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Attaccato al muro insieme all'ombra XLII

Post n°273 pubblicato il 07 Dicembre 2016 da deteriora_sequor







Ma nessuno si affacciava dal fondo della sala e il rumore dei passi
era solo quello degli addetti. Qualcosa mi faceva agitare dentro e
dalla fissa passività ero trascorso ai più cupi pensieri, non restavo
lì seduto simile ad un automa ma diventavo preda di un'irrequietezza
feroce chi mi portò ben presto ad alzarmi e a passeggiare nervoso
per il vasto locale. Ad un tratto udì un lievissimo cigolio nella porta
e la famigliola uscì fuori con il suo miserevole carico di ricordi e di
dolore. Era il mio turno. Ma la porta si richiuse. Tic burocratici, pensai,
e tornai a solcare il pavimento seguendo una linea invisibile. "Ma
perché non arriva?" Riflettei "Ci vuole così tanto per andare al cesso?
Si sarà perso in qualche meandro oscuro? Avrà avuto una crisi di
rigetto e ora sto vomitando nei bagni?" Tutto era possibile ma nulla
era facile. Quello che sentivo a livello epidermico era il bisogno folle
di quel disgraziato fratello, la sua presenza al mio fianco mentre
andavamo insieme a riconoscere nostro padre. E invece non appariva.
Guardavo demente le lancette dell'orologio che trascorrevano
implacabili, e alla fine venne il momento che mi convocarono
nell'obitorio propriamente detto. Tremai lievemente e i piedi si
incollarono al terreno per qualche istante, poi con uno sforzo supremo
mi misi in movimento ed entrai sbattendo vorticosamente le ciglia. Lì,
in quel gelido ed enorme stanzone ritrovai mio padre e lo salutai con
un bacio sulla fronte. Ero meravigliato di me stesso. Presi i suoi
effetti, salutai cortesemente e mi ritirai. Ora cosa mi restava da fare?
Ero stato tradito nel momento supremo dal mio fratellastro, nel quale
avevo riposto tante speranze, e ora ero davvero solo. Ma non poteva
finire così! più trascorrevano i secondi più si accelerava la mia camminata
verso i bagni dell'ospedale. Entrai ma non lo vidi in giro. Guardai sotto le
porte girevoli e vidi gambe divaricate di uomini impegnati a pisciare.
Solo sotto al cesso 14 vidi un fagotto con dei capelli riconoscibilissimi
e un braccio teso verso l'uscita. Mi misi a urlare e diedi un calcio
talmente forte da scheggiare il legno intorno alla serratura. Subito
accorse una marea di persone e di infermieri, arrivò subito anche un
energumeno con il necessario per scassinare la porta. Così fecero
molto rapidamente e apparve il corpo di mio fratello disteso al suolo
con ancora la siringa piantata nel braccio, e il cucchiaio annerito
dento al lavandino. Capii che stavo per svenire ma qualcosa di più
forte mi fece restare saldo mentre venivano portati i primi soccorsi.
Era una luce intensissima che rimbalzava dall'esterno sulle piastrelle
e mi diceva che il figliol prodigo era definitivamente tornato a casa.
Lì in quel cesso di ospedale ebbi la visione che Danilo si sarebbe
salvato anche a sé stesso e che saremmo tornati nel nostro nido.
Mentre osservavo da vicino i primi soccorsi sentivo le parole di
scandalo della gente, ma non mi toccavano. Ciò che contava era
che nella feccia stava avvenendo un miracolo e che, mentre correvo
dietro alla barella verso la sala rianimazione, un sorriso di conforto
si allargava da un orecchio all'altro. Invece della paura vivevo nel
sollievo. Con uno scatto poderoso superai tutta la squadra di
emergenza e sfiorai con le dita la mano bianconera di Danilo.
Poi venni travolto e caddi al suolo. Quando mi riebbi stavo su una
sedia a rotelle e i medici mi parlavano. Io avevo perso i sensi ma
mio fratello ce l'avrebbe fatta. Così, mi dicevano battendomi sulle
spalle: mio fratello l'avrebbe scampata. E Io con lui, pensai. Io con
Lui.






(Fine)








 
 
 

Attaccato al muro insieme all'ombra XLI

Post n°272 pubblicato il 02 Dicembre 2016 da deteriora_sequor






Feci appena in tempo a vederlo prendere la strada della toilette che
Io ero già sulla ben nota e riconoscibile via per l'obitorio. La testa
mi girava forsennatamente e le gambe mi reggevano a malapena, ma
sapevo di dovere resistere per mio padre, per mia madre, per Danilo.
Attraversai corridoi asettici e ogni tanto incontravo qualche coppia, o
più persone che si sorreggevano stravolte dal dolore. Avevo pianto
durante quella terribile cavalcata insieme alla pena? Non lo ricordavo
più. Adesso mi sembrava di avere del marmo al posto delle guance
dove ogni tanto si posava l'umida carezza di una lacrima. Ma nulla
di diverso. Era come se il lutto continuo mi avesse cristallizzato e
scolpito con cura, mi muovevo simile a un automa; ero cosciente
che ci sarebbero voluti anni per metabolizzare quello che stavo
sperimentando in pochi minuti. Il cammino era lungo e mi permetteva
di sentire con chiarezza la congerie di pensieri che si agitava nel
 cervello, sbattendo contro le pareti craniche. Non v'era un nesso,
un filo logico: ogni tanto canticchiavo tra me e me e subito un pensiero
molesto si insinuava con visioni di ferrovie, di uomini e donne in un
letto, di bambini che giocavano nei prati. Solo dopo un quarto d'ora mi
accorsi di avere sbagliato direzione e di essere finito nel reparto di
cardiologia. Un'addetta mi accompagnò dolcemente sulla giusta strada
e tornai a procedere con i ricordi e i pensieri che non la smettevano
di straziarmi e di confondermi. Fu quando le mie gambe stavano
rifiutando di reggermi oltre che giunsi davanti alla morgue. Mi sorprese
di trovare una famiglia intera ad attendere il proprio turno, e la cosa
mi indispose. La morte non metteva la freccia e non aveva diritto di
precedenza. Mi avrebbero sentito allo sportello reclami! Vi sono attimi
in cui non si può abbandonarsi come sempre alla burocrazia ospedaliera,
oppure era una cosa normalissima ed ero solo Io a stare sclerando?
Pensai a Danilo, che forse in quel momento stava seguendo le mie
tracce verso l'estremo saluto a nostro padre. Provai un senso di
vertigine e mi sedetti su un pancaccio. La famiglia di fronte a me
restava in piedi e non smetteva di singhiozzare. Pensai a chi
avessero perduto: un figlio? Una nonna? Il mondo fuori dagli
altissimi finestroni sembrava sbarrato e nulla trapelava delle piccole,
allegre gioie, delle partite a pallone, dei videogiochi elettronici, delle
scopate, dell'alacre lavoro dei dipendenti di tutte le ditte del mondo.
Sentivo montarmi la rabbia a rimpiazzare la confusione mentale
quando la famigliola venne invitata a entrare. Se tardavo ancora
un poco pensai che avrei avuto accesso con Danilo. Non doveva
essere molto lontano, a meno che non si stesse perdendo fra
oncologia e neuropsichiatria infantile. Accavallai le gambe e mi
lisciai la riga dei pantaloni per non assopirmi. L'unica cosa che mi
risultava perfettamente chiara era che fossi completamente solo
in un mondo dove non esisteva il minimo rumore e le pareti erano
affrescate di bianco e di sbavature di azzurro. Suggerivano il cielo?
Forse questo era l'intento ma Io allungavo il collo verso i corridoi
nell'attesa della venuta del mio fratellastro.






(Continua)








 
 
 

Attaccato al muro insieme all'ombra XL

Post n°271 pubblicato il 28 Novembre 2016 da deteriora_sequor







Di nuovo montammo sulla mia utilitaria, ma appena installati un
brivido fortissimo mi percorse tutto lasciandomi con la bocca
spalancata ad arrancare per un po' d'aria. Danilo era immobile
al mio fianco e sembrava ibernato in una posizione di attesa.
La mano destra mi tremava talmente che non riuscivo ad
inserire la chiave nel sistema di accensione. Eravamo come
due statue di ghiaccio incapaci di un qualsiasi gesto che fosse
conseguente a un pensiero. "Danilo..." mormorai battendo i
denti "Fai qualcosa." Tremando vistosamente lui mi disse:
"Forse potrei provare a guidare Io." "Se te la senti..." Aprii la
portiera e scesi portandomi all'altro capo della macchina
mentre il mio fratellastro si spostava al posto del guidatore.
Compresi immediatamente che avevamo mutato posizione
ma il risultato era lo stesso. Anche Danilo tentava di beccare
lo spinotto di accensione ma non vi riusciva per l'eccessivo
tremolio. Eravamo bloccati. "Che ci sta pigliando? non possiamo
restare congelati su questo catorcio vita natural durante." "Forse
è meglio prendere il bus." Suggerì lui. "Prima dobbiamo riacquistare
la funzionalità delle nostre membra." Fu in quel momento che squillò
il mio cellulare con la notizia che papà era appena spirato. Lo dissi
a Danilo e lui in quel momento fece girare la chiave e accese il
motore in tutta tranquillità. Lo shock, invece di sconvolgerci
definitivamente, era riuscito a rompere la diga entro cui ci eravamo
arenati. Gli diedi tutte le indicazioni per raggiungere l'ospedale
tanto più che erano sei anni che non guidava. Evitammo di striscio
alcune fiancate e altrettanti marciapiedi, saltammo due stop ed
evitammo all'ultimo momento un senso unico. Finché giungemmo
alla meta e parcheggiammo in modo improbabile nello spicchio
orientale del posto. Scendemmo e ci guardammo. Mi vidi riflesso
con un pallore mortale nella faccia del mio fratellastro e la secchezza
dell'aria era anche la nostra. L'aridità di chi sta perdendo i pezzi ma
non riesce ad arrendersi. "Chiudi l'auto." Dissi, e la frigidità del mio
tono riuscì ancora a meravigliarmi. "E adesso? Non riesco a tornare
in quella dannata morgue." "Abbiamo smarrito tutto, cerchiamo di
mantenere almeno la dignità. Hai ancora intenzione di andartene?"
Mormorai sommessamente. "Non credo. Dove potrei andare? In
Comunità non mi vogliono più, per loro sono guarito e debbo cercare
il mio posto nella vita, e poi..." "E poi cosa? Non te la senti di lasciarmi
solo. Ti senti in debito? Guarda che non è questo il problema. Non
devi avere sensi di colpa nei miei confronti." "Non è questione...Ma
avevo immaginato le cose diversamente." "Pensavi di essere accettato
tranquillamente in famiglia? Così purtroppo non è stato. Il giocattolo si
è rotto. Adesso tentiamo di riconoscere nostro padre e di portare via
i suoi ricordi. è un ultimo sforzo che ti chiedo, Danilo." "Lasciami andare
in bagno a rimettermi in sesto, poi ti raggiungo all'obitorio, ok?" Annuii
poco convinto e gli sussurrai di non perdere troppo tempo, che nemmeno Io
ero una macchina e avevo bisogno di un sostegno. Lo guardai ciondolare
verso l'ingresso del nosocomio, poi, dopo un tempo che mi parve eterno
mi decisi a seguirlo per prendere, una volta, trascorse le porte scorrevoli,
un'altra direzione.






(Continua)









 
 
 

Attaccato al muro insieme all'ombra XXXIX

Post n°270 pubblicato il 22 Novembre 2016 da deteriora_sequor







Ci dissero che nostro padre s'era ulteriormente aggravato e che
gli era stata amministrata l'estrema unzione. Ci chiesero se
potevamo essere presenti prima che avvenisse l'irreparabile
e Io dissi di sì. Poi misero giù e anch'Io appoggiai la cornetta.
"Sentito?" Feci a Danilo. Lui aggiunse: "Non so se riuscirò a
reggere tutto questo. Dovrò tornare al metadone. dovrò tornare
in comunità, dovrò abbandonare tutte le mie speranze." "Perché?"
Feci, scrollandolo pesantemente. "Mia madre se n'è andata, tuo
papà sta per seguirla, ma restiamo noi due. Questo è l'essenziale,
ricorda che siamo fratelli e che nessuno può togliercelo, nemmeno
Dio quando deciderà di chiamarci presso di Lui." Danilo annuì mesta
mente e mugugnò: "Sono distrutto. Tutta la notte a camminare. Ho
paura che i miei nervi cedano all'improvviso." "Non te lo puoi per
mettere, tanto meno ora. Dobbiamo avere una benedizione da
nostro padre. Ci deve indicare la strada." "Non lo potrà fare" Esplose
mio fratello "Ormai è un cadavere." E piombò sulla poltrona in un
diluvio di lacrime. Dentro di me combattevano lo stupore di vederlo
in quello stato e l'angoscia che mi lasciasse solo ad affrontare la vita.
Seriamente, non potevo permettermelo. Lo tenevo in ostaggio, mi
aggrappavo con le unghie e con i denti a un uomo che era stato un
tossico e una personalità fragilissima pur di non navigare al buio
fra i marosi e gli scogli dell'esistenza. "Non cedere" dicevo a me
stesso mentre lo osservavo regredire a uno stato embrionale di
confusione e afasia. Mi versai un sorso di brandy e lo feci fuori
d'un sorso. Poi gli tornai vicino e cominciai a studiarlo come fa
l'entomologo con la farfalla. "Il tempo è poco" Sussurrai "Potrebbe
essere troppo tardi ogni minuto che passa. Ti trascino Io, non
avere paura." Lo afferrai per un braccio ma lui si ribellò e ritrasse
l'arto. Allora, preso da un'ira irrefrenabile, lo schiaffeggiai più volte,
ma era come carezzare un sasso. Esausto mi gettai sul canapè,
incrociando le braccia. "Va bene." Fece lui dopo qualche minuto,
e si alzò squassato e tremante. "Portami da Luigi." Con un balzo
gli ero già a fianco e lo sostenevo nei passi incerti verso l'uscita.
Riuscivo a capirlo: era in pezzi, per la stanchezza fisica e per la 
tensione nervosa. Io, al contrario, ero come attraversato da una
corrente elettrica, come se un fulmine mi stesse sezionando da
capo a piedi. Dovevo avere una figura impressionante, mi pareva
di non riuscire a sbattere le palpebre e la mano che imprigionava
il braccio di Danilo tremava. Lo stavo letteralmente trascinando
verso l'ascensore e ve lo ficcai dentro seguendolo immediatamente.
Giungemmo a pianoterra e incrociammo la signora Vergani che
stava aspettando. Appena si spalancarono le porte scorrevoli lei
diede un balzo all'indietro e soffocò un urletto. La sconvolgemmo
ma non trovai nulla per giustificare il nostro stato. Io, sempre
amabile e ruffiano, non la salutai nemmeno e spinsi il mio vampiro
avanti a me, fuori, fino al sole che era spuntato all'improvviso.






(Continua)








 
 
 

Attaccato al muro insieme all'ombra XXXVIII

Post n°268 pubblicato il 17 Novembre 2016 da deteriora_sequor








"Vai a riposare." Gli dissi "è tutta la notte che sei in giro. Devi
recuperare un po' di energia. Secondo me sei a pezzi." "Non
quanto immagini" Mi rispose asciutto. "Ho avuto modo di
riflettere parecchio in queste ore e mi sono reso conto che
sto invadendo la tua vita con brutalità e ingiustizia. è saggio,
Simone, che mi tolga di mezzo, e mi cerchi una casa, una vita,
una professione che non pesino sulla tua persona. Penso di
avere combinato guai già a sufficienza ed è arrivato il momento
di mettere uno stop." Un brivido freddo mi percorse tutto il corpo
a quelle parole. L'idea di vederlo partire e abbandonarmi solo in
quella casa maledetta era sufficiente a sconvolgermi. "Non puoi
lasciarmi" Biascicai "Ormai siamo fratelli." Lui mi batté una mano
sulla spalla e mi sorrise: "Non è vero. Siamo nemici. Per qualche
strana ragione ho pensato che potessimo trovare un'armonia, e
così la pensava anche Luigi, ma abbiamo sbagliato entrambi. è
stato un errore irrompere nella tua famiglia e farla a pezzi, malgrado
non ci fosse da parte mia questa intenzione. Quella che doveva
essere una possibilità si è trasformata in un'ossessione che ha
trascinato nella morte tua madre e che sta portando nostro padre
al limite della resistenza umana. Che tu voglia crederci o no, non
c'era da parte di Luigi una malvagia rivalsa nel condurmi in casa
tua. Credeva seriamente di mettersi in pace con la sua coscienza
e di farsi perdonare i propri peccati. Voleva fare qualcosa di buono
della sua vita prima di andarsene, e fra queste cose buone c'ero
anch'Io. Magari la possibilità ti farà ridere ma lui credeva profonda
mente nella bellezza dell'avere amato Elisa, mia madre, e di avere
avuto un figlio da lei. Non v'era nulla di perverso in tutto ciò: era
un sentimento puro e candido." Io restai immobile mentre lui si
stava avviando verso l'ingresso con il suo minuscolo zaino da
viaggio. Poi feci una corsa di una diecina di metri e gli saltai
sulla schiena con un ruggito. "Tu non puoi lasciarmi...non adesso
...Tu non puoi lasciarmi..." Ripetevo come inebetito mentre lo
prendevo a cazzotti nei fianchi. Lui si difendeva in qualche modo
ma era travolto dalla mia febbre desolante e non se la sentiva di
reagire. Rotolammo insieme per terra e ci avviluppammo per
diversi minuti finché restammo ansanti e senza forze sul pavimento
scambiandoci occhiate buie. Fu allora che risuonò il telefono di casa.
Com'era successo con mia madre il ring mi trapassò le orecchie
e mi fece drizzare i peli sulle braccia mentre tentavo, senza
successo, di rimettermi in piedi e di correre verso l'apparecchio.
Danilo mi aiutò a sollevarmi e insieme, più lentamente di quanto
avevo immaginato, ci portammo al ricevitore appoggiandoci l'uno
alle spalle dell'altro.







(Continua)








 
 
 

Attaccato al muro insieme all'ombra XXXVII

Post n°267 pubblicato il 12 Novembre 2016 da deteriora_sequor








"Non intendevo ferirti" Mi disse "Il problema stava nel fatto che eri fuori
controllo e, di questo mi assumo tutte le responsabilità, non ho ragionato
sulla potenza di quel dannato farmaco. Ma questo dimostra, comunque,
che sei un puro, una persona che non ha mai abusato di neurolettici o
roba affine." "Per scoprirlo era proprio necessario farmi quello scherzo?"
"Non era una vigliaccata, te lo giuro! Come affrontare la...morte di una
madre? Ho ricordato la mia pena e ho pensato che stordirti per qualche
ora fosse la soluzione migliore per te. Ma ho sbagliato, Benedetto Iddio
se ho sbagliato!" Sollevai la testa, poi tutto il busto e mi sedetti sulla
sponda del divano: "Come sei arrivato a casa?" Danilo sorrise amara
mente e biascicò: "Ho preso un autobus che mi ha portato completamente
fuori zona. Da allora era troppo tardi e me la sono fatta tutta a piedi. Non
ricordavo l'esatta disposizione delle strade e quella della nostra via. Per
fortuna un tizio che girava con il cane mi ha aiutato." Riflettei assorto lungo
un paio di minuti e poi lo fissai: "Cristo Santo, dall'ospedale all'altro capo
della città e poi a piedi fino a qui! Ti ho giocato davvero un brutto tiro."
Il mio fratellastro non rispose subito. Si limitò a ricambiare il mio sguardo
e poi emise un leggero sospiro: "Me lo sono meritato. Ti ho cacciato dalla
stanza di nostro padre e poi non ho fatto nulla per impedire che gli
infermieri ti buttassero nel parcheggio. In quel momento mi sono
spaventato di me stesso." Mi alzai in piedi scrollandomi la giacca di
dosso. Poi camminai sino alla finestra, guardai il gigantesco pendolo:
erano le sei del mattino. Continuava a piovere. "Sai cosa penso: che
ti abbia fatto bene dare fondo al barilotto dell'odio. Lo so, ci sono degli
istanti in cui vorresti uccidermi, eliminarmi dalla tua vista, massacrarmi.
Quando mi hai cacciato dalla stanza di nostro padre lo hai fatto con
piacere, anzi era una rivincita molle rispetto a quello che il tuo subconscio
avrebbe voluto. Però lo hai fatto e ti sei sentito bene. Io penso, Danilo,
che stai reprimendo tutti i tuoi istinti con le cazzate della comunità di
recupero. In un certo senso l'odio nei miei confronti ti sta riportando
alla vita; quella vera. Posso sbagliarmi, però..." "Lui ebbe un moto di
orrore sul viso, come il guizzo di una lucertola, ma poi si ricompose
immediatamente e i lineamenti si distesero nella solita, angelica,
annosa espressione: "Volevo solo difendere mio padre dalle tue
brutte parole, dalle tue considerazioni. Il nozinan aveva liberato
tutta la rabbia repressa (come se non avessi fatto abbastanza)
e ha illuminato con una specie di torcia elettrica anche gli angoli più
celati. Non doveva restare nulla di incompiuto o di abbozzato. Volevi
uccidere moralmente Luigi." Questa volta toccò a me un moto di
disgusto e pena ad attraversarmi la faccia. E del resto poteva essere
vero: ricordavo una specie di ubriacatura e di folle orgoglio. Forse,
avessi avuto la possibilità di restare solo con papà, gli avrei staccato
tutti i macchinari che lo tenevano in vita. Era possibile una simile
antipatia, a confinare con il disprezzo, per giungere all'omicidio?
Amavo mia madre sopra ogni cosa - questo era vero - ma poteva
tutto ciò tradursi nella crudeltà, raffinata e premeditata, verso l'uomo
che aveva riversato il suo seme dentro la donna per offrirmi la Vita?







(Continua)










 
 
 

Attaccato al muro insieme all'ombra XXXVI

Post n°266 pubblicato il 07 Novembre 2016 da deteriora_sequor

 









Mi ripulii lo sporco dell'asfalto e tentai di mantenermi eretto mentre
cercavo la mia automobile in mezzo alle poche che erano rimaste.
Avevo le gambe come bambagia e delle nuvole fitte ficcate proprio
dentro al cervello. Tentavo di orientarmi ma oscillavo e impiegavo
troppo tempo a fare pochi passi. Al termine, dopo un tempo indefinito,
toccai la carrozzeria della mia automobile e mi ci aggrappai, stremato.
Salì al posto del guidatore e rimasi per qualche attimo intirizzito e
stravolto. Il pensiero di Danilo che mi cacciava dalla stanza di mio
padre mi faceva ribollire il sangue, così come il trattamento che avevo
ricevuto da parte del personale infermieristico. Girai la chiavetta di
accensione e misi in moto pur non sentendomi fisicamente in grado
di condurre il mezzo. Ma l'importante era lasciare il mio fratellastro
a piedi. In qualche maniera riuscì a distinguere il dedalo di viuzze che
portava fuori dalla clinica e mi avviai, poi, su strade più ampie e
percorribili. La sedazione non riusciva ad arrestare il bruciore
dell'umiliazione subita e mi conduceva verso casa lasciando alle
spalle Danilo, che avrebbe penato non poco per trovare un bus che lo
lasciasse dalle mie parti. Era una vendetta forse stupida ma molto
appagante e mi sentivo incendiare dall'eccitazione per la rivalsa sul
fratellastro che mi aveva trattato come una fastidiosa zanzara sul viso
del padre. L'avrei ripagato con la stessa moneta e avrei messo in
chiaro i rapporti gerarchici all'interno della casa. Quello era l'appartamento
dei miei genitori e lui era solo un ospite tollerato a malapena. Non aveva
nessun diritto di alzare la cresta. Con l'incombere del buio parcheggiai
sotto casa e salì le scale. La sedazione si stava attenuando e mi chiesi
se tanto dello spirito angelico di Danilo non fosse dovuto alle pastiglie
che ingurgitava. Avevo sperimentato sulla mia pelle la potenza di quel
concentrato chimico e la sua resistenza al trascorrere delle ore. Entrai
e non accesi le luci; mi ricordavano l'obitorio dove mia madre stava ora
a riposare in una delle cellette apposite. Le luci violente sono fatte apposta
per scassare il cervello e dislocare la riconoscibilità dei luoghi e dei
sentimenti. Entri in posti simili come un pezzo di ghiaccio ed esci pezzo di
metallo. Così a tentoni trovai il divano e mi raggomitolai alla ricerca di un
atollo dal quale potessi vedere il mare della disgrazia che mi circondava.
Ebbi comunque un'illuminazione e andai a prendere il mozzicone di una
candela. Lo misi in sicurezza e accesi. Così come il suono della sveglia
anche l'odore della cera mi riportava a una sensazione di serenità e
sicurezza. Fissavo rapito le ombre che il mozzicone disegnava sul muro,
oscillando fra brutte grinte e visioni infantili pacifiche e affettuose, poi mi
incantavo a non staccarmi dalla fiammella, che sorgeva impetuosa sotto
i miei occhi e rifletteva un mare galattico in fiamme, un universo fatto
ancora di sogni e incubi da decenne. Mi gettai addosso il giaccone sul
divano mentre stavo appisolandomi. Danilo era lontanissimo. sotto una
pioggia che si era fatta nuovamente torrenziale, senza ombrello (entrambi
erano nel mio bagagliaio), sperso e spaurito. In quei precisi istanti mi
augurai che morisse, che venisse ingoiato dalla notte periferica e cadesse
in crisi di panico con conseguente infarto. Questo provai prima di svegliarmi
nel dolce mattino con la faccia del fratellastro a pochi centimetri dalla mia.








(Continua)








 
 
 

Attaccato al muro insieme all'ombra XXXV

Post n°265 pubblicato il 02 Novembre 2016 da deteriora_sequor








Giungemmo nel reparto rianimazione, che appariva come un bunker
sotto assedio. Continuo viavai di persone e di addetti in tonaca azzurra,
passaggio di Dottoroni con stuoli di servitù alle costole in attesa di una
sola parola chiarificatrice. Io e Danilo ci appiattimmo istintivamente
contro la parete bianca. Avremmo potuto fare serata in quel posto se
il mio fratellastro non avesse preso il coraggio a due mani e non si fosse
spostato in direzione dello sportello informazioni. Lo sentì farfugliare
qualcosa e ricevere più dinieghi che altro dall'impiegata. Il sangue
cominciava a bollirmi mentre l'effetto del nozinan mi sbarazzava delle
ultime inibizioni. Mi avvicinai. "Senta, nostro padre sta morendo per un
blocco renale e ci sarebbe gradito anche solo vederlo prima che tiri le
cuoia. Può farci il favore di essere così gentile da indicarci la direzione
della sua degenza?" Forse il fatto che le parole mi uscissero metalliche
dalla bocca ebbe un'impressione sulla donna che ci fornì le giuste tracce.
Così, come due derelitti (e Io ancora con gli effetti personali di mia madre
nel sacchetto trasparente) ci muovemmo stanchissimi verso la stanza in
cui era custodito Luigi. Percorremmo cinquanta metri e finalmente trovammo
la stanza II/C. Il vecchio era sotto la tenda ipobarica per complicazioni
respiratorie e una quantità spaventosa di cannule e flebo ne segnavano
il corpo magro e ossuto. Aveva gli occhi semichiusi e non dava la minima
impressione di riconoscerci mentre succhiava nervosamente il labbro
inferiore. Finalmente entrò un' infermiera che prese dei rilevamenti.
Luigi parve riaversi e, aprendo la bocca, prese a dilaniare una delle
cannule che gli foravano la gola. La donna gli disse di stare fermo mentre
Io scoppiavo a ridere istericamente. Danilo mi prese per la collottola e mi
sbatté fuori dalla porta. Era la prima volta che lo vedevo reagire a quel
modo, e in cuor mio ero soddisfatto di avergli fatto perdere le staffe.
Totalmente annebbiato dal nozinan mi sdraiai su un divanetto e cominciai
a sonnecchiare. Talvolta mi svegliavo di botto facevo lo sforzo per alzarmi
ma cadevo puntualmente di schiena con le palpebre pesantissime. Alla
fine sentì la porta della stanza II/C sbattere con un certo vigore e uscirne
l'infermiera a caccia di aiuti. fu seguita immediatamente da Danilo. "Il
vecchio si agita, vero? Testa dura come il sottoscritto." Ebbi il tempo di
dire mentre due robusti tirapiedi dell'ospedale mi prendevano per entrambe
le braccia e mi trascinavano verso l'ascensore. Poi schiacciavano il bottone
sino al pianoterra. MI trascinarono per le corsie di emergenza e poi mi
scagliarono senza tanti complimenti in mezzo al parcheggio. "Visite
concluse" Urlò uno dei due, forse il più spiritoso. Era sera e il buio
iniziava a incombere.







(Continua)










 
 
 

Attaccato al muro insieme all'ombra XXXIV

Post n°264 pubblicato il 28 Ottobre 2016 da deteriora_sequor

 








"è la tragedia!" Sentì dire Danilo "Lo ha colpito molto profondamente."
"Succede spesso" Rispose un addetto mentre mi facevano stendere
su un pancaccio con la mia giacca a sostenermi la testa e i piedi
sollevati. "Ha preso qualcosa? Un calmante?" Fece un altro degli
addetti. "Un nozinan intero" rispose il mio fratellastro "Ma non è
abituato. L'avevo visto stravolto e ho pensato che potesse renderlo
più tranquillo." "Bella idea." Udì in risposta "Gli tenga i piedi sollevati
finché si sentirà in grado di camminare. Il nozinan ha un'emivita
piuttosto lungo." Poi tornarono al loro lavoro chiudendo l'immenso
portone. "Lascia perdere. Ce la faccio a muovermi. Prendi, piuttosto,
gli effetti personali di mamma." Danilo fece come gli avevo detto e
ritornò da me con una busta trasparente parzialmente colma di oggetti.
La accarezzai senza avere il coraggio di aprirla. Poi, ancora intontito
mi misi seduto sospirando e risucchiando aria nei polmoni. " La prima
parte è fatta." Dissi scuotendo la testa "Ora andiamo a vedere morire
nostro padre." Non rammento lo sguardo che ebbi in risposta ma posso
immaginarlo: inebetito e stravolto. "Perché? ti aspetti un miglioramento?
è un blocco renale. Alla sua età. Sai cosa significa? Ebbene non starò
qui a spiegartelo ma porta diritto alla tomba." "è quello che ti aspetti,
Simone? Muoia Sansone con tutti i filistei? Il male porta peggio?
Lasciamo crepare anche la speranza? Vuoi vendicarti di Luigi?" Io
ero obnubilato e nebbioso. Il nozinan stava ancora pestando duro e
 affioravano dalla coscienza e dai suoi recessi cose indicibili. "Sono
molto provato, Danilo. E pessimista. Quando il sasso cede rotola fino
in fondo alla scarpata e porta con sé una frana." "Non dobbiamo
abbandonarci alla disperazione. Hai mai pregato?" "Fanculo! Non
mi metterò in ginocchio a pretendere pietà da chi ha fatto schiantare
mia mamma contro un treno. Fallo tu se ci tieni tanto." Tornai a sedermi
mentre il mio fratellastro si rifugiava in un angolo dell'immenso ospedale
e sprofondava in meditazione. Gli vedevo sussultare le spalle e la testa
andare avanti e indietro come fosse un fedele ebreo. Non potevo
immaginare dove avesse appreso quello strano modo di rivolgersi a
Dio. Passarono cinque minuti, forse ne passarono dieci, finché con la
voce ubriaca di farmaco lo arrestai brutalmente: "Ehi, Santa Teresa,
dobbiamo muoverci. Papà ci aspetta e chissà che gli rechiamo un po'
di luce e serenità per affrontare quel brutto momento." Danilo lesse
il sarcasmo nella mia tirata ma si limitò a staccarsi dall'angolino e
a camminare con piccoli passi nella mia direzione. "Ho la vaga
sensazione che stiamo prendendo residenza in questo posto." Ebbi
il coraggio di biascicare. Poi ci avviammo, sostenendoci a vicenda,
verso i piani alti. Nella mano stringevo la busta trasparente e gli occhi
mi si velavano sul punto di empirsi, finalmente, di lacrime.







(Continua)









 
 
 

Attaccato al muro insieme all'ombra. XXXIII.

Post n°263 pubblicato il 24 Ottobre 2016 da deteriora_sequor




Arrivammo che era pomeriggio inoltrato. Non avevamo realizzato
quanto il lutto dilata i tempi e quanto i minuti trascorrano veloci nel
dolore. Parcheggiammo e mi venne da riflettere sul fatto che mio
padre stava conducendo la sua personale battaglia contro la morte
ai piani alti mentre mia madre aspettava riconoscimento e sepoltura
negli scantinati. Attraversammo il piazzale sotto il diluvio e mi informai
all'abituale reception. Ci diedero tutte le indicazioni con espressioni
contrite sul volto e finimmo con il camminare nella direzione disegnata
dalle frecce dipinte a terra. Ci capitò di perderci qualche volta, ma, con
l'aiuto di alcuni infermieri, alla fine giungemmo davanti alla sezione
mortuaria. Le porte erano di solido acciaio e l'odore di formaldeide
dominava l'aria lasciando me e Danilo sterili come due placchette di
metallo. Bussai, ma l'effetto era quello di un topo che gratta all'entrata
di un maniero. Decisi di girare la maniglia e accedere ma fui subito
bloccato da un urlo repentino che mi gelò il sangue. "Chi siete?
Attendete fuori di essere chiamati!" Fu la brusca interlocuzione. Io
accostai la porta intimidito e lasciai gli addetti vestiti di azzurro
continuare la loro attività. Ci sedemmo su alcune immense panche
grigie che giravano tutt'attorno all'ambiente. Lì attesi con la testa che
mi girava e il battito cardiaco che pulsava a mille. "Ce l'hai dietro un
calmante?" Feci al mio fratellastro. Lui estrasse dalla tasca un sacchetto
pieno di pastiglie e mi passò un nozinan intero. "Forse è troppo". Sospirai.
"Non credo. La situazione è particolare." Gli diedi mentalmente ragione
e ingollai la pasticca senz'acqua. Non mancò di fare effetto: una sensazione
pesante di sonnolenza mi avvolse tutto e mentre parlottavo con lui mi
accorgevo che la bocca si impastava e le parole fuoriuscivano lentissime
e strascicate. Provai ad alzarmi in piedi e a camminare per l'immensa
sala, ma trascinavo i piedi e procedevo come una tartaruga, facendo ben
attenzione a non oscillare troppo. "Che cazzo è questa roba?" Protestai
con Danilo. Lui nemmeno mi guardava. "Un antipsicotico molto potente."
Disse. Io continuavo a camminare come un cavallo col paraocchi e non
mi accorgevo del tempo che passava. Potevano essere ore quanto minuti.
Alla fine sentì con la coda dell'orecchio che ci stavano chiamando. Un
addetto azzurro ci faceva cenno dall'enorme portone in acciaio. Il mio
battito era rallentato e il mio cervello era avvolto nella bambagia. Entrammo
che distinguevo a malapena la mia missione: la pena s'era affievolita e
la tragedia era solo un rumore di fondo che bussava alla parte posteriore
del mio cervello. Vidi unicamente una lunghissima fila di sportelli alla mia
destra, l'ambiente era asettico e chirurgico e il tizio in azzurro con una
cartella in mano si diresse verso il loculo 44, afferrò la maniglia e fece
scorrere la tavola. Doveva essere mia madre, coperta da un telo bianco
sopra la sua tradizionale, robusta figura. Il tizio abbassò il telo dal viso
e la vidi. Perfettamente composta e compunta, con gli occhi chiusi e il
labbro inferiore solo lievemente sporgente. "Sì, è Lei." biascicai dopo
un tempo che mi parve eterno. L'addetto la coprì nuovamente con cura
 e professionalità, poi disse: "Ci sono i suoi effetti personali in quella
busta (E indicò un punto lontanissimo su un tavolaccio di zinco). siete
pregati di ritirarli." Annuì e mi mossi verso il punto ma caddi in ginocchio
con un filo di bava che mi usciva dalla bocca. Il nozinan stava pestando
duro e mi travisava le distanze e le proporzioni. Mi raccolsero che ero
più bianco dei cadaveri.







(Continua)








 

 
 
 
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Un blog di: deteriora_sequor
Data di creazione: 13/05/2013
 
 

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