevista per il 14 Febbraio alle ore 9:00 a.m. un messaggio: “Ti aspetto alle ore 12:00 ai piedi dell’Arco di Trionfo”.

Abbassò gli occhi sul polso destro, il datario del suo Festina diceva ormai 13-02, ormai perché erano le due del mattino. –Cavolo ma il 14 Febbraio è domani – Aveva solo 24 ore per prepararsi. Sorrise quando finalmente realizzò che non sapeva chi aveva messo lì quella busta, quando rifletté sul fatto che non sapeva perché e soprattutto cosa doveva andare a fare a Parigi, e nonostante tutto il suo primo pensiero era stato quello che mancavano solo 24 ore.

CP

 
 
 

ARIA FRESCA

Post n°3 pubblicato il 18 Dicembre 2009 da Secondaprospettiva
Foto di Secondaprospettiva

 

Prese una Marlboro dal pacchetto quasi finito. Dove cavolo era l’accendino? Certi oggetti hanno il potere di sparire quando li cerchi. Ah, no, eccolo, ce l’aveva in tasca. Il solito distratto. E il posacenere? Maledizione. Era incazzato nero, doveva fumare. Non che l’incazzatura sarebbe passata, ma almeno poteva dire di aver fatto il possibile. Finalmente lo trovò: sopra l’acquario. Come cavolo era finito lì? Non aveva alcuna importanza.

Fissava lo schermo, guardando fotografie. Attimi di felicità. Molte erano sfocate, mosse, buie. Amava le fotografie, la loro capacità di costruire un’ Immagine, un Istante. Molto meglio di un video: il movimento toglie qualunque mistero, il suono non può che essere una copia malriuscita di un rumore, di una voce, di una risata. In una foto invece puoi perderti, tanto a lungo quanto desideri, osservare dettagli che prima avevi trascurato. Con le foto sei tu e loro. Nessun altro. E la cosa che lo intrigava di più era che intorno ad una foto non c’è nulla, può passare il tempo, tutto può cambiare, e lei resta lì, uguale a sé stessa. Non ci sono catene a ciò che una foto rappresenta. La foto è lei, e basta. Non deve rispondere a nessuno, né ad amicizie finite, né ad amori consumati, né tantomeno alle mutazioni che lo scorrere del tempo necessariamente, prepotentemente, porta con sé. La foto è una sfida alle leggi della fisica.

Telefono. Era la società del gas. Risultavano delle incongruenze nelle letture del mese scorso. Problemi tecnici legati ai nuovi contatori elettronici. Tecnologia utile. Comunque nei giorni successivi avrebbe dovuto attendere gli addetti che avrebbero provveduto alla manutenzione. Avrebbe buttato una mattinata di lavoro. Molto bene. Ci voleva un’altra sigaretta. Era l’ultima.

La guardava sorridere. Mentre dietro di lei il mare faceva di tutto per bagnarli. Quella foto gliel’aveva scattata in un pomeriggio di novembre, pareva che in tutta Ostia non ci fossero che loro. Le località di mare avevano il grande vantaggio - che lui amava - di sembrare disabitate nei mesi invernali. Quelle spiagge deserte, fino a qualche mese prima affollate al limite delle loro capacità - della loro pazienza - ti illudono di essere tue, di volere solo te. Le spiagge d’inverno sono splendide prostitute giapponesi. Era stato il periodo più bello della sua vita. Un bel giorno era comparsa, tutto qui. La loro storia non aveva seguito un “iter”, come sempre succedeva. Era nata e basta. Parlavano come due amici che ricordano i tempi passati, intimi e complici. Come se si stessero raccontando le storie della propria vita, ma essendosi già conosciuti in una vita passata. E amati. Non riusciva a ricordarsi di un momento in cui loro non erano ancora Loro. E questo fatto lo affascinava più di ogni altra cosa, più di quanto non lo avesse affascinato chiunque altro prima di lei. Ogni cosa che facessero insieme era come una conseguenza diretta di ciò che erano. Se avvicini il fuoco alla benzina, la benzina esplode. Se ti tagli, senti dolore. Fin dall’inizio ogni cosa era stata normale, e tutto ciò era straordinario.

Di nuovo quelli del piano di sopra. Coppietta di sposini, trasferiti da un mese nell’appartamento sopra il suo. Sembrava che non avessero la televisione, ogni sera la stessa storia. Il condominio era di moderna concezione. Materiali nuovi, ottima resistenza, erano stati possibili grossi risparmi di denaro. Il risultato concreto era che i pavimenti sembravano fogli di carta, così come le pareti. La conseguenza del risultato concreto era che, in questo momento, sentiva le molle del letto cigolare come se ci fosse seduto sopra.

Telefono di nuovo. Stavolta, la coscienza sporca fa brutti scherzi, non fu sorpreso di sentire la voce del suo capo, che lo esortava a migliorare la qualità del suo lavoro, che ultimamente lasciava a desiderare. “Dove hai la testa?”, diceva. Bella domanda.

Era già pronto ad aprire il secondo pacchetto di sigarette della giornata, quando squillò nuovamente il telefono. Era lei.

-         Sono già a Roma, ho anticipato di due giorni, sono arrivata ora in stazione.

-         Ti vengo a prendere.

Lasciò le sigarette sulla tastiera, prese le chiavi della macchina. Scese le scale a piedi, apri il portone. Per strada c’era aria fresca. Sorrise.

 

FP

 

 

 

 
 
 

Tributo all’autunno

Post n°2 pubblicato il 12 Novembre 2009 da Secondaprospettiva
Foto di Secondaprospettiva

Rimpiangere i tempi in cui era un germoglio? Non era da lei. Non lo aveva mai fatto, neppure quando gli improvvisi ed inaspettati acquazzoni d’Agosto l’avevano scossa tanto da rischiare di strapparla prematuramente dal suo ramo, dov’era nata e cresciuta. Ma adesso che aveva perduto il lucido del verde brillante che buona parte dell’anno l’aveva contraddistinta per bellezza; adesso che la clorofilla aveva lasciato il posto a tannini e flavonoidi che le conferivano una colorazione aranciata, e che si trovava lì, a terra, affianco al marciapiede. Adesso sì che rimpiangeva i tempi andati del calore tiepido di Maggio, del solleone di Agosto, della brezza di Settembre.

Dopo aver vissuto in alto, così in alto da poter salutare gli uccelli, così in alto da riuscire a vedere i cani scodinzolanti, i bambini schiamazzanti, le biciclette a zigzag, le teste bianche dei vecchi. Tutto il parco in un unico quadro d’insieme. Adesso si rendeva conto che la prospettiva da terra non era la stessa. Nuvole. Solo nuvole e cielo. Rischiava continuamente di essere calpestata da passanti frettolosi che: “ Diamine! Non guardano mai dove mettono i piedi”.

Era disperata, la sua vita non aveva più senso, aveva perso ogni speranza. Quando una mattina tutto cambiò.

Sembrava stesse sul punto di piovere, si sentì sollevare da terra e si trovò di fronte a due piccoli occhi marroni, che all’inizio scambiò per le sue amiche castagne. “Mamma, questa sì che è bella!”. Nel giro di poco si ritrovò appesa ad un muro insieme ad amiche e vicine d’albero anche di altra specie. Ammirata da genitori orgogliosi e maestri soddisfatti, su un cartellone giallo dal titolo: TRIBUTO ALL’AUTUNNO.

CP  

 
 
 

Cubalibre

Post n°1 pubblicato il 06 Novembre 2009 da Secondaprospettiva
Foto di Secondaprospettiva

Probabilmente il quarto cocktail è stato un azzardo eccessivo. Probabilmente la ragazza che si sta strusciando su ciò che di più caro possiedo non è così attraente come sembra adesso, adesso che ne scorgo a malapena il volto. Domattina me ne pentirò. E probabilmente, oltre al pentimento per essermi portato a casa questa specie di trolley da volo intercontinentale - perché lo farò - avrò anche un sacrosanto mal di stomaco. Ma va bene così. Dio ha inventato il Maalox proprio per questo. L’alcol è uno stato d’animo, una disposizione dello spirito. Così come l’euforia, al pari della tristezza e della noia, dell’ansia e dell’esaltazione. Forse è la fusione di tutto questo, o forse no. No, lo è certamente, e non ne farò a meno in nome di un cinico quanto semplicistico parere medico. Fa male e ne prendo atto, pazienza. E poi in fondo la ragazza non è così male. Ha due belle tette, sembra ben fatta. Arrivo a questa conclusione con la poca e annebbiata percettività che mi resta, magari affidandomi alla pancia più che al cervello.

Il culo. Muove il culo come se risponda di vita propria, un’entità autocosciente. Una volta ho letto che alcuni dinosauri si erano evoluti sviluppando un cervello che si dedicasse esclusivamente al movimento della coda, che per loro aveva fondamentale importanza per la difesa. Essenziale come la loro corazza ed i loro artigli. Dietro ai movimenti di questo culo ci deve essere qualcosa di simile. Altrimenti non riesco a spiegarmi come possa volteggiarmi davanti con questa efficacia. Agisce come se non appartenga al resto del corpo, come se il resto del corpo della ragazza si trovi costretto a seguirne le vibrazioni, i sussulti, i ragionamenti; quasi svogliatamente, e senza troppa convinzione.

Un gran bel culo.

 

 

FP
 
 
 
 

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