Creato da fonderiaromana il 23/03/2005

laserman

Laser, tastiere, porketta, fonderia e....impressioni

 

 

A VOLTE MI BASTA

Post n°128 pubblicato il 04 Febbraio 2014 da fonderiaromana

 

A volte mi basta poco.

Mi basta quel suono di chitarra ripetuto mille volte su una batteria funk, qualche accenno di tastiera e una ritmica che si sincronizza al mio passo veloce.

A volte mi basta poco.

Mi basta incrociare quello sguardo perso tra le persone, in mezzo al caos.

A volte mi basta poco.

Mi basta una insegna colorata di un libanese, con il kebab che suda e si cuoce e un commesso gentile che lo taglia con cura e serve con un sorriso un vecchio sciatto e triste.

A volte mi basta poco.

Mi basta guardare dentro le case, la sera, con le lampade accese, mi immagino la cena sul fuoco, il telegiornale in sottofondo, un bimbo che gioca, i visi stanchi di una giornata lavorativa, le scarpe buttate in un angolo e un bacio rubato.

A volte mi basta poco.

Mi basta un messaggio, mi basta quel trillo ormai consueto, mi basta che sia semplice, che vada dritto al cuore, con poche parole, che mi strappi un sorriso accennato, che mi sposti il pensiero e mi faccia viaggiare.

A volte mi basta poco.

Mi basta cucinare con la musica in sottofondo, mi basta tirare fuori il coltello giusto, affettare con cura le mie verdure, sentire il fuoco che scalda l'olio della padella e l'ambiente, mi basta sentire gli odori che salgono piano piano, il mio bicchiere di vino accanto.

A volte mi basta poco.

Mi basta andare indietro con i ricordi, mi basta ripensare al fine settimana trascorso, mi basta rivedere le immagini nitide di un volto, mi basta pensare ad una mano che si sfiora, ad uno sguardo rubato tra la gente, ad un abbraccio forte, ad una parola sussurrata la mattina presto, ai capelli che ti coprono il viso.

A volte mi basta poco.

Mi basta un sogno ad occhi aperti, magari dopo un film, mi basta socchiudere gli occhi e sentire il freddo di una notte danese o il caldo di un locale di New York, il rumore di una festa o il silenzio di una foresta tedesca.

A volte mi basta poco.

Mi basta riaccendere il pianoforte, togliergli la polvere, mi basta prendere uno spartito nuovo, appoggiarlo sul leggio, posare le mani sui tasti e ricominciare… Perdermi tra le note giuste e quelle sbagliate, sentire le mani arrugginite sfiorare i tasti e riprendere un po' di quella antica delicatezza, correre da quei tasti la sera, o accarezzarli una domenica mattina col sole fuori.

A volte mi basta poco.

Mi basta una candela accesa e il vento che muove le finestre.

A volte mi basta poco.

Mi basta guardare lo sguardo di un amico, mentre ricominciamo ad incastrare i nostri strumenti come una volta, in quella sala sporca che odora di umidità', di sudore, di prove senza sosta.

A volte mi basta poco.

Mi basta guardare le persone che corrono sotto la pioggia, mi basta vederle con i capelli bagnati e gli occhiali appannati.

A volte mi basta davvero poco.

Mi basta prenotare un fine settimana, cercare l'albergo, prenotare la macchina, guardare la cartina e partire con la testa…immaginarmi sulle strade inglesi con i cd in sottofondo e un tramonto alle spalle.

A volte mi basta poco.

Mi basta una foto o una poesia.

A volte mi basta poco…

 

e mi sento felice...

 

A volte mi basti tu che non e' poco per niente...

 

e mi sento felice…

 

scende una lacrima…

 

e sono felice…

 
 
 

VECCHI AMICI

Post n°127 pubblicato il 29 Dicembre 2013 da fonderiaromana

Daniele ha i capelli bianchi adesso e un paio di occhiali da vista dal taglio vintage.

Ha la barba incolta, qualche dente in meno.

E' vestito come ai tempi del liceo: con un piumino 2 taglie più grandi, un cardigan azzurro, anch'esso grande, dei jeans attilati e delle clark blu.

La postura è sempre la stessa, un pò ingobbita, il passo è sempre lo stesso, molto delicato, felpato, con i piedi ad angolo.

Per un attimo sono tornato indietro 20 anni, per un attimo tutto mi è sembrato uguale, al di là della distanza e degli eventi.

Era il IV ginnasio ed eravamo 30 in classe, mi sentivo spaesato tra tutte quelle persone così diverse, mi sembravano tutti più grandi, tutti adulti, con le loro prime sigarette, con le loro discoteche pomeridiane, quei barbour blu e verdi che odoravano di crema protettiva.

Mi sentivo spaesato, un pò solo.

Poi un giorno avevo visto lui, Daniele, seduto nell'angolo più nascosto della classe. Daniele mi aveva conquistato, con la sua timidezza, i suoi vestiti immaturi simili ai miei, il suo sguardo spaesato e soprattutto il suo astuccio stile scuola elementare, quegli astucci con la zip e tutte le penne/matite infilate in piccoli anelli elastici di cotone.
Niente marche, niente discoteca, niente jeans strappati, niente astucci e cartelle disegnate...ma solo un astuccio infantile ed uno sguardo triste...era lui il mio amico.

"ti piace la musica??"
"si molto, a te?"
"si, suono il pianoforte a casa ed ho un sacco di vinili e cassette che faccio io, conosci i Led Zeppelin?"
"certo, good times bad times la sto studiando alla batteria quando vado in Calabria da mio zio che ne ha una, ma il mio gruppo preferito sono i Deep Purple"

Era lui. Era l'amico che cercavo....
D'altronde l'astuccio non mente.
Da quella chiacchierata, poggiati sui muri giallastri fuori dalla nostra aula, divenimmo inseparabili.

Studiavamo insieme latino, quasi tutti i pomeriggi, nella sua casa piccola e disordinata vicino la scuola, conobbi i suoi genitori, semplici e 68ini come i miei, la sua mamma barista e il suo papà maestro. 
Passavamo i pomeriggi chiusi nella sua camera ad assimilare declinazioni e regole e poi giù con il suo stereo a sentire dischi e cassette.
Spesso anche lo studio prendeva una piega musicale: lui batteva le sue dita tozze e robuste sul bordo del tavolo e cominciava a creare ritmi e rullate, io lo seguivo percuotendomi le cosce e canticchiando regole e coniugazioni.

Mi aveva iniziato al basket, che io conoscevo pochissimo, lui ci giocava da anni e nonostante la statura, quelle sue gambe mollegiate gli consentivano di saltare come una molla.

E poi la prima band:

"ho un amico chitarrista"
"io conosco uno che canta bene"

Me la ricordo come se fosse adesso la prima prova, l'odore acre di quella saletta sotterranea e buia, quel piano elettrico senza due tasti e l'attacco di Roadhouse Blues dei doors. Daniele aveva un gran senso del ritmo ed un gran gusto, io arrancavo, così abituato a suonare da solo, a leggere i miei spartiti classici.

E poi la politica:

"quest'anno andiamo, si occupa"
"i soliti quattro gatti"

Era un liceo di destra, pariolino si direbbe a Roma, diviso su tre sedi molto diverse tra loro e io e Daniele cominciammo a farci vedere in giro ad aiutare nelle prime occupazioni a lavorare col giornale scolastico. Eravamo inseparabili, ci univa la sua timidezza e la mia voglia di crescere e capire, ci univa la musica e la politica le nostre canzoncine inventate, i nostri schemi di basket dai nomi assurdi. Poi i primi viaggi e i primi amori e le prime delusioni.

Il primo inter-rail a 16 anni ha anche la sua faccia nelle immagini della mia memorie, ha il suo sguardo pensieroso davanti ai quadri del Louvre, il suo sorriso beffardo durante una partita a tresette, il suo volto interdetto davanti ad un sexy shop di amsterdam.

Poi gli ultimi anni qualcosa si è rotto nella testa di Daniele. Era sempre più chiuso, suonava sempre meno, smise di studiare. Io pensavo fosse giù dopo la fine della sua storia con Silvia o fosse preoccupato per la sua famiglia che lentamente si disuniva.
Ma era qualcosa di più profondo, di più radicato dentro di lui.
Smise quasi di studiare, smise di comunicare prodondamente, per quanto forse non lo avesse fatto mai.

Ci allontanammo all'università, io perso tra i miei studi matti e disperati e lui tra le sue scelte sbagliate e le sue paure inesplicabili. Ma l'amicizia e il legame di quegli anni splendidi rimase sempre.

Riprendemmo a suonare insieme, perchè la passione e la voglia non si erano spenti. Facevamo cover e ci divertivamo.
Ma Daniele cominciò a saltare qualche prova, cominciò a venire sempre più di rado e i guasti alla macchina sembravano sempre troppi.

Un giorno squilla il telefono:
"Nicò, sono Daniele, senti ti volevo dì che sto in una clinica psichiatrica, però è tutto a posto sono solo dei controlli, non te preoccupà, sto bene, anzi se te va, viemme a trovà"

Certo che mi va, ma in quel momento, dopo quella telefonata ho cominciato a capire che la ragione, la razionalità, la linearità di certi ragionamenti non può arrivare ovunque ed è stata la prima volta in cui ho sentito forte la sensazione di impotenza e di incertezza che mi accompagna da allora ogni giorno

Daniele era uno zombie in quella clinica, era magro come un cadavere, aveva lo sguardo spento, non sorrideva, non batteva più le mani sul tavolo al ritmo di quello che aveva in testa e l'ennesima partita di tresette che facemmo fu un lento gettare carte a terra, senza un senso, perchè per me, per lui tutto quello non aveva senso.

Daniele non c'era più e con lui non c'era più una fetta della mia vita.

Volevo scuoterlo, mettere di nuovo una cassetta, lanciare la palletta dentro al cestino, ascoltarlo ridere o leggere uno dei suoi temi sconclusionati scritto con la sua inconfondibile calligrafia da bimbo delle elementari.

Ma non funziona così, Daniele non c'era più, era perso nei suoi pensieri, nel suo dolore, nei meandri della sua testa, della sua depressione che per tutto questo tempo era riuscito a tenermi lontana.

Difficile spiegare quello che ha significato lui per me.
Mi aveva salvato dalla solitudine di quegli anni, mi aveva fatto sentire importante e spontaneo.
Difficile spiegare quello che ha significato vederlo ieri sorridente davanti ad un piatto di pizza.

"ah Nicò grazie....ci vediamo presto no??"

"si Daniè....ci vediamo presto"

 
 
 

VECCHI SCRITTI, VECCHIE CASE, VECCHIE COSE

Post n°126 pubblicato il 15 Dicembre 2013 da fonderiaromana

E' stata venduta.

A pensarci bene ancora non mi sembra vero, non mi sembra possibile.

La casa del mare, la nostra casa del mare: una istituzione, e' li' e non si muove, e' solo nostra, con i nostri ricordi, le nostre immagini, i nostri odori, accessibile sempre dalla stessa strada. 

Eppure e' successo, l'abbiamo venduta, quell'angolo bianco su due piani, con quel suo giardinetto all'ingresso non e' piu' nostro.

Ci sono poche cose a cui sono affezionato, sono sempre riuscito a vivere di immagini, magari di parole o di foto piu' che di oggetti, sono sempre rimasto legato piu' alle sensazioni, ai ricordi, che ad una cosa materiale.

Ma la casa del mare….la casa del mare e' un' altra cosa: la casa del mare e' diversa…la casa del mare e' stato tutto, e' stata immagine, parola, ricordo, riparo, sguardo, foto…

Ci siamo cresciuti tutti dentro, ci siamo invecchiati, l'abbiamo amata, l'abbiamo odiata, l'abbiamo riverniciata e sporcata, l'abbiamo pulita e addobbata: l'abbiamo vissuta.

 

Ho ricordi pieni di sfumature, di ogni eta'.

 

Prima di tutto mi ricordo l'attesa di quel viaggio che da Roma mi sembrava interminabile, mi ricordo i miei piccoli punti di riferimento, lungo la strada, a scandire la distanza, a farmi pregustare l'arrivo.

Mi ricordo l'odore e il sapore dell'arrivo, all'apertura del cancello: era il sapore dolce della vacanza, il sapore dell'eccitazione di quei 2 mesi lontani dalla citta' e dalla scuola in un piccolo angolo di paradiso.

Mi ricordo mio nonno, collante di famiglia, con le sue abitudini lente: me lo ricordo a tavola, al suo posto, a raccogliere le briciole di pane nel suo piatto e a farne un boccone

Mi ricordo una buganvilla enorme che tingeva di viola il muro bianco e mi ricordo sempre lui mio nonno sulla scala a sistemarla, lo vedo ancora li, con la sua canottiera bianca ad "acconciarla" e ripulirla per farla senmbrare ogni anno piu' grande e bella. 

Mi ricordo il giardino, nascosto dalle siepi, me lo ricordo ogni anno sempre piu' rado. Mi rivedo con mio cugino a giocarci ad hockey improvvisato, con due racchette di plastica e un posacenere vintage a fare da porta.

Mi ricordo le mie feste di compleanno, una in particolare in cui avevo ricevuto un piccolo giradischi rosso (si lo so che sono nato negli anni 70) e avevo passato meta' della festa ad ascoltare i 45 giri che avevo (eccola la musica…sempre lei).

Mi ricordo mia zia a prendere il sole sulla sdraio in giardino, con dei buffissimi copriocchi verdi a forma di uovo, tutta unta ed oliata ad accogliere il sole delle 2, quello piu' sconsigliato, quello che fa piu' male.

Poi mi ricordo delle cene all'aperto su quel tavolo di legno tutto irregolare, mi sembrava il massimo della liberta', per me, ragazzo di citta', cenare con i grilli che cantano, ascoltando i bambini passare in bicicletta e pregustando le prime uscite per conto mio.

Mi ricordo della nostra vicina, con il suo accento incomprensibile, ci separava solo un muro a meta', noi sentivamo lei e lei sentiva noi, ma raramente ci siamo capiti; solo mia nonna, con la su versatilita' regionale capiva qualcosa e si prodigava a tradurci. Nei pranzi di famiglia a volte mimavamo di girare le pagine di un vocabolario immaginario o di metterci delle cuffie fingendo un tentativo di comprensione.

Mi ricordo le cene con gli amici in cui mia nonna cucinava di tutto. Arrivavamo dopo il calcetto o dopo il tennis ed eravamo solo noi e la mia nonna.

Una volta aveva cucinato per me ed i miei amici, aveva preparato una "vagonata" di suppli' fatti in casa…favolosi, ci aveva buttato un pomeriggio a riempirli con le sue mani profumate, poi li aveva passati sopra il muro a meta' alla vicina e ai suoi commensali dell'occasione, che nell'atto di prenderli dal vassoio li avevano fatti cadere tutti…

ecco il volto di mia nonna in quell'occasione difficilmente lo scordero'.

Mi ricordo le docce all'aperto, in mezzo alle piante, davanti a tutti con il sole che comincia a nascondersi all orizzonte.

Mi ricordo le giornate di pioggia, rare ma indimenticabili, in cui per la prima volta indossavi scarpe e felpe e tutto improvvisamente sembrava diverso…invernale: le pozze davanti la casa e lo straccio prima di entrare…e per la prima volta, si mangiava dentro.

Mi ricordo le voci delle soap opera e di mia nonna seduta a capotavola a passarci i pomeriggi.

E il gran premio…l'inizio della stagione di formula 1, si scattava davanti alla TV a fine pranzo a vedere la ferrari e quel noiosissimo spettacolo.

Mi ricordo mio zio, che da bravo intenditore, aveva la capacita' di restare sveglio sono nei momenti salienti: partenza, pit stop e arrivo: una volta nel bel mezzo del suo russare sussulto' al grido di: "E' uscito Senna!!!!"….ma Senna era uscito 20 giri prima….

Mi ricordo sonni interminabili sul dondolo in giardino…con il libro in mano, il sole tra i rami del pino e un succo di frutta, rigorosamente in bottiglia, rigorosamente con i tappi con le bandierine.

E mi ricordo i miei compiti per le vacanze, quei libri da completare mentre i miei amici, quelli che non hanno le mamme insegnanti, mangiavano al mare sotto l'ombrellone.

Mi ricordo mio nonna seduta sulla sua sedia, intenta a completare i suoi cruciverba facilitati e a fumarsi 5000 sigarette.

E l'acqua…l'acqua del rubinetto non era potabile, allora arrivava mio nonno o mio padre con le damigiane e i primi minuti dopo il loro arrivo passavano a travasare quest'acqua nelle bottiglie di vetro con l'imbuto.

Mi ricordo la casa piena, quando c'eravamo tutti, quando eravamo una famiglia unica e la occupavamo in tutti i suoi spazi: io e la mia famiglia nella camera al piano di sopra, il piu' sfortunato nella parte alta del letto a castello, li' dove nelle giornate piu' calde si faceva fatica a respirare. I miei zii al piano di sotto nel piu' scomodo e complicato dei divani letto…davanti al camino.

Mi ricordo di mio nonno intento a lavare la macchina e di mia nonna sempre in cucina a intenta a colmare la dispensa di cibi quasi in attesa di una imminente guerra atomica.

Mi ricordo di mio cugino, il sonno piu' pesante che abbia mai conosciuto, chiuso nel buio della cameretta al piano terra: il suo bunker inespugnabile, assolutamente impermeabile a qualsiasi suono o luce o colore.

Mi sembrava cosi' grande…ogni estate piu' grande…mio cugino, lo vedevo crescere e diventare adulto, mi sembrava un eroe, da imitare.

Lo vedevo uscire e sparire nel nostro residence con la sua comitiva di amici e tornare ad orari impossibili a rintanarsi nel suo bunker.

Una mattina mia nonna, al suo risveglio, lo trovo' sul tavolo da pranzo esterno, addormentato con una sigaretta spenta per inerzia nella sua mano.

Mi ricordo le biciclette, brutte e rovinate con il portapacchi avanti e dietro e le prime spese in bicicletta…"stai attento sulla mediana…"

E mi ricordo l'attesa del corriere dello sport estivo, quello pieno di cazzate, mi ricordo che mi mettevo a leggere tutto lo schema e gli schieramenti delle formazioni su quella favolosa pagina riepilogativa.

Poi l'arrivo di Viola, la mia cuginetta: mi ricordo il suo box in giardino, mi ricordo la gioia che provavo nel tornare a casa e trovarla li' che mi riconosceva mentre come mio solito mi tambureggiavo la pancia con le mani.

Poi mi ricordo i fine settimana fuori stagione, mi ricordo qualche fuga invernale, con il residence vuoto, riempito solo da qualche adultero in incognito e l'aria fresca.

La casa risuonava di silenzio in quelle giornate invernali, le porte erano piu' chiuse del solito, il tavolo e il dondolo erano incartati sotto la tettoia, al caldo di una enorme plastica, in attesa dei loro 2 mesi da grandi protagonisti.

Il mare d'inverno me lo ricordo bene: vuoto e ventoso, disordinato, triste e affascinante.

Mi ricordo anche i primi giri in bicicletta e le ginocchia perennemente sbucciate dalle cadute.

Mi ricordo i miei amici, le serate in giro per il lido, con tutti i lampioni pieni di zanzare e moscerini.

Mi ricordo che la sera arrivavano le bombe calde e ci si riuniva al bar o da piu' piccoli al parcheggio a giocare a guardie e ladri.

Mi ricordo le mattinate in spiaggia e i pomeriggi in piscina a far finta di giocare a pallanuoto.

Mi ricordo i primi baci, nascosti nelle sere d'estate, nascosti dagli occhi dei familiari.

 

 

e mi ricordo altro ancora….e non lo dimentichero' mai…

 
 
 

A VOLTE RITORNO (questo post e' dedicato ad una persona...)

Post n°125 pubblicato il 14 Dicembre 2013 da fonderiaromana

Fuori e' notte, fuori e' silenzio, ma dentro di lui e' tumulto, dentro di lui e' giorno pieno, dentro di lui le ansie smuovono e spostano gli organi da una parte all'altra.

Oggi si sente come il primo Gennaio, si sente come la mattina del primo Gennaio, quano il giorno ha una luce diversa, la citta' e vuota, la citta' sa proprio di calendario girato e buttato, sa di ancora di polvere da sparo, la citta' e' silenzio in un cimitero di botti esplosi.
Oggi si sente come la mattina del primo Gennaio, quando tutte le serrande sono abbassate, quando una macchina vecchia passa nel silenzio della sua via, quando lontano si sente l'eco leggero delle feste della sera prima, si sente l'odore dei locali che si svuotano, con i ragazzi distrutti dalla serata, quando nelle case ancora ci sono posacenere stracolmi e bottiglie vuote, ancora ci sono candele a meta'.
Oggi si sente come la mattina del primo Gennaio a far bilanci, in un giorno che quasi non esiste, in un giorno che e' solo il rilfesso della sera prima, pensa a suo padre che ogni primo Gennaio si alza presto e guarda il concerto di Vienna, pensa a sua madre che in questo giorno ha sempre un ricordo per i suoi genitori, ripensa a quel primo capodanno da solo, nella casa del mare, senza riscaldamento.
Come la mattina del primo Gennaio a guardare la rubrica del cellulare, a pensare dove siano tutti in quel momento, a pensare che forse nessuno in quel momento e' sveglio, si immagina gli amici piu' cari con la bocca aperta, il respiro pesante e la faccia sul cuscino.

Oggi si sente cosi, ancora una volta a fare bilanci a scavare tra i ricordi ad aggrapparsi alle sue passioni, ancora una volta ad aggrapparsi alle parole che dal cuore scorrono fino alla punta delle sue dita, senza filtro, senza ripensamenti

Oggi si sente cosi' e allora prende il suo CD di TOM WAITS lo mette su, si scalda l'acqua per un te e ricomincia a scrivere.

Un libro, una poesia, un racconto...perche' continua a non sapere cosa vuole, ma sa che forse anche a 35 anni e' bello non saperlo, e' bello girarsi intorno e scoprire che tante altre persone sono li' accanto a lui e non lo sanno: camminano come lui, chini per terra, a cercare una traccia, a raccogliere un pezzo di carta, a seguire una indicazione, a chiedere ad altri.

Ancora una volta si aggrappa alle sue passioni, mai sopite, ma poco alimentate, usurate dalla stanchezza, ammaccate dai viaggi, dai traslochi, dai rapporti difficili, dalle separazioni. 

Oggi si sente cosi' e ricomincia a scrivere, riprende il filo del discorso da dove lo aveva lasciato, richiude quello iato e corre indietro di nuovo dai ricordi, riguarda qualche foto, risente qualche suono e riprende da dove aveva lasciato...come se nulla fosse cambiato.

 
 
 

I tempi delle decisioni

Post n°124 pubblicato il 05 Novembre 2011 da fonderiaromana

Dopo 3 anni e mezzo nella swinging London...la societa' ha deciso:

basta fare finta di essere italiani che stanno all'estero pro tempore.....mo RESTATECE.
Di questi tempi italioti ed europeici, una notizia del genere andrebbe accolta con euforia e tappi di champagne che volano.
E in effetti nel momento della decisione, quando ho preso il mio solito foglio bianco diviso in 2 con "pro tornare in Italia" da un lato e "pro restare a Londra" dall'altro, la bilancia pendeva "razionalmente" dal lato britannico.

Tolti gli affetti e gli amici, che non e' poco, e qualche favoloso rituale romano (tipo le radio sportive e i loro personaggi favolosi (a cui dedichero' uno dei prossimi post) tutto il resto mi sembrava un enorme passo indietro...un enorme ritorno a condizioni inaccettabili.

La frase chiave delle consultazioni telefoniche con gli amici piu' stretti e' stata "ma che te ne torni affa' in Italia?? A sentirti alle 20 il tg di Minzolini che ti racconta del castoro nano della papuasia mentre il paese va a rotoli" 

E allora anche io ora sono uno di quelli che puo' finalmente intervenire nei dibattiti sui quotidiani che raccontano le storie degli emigrati che hanno lasciato l'Italia alla ricerca di poche semplici giustizie quotidiane, di semplici dinamiche organizzate, di democrazia e giustizia.
Anche io sono uno di quelli che ha deciso di troncare con la rassegnazione che la vita di tutti i giorni sia solo quella che ci propongono in Italia, che noi siamo cosi' simpatici e solari e va bene cosi'....non possiamo diventare svizzeri...non ce lo abbiamo nel DNA di fare le cose precise....pero' siamo simpatici e solari.

Sono uno di quelli....e nonostante tutto non e' stato e non e' facile.
Si perche' da alcune parti ho anche letto che e' facile andarsene, che e' piu' difficile restare e cercare di cambiare dall'interno.
Invece non lo e'....perche' sei lontano e di allontani dai luoghi e dalle persone che ami ed hai amato per anni, perche' sei fuori dalle dinamiche familiari e dalle feste comandate, perche' aspetti le visite dei tuoi cari, con le valigie piene di prodotti italiani e foto e racconti di quando "non ci sei stato".
E poi perche' si diventa tanto italiani qui fuori...si incontrano persone come te, incazzate come te, si cerca di informarsi tramite le televisioni locali piu' indipendenti e trasparenti, si cerca l'Italia nelle piccole cose, ci si arrabbia ulteriormente perche' si vede il potenziale e la ricchezza devastate dal menefreghismo e dagli interessi personali....

ma non voglio dilungarmi perche' sono stufo di lamentarmi e di scrivere cio' che e' stato scritto da molti...io nel frattempo ho scelto di restare, a breve mi licenziero' dal mio lavoro italiano, anzi, mi licenziero' dall'Italia e mi faro' assumere dalla Gran Bretagna.

d'altronde il foglio a destra era pieno di righe

 
 
 

FATTI VIETNAMITI VOL.1

Post n°123 pubblicato il 06 Giugno 2011 da fonderiaromana

 

PRIMI GIORNI: il volo lungo...

 

Sono nervoso. E' tanto che non faccio un volo lungo. Ripenso ai ripetuti viaggi in Cina e mi chiedo come facessia sopportare quei voli da solo. Ho paura di non dormire, di innervosirmi, ho paura che il sangue circoli male e che le turbolenze mi inquietino.
Lo zaino e' carico stile inter-rail dei tempi migliori, ma allegerito dall'esperienza dell'eta': e' pieno dello stretto necessario....o almeno credo.

L'aereo della Thai air e' un tripudio di colori e inchini, di donne tailandesi con i capelli raccolti, di profumi orientali, di pezze bagnate....
certo...manca l'essenziale....manca uno schermo.

I miei buoni propositi di superare lo scoglio delle 11 ore, arricchendo la mia cultura cinematografica, naufragano sulla plastica grigia del tavolino reclinabile del sedile di fronte a me.
Mi attacco al rescue remedy dopo una cena leggera e speziata e al vino rosso delle bottiglie in miniatura e comincio le mie usuali contorsioni alla ricerca della posizione perfetta: niente trombosi, niente colpo della strega, niente dolori cervicali, niente calci al sosia di Clint Eastwood che mi siede accanto e che taciturno e rugoso con la testa abbassata verso il petto, retta da un collo che sembra spezzarsi, gia' dorme serenamente

All'altezza dell'Afghanistan comincio a sonnecchiare....fino alla colazione e un timido sole che spunta tra gli oblo che si aprono ai lati e mi annunciano che bangkok e' vicina.

Lo scalo serve solo a farmi riprendere contatto con le gambe...con la terra...e via verso Hanoi.

solo 1h di volo...di quelle che passi tra le pagine di un libro...o tra gli schermi pieni di film di cui questo inutile aereo e' pieno....

ma non era meglio il contrario???

Grazie Thai Air

 
 
 

TEMPORANEITA'

Post n°122 pubblicato il 02 Dicembre 2010 da fonderiaromana

Qui a Londra nevica.

Dicevano che non nevicava mai...pero' e' il terzo anno che sono qui ed e' il terzo anno che nevica.

E la neve cambia sempre un po' le prospettive, specialmente se sei di Roma e la neve non l'hai vista mai, ma l'hai quasi sentita solo raccontare.

La neve cambia un po' le prospettive, cambia i contorni, le case, pero' ti fa sentire piu' estraneo, se non ci sei abituato.

Allora ricominci. Ricominci a fare confronti e valutazioni, mentre cammini sui marciapiedi salati e imbiancati.
Pensi all'anno prima quando nevicava, pensi a dove ti trovavi, pensi alle foto, alla sensazione della neve sulle mani. Poi pensi al prossimo anno alla prossima nevicata.
E pensi a dove sarai....

Eccola la chiave di tutto, la temporaneita....ecco cosa mi manca ancora: le radici.

Si perche' dopo 2 anni e mezzo ancora tutto mi sembra un viaggio, ancora ogni nevicata con la Battersea Power Station di sfondo mi sembra l'ultima.
Mi sento un po' un espatriato ad interim.

Eppure qui si parla di "localizzarci" , di diventare lavoratori inglesi.

Ma io NOUUUU, ancora non lo so dire!!! e le battute inglesi ancora non le capisco, ne tantomeno riesco a farle!!!

E poi....E poi non riesco a comprarmi oggetti, mobili, cornici perche' "sai che palle rimettere tutto in valigia", perche' sai quanti viaggi e quanti bagagli spediti per riportare tutto indietro.

E poi...E poi i quadri non li appendo perche' tanto tra poco devo toglierli

Si la chiave e' tutta li', non ho messo le radici, ancora no.

Ma come si fa ad andarsene a 30 anni e a RImettere le radici???

E' tutto un confronto con la tua vita precedente, la tua testa non e' piu' un foglio bianco e' piena di riferimenti, come se la tua vita fosse quella vissuta fino alla partenza e questa fosse solo un confronto nell'attesa di ritornare indietro.

 

la chiave e' tutta li' nella neve e in quel mio passo fermo e deciso....

la chiave e' tutta li'...mentre guardo casa da fuori....entro....e appendo una foto...

 

P.S. Questa sera ho rivisto I SOLITI IGNOTI....mi sono messo sotto il balcone del San Giovanni....ho raccolto una idea straordinaria da un corpo stanco che volava giu'...e me la sono riportato via con me...

 
 
 

DUBBI

Post n°121 pubblicato il 02 Novembre 2010 da fonderiaromana

Vorrei cercarti nel dubbio

In quel momento di incertezza,

quando le parole si bloccano.

Vorrei cercarti nell’indecisione

e trovarti li’

o forse non trovarti.

Vorrei cercarti in quella ruga sulla fronte

che ti viene

mentre pensi cosa dire.

Vorrei cercarti tra i tuoi occhi

fissi verso il vuoto

mentre pensi a qualcosa e non lo dici.

Vorrei trovarti in un pensiero

ma un pensiero strano,

senza senso, inconcluso.

Vorrei assaggiare il tuo dissenso

sentire come e’ amaro e pungente.

Vorrei capire cosa pensi,

anche quando non lo pensi.

Vorrei cercarti dentro un sogno

di quelli opachi e sbiaditi…in bianco e nero.

Vorrei vivere un tuo progetto,

di quelli che smonti,

di quelli che non sono chiari.

Vorrei gridarti qualcosa

cosi per scuoterti,

ma vorrei farlo sussurandotelo nell’orecchio.

Vorrei cercarti nell’insicurezza

e guardare il futuro,

senza capirlo, anzi quasi senza vederlo…

provando solo a immaginarlo.

Vorrei aggrapparmi a un tuo sorriso,

scendere giu’ dagli angoli della bocca,

fino alla radice del tuo collo.

Vorrei trovarti in una domanda

mal posta e possibilmente senza risposta.

Vorrei vederti in un bicchiere,

mezzo pieno e mezzo vuoto…

Vorrei sceglierti tra le altre,

pero’ farlo timidamente, da lontano.

Vorrei vederti e non sapere

E continuare a non saperlo…

E continuare ancora…

 
 
 

INGLESITUDINI

Post n°120 pubblicato il 23 Maggio 2010 da fonderiaromana

Sono quasi 2 anni che sono qui. Che mi sveglio in mezzo ai  “Gekko” della City. Ormai li conosco. Ormai dico cheers, invece di thank you. Li guardo dall’alto, dal secondo piano dei loro pullman rossi, i “double deck” e li osservo e li confronto.

Poi ci lavoro anche insieme, ci gioco a calcio, ci vado in palestra e al cinema, ci mangio assieme la domenica.
Con alcuni ci suono, ci bevo una birra, altri, invece, li incontro per strada, casualmente o li guardo dall’alto e si vede bene quanto siamo diversi, si vede bene dal secondo piano.

Alcuni li vedo dentro le loro case, quelle ai primi  piani, con le finestre a semiesagono, le case con le porte di legno colorate, li vedo che non si nascondono dietro tende o persiane, perche’ qui, tanto, nessuno ci guarda...... dentro

Di altri vedo le case, ci entro, per una cena o una festa, vedo case italiane e case straniere, case moderne e case antiche, case piene di moquette, con lavandini miserrimi e finestre impossibili.

Con alcuni ci gioco anche a pallone e dico “unlucky” quando fanno un tiro che fa cacare o lisciano completamente il pallone, perche’, ormai, un po’ di inglese ce l’ho dentro, anche negli atteggiamenti.

 

Sono straordinari, per certi aspetti sono davvero incredibili: questa citta’ e’ un orologio perfetto, incastri di metro e treni, di bus e taxi. Qui non aspetti mai, qui non ti perdi mai, e’ tutto leggibile e intellegibile, e’ tutto lontano e raggiungibile. Puoi usare la bici dovunque, fare car sharing, puoi attraversare sulle strisce senza morire. L’ho vista in crisi solo 2 volte in 2 anni cioe’ pari alle volte che ho visto Roma funzionare in 29 ( e forse era il 13 Agosto in entrambe le occasioni) ed e’ stato quando ha fatto la piu' intensa nevicata degli ultimi trent'anni di storia inglese. Si, sono straordinari nell’ordinario e pessimi nello straordinario. Ma perche’ vivono una vita di procedure, in cui ognuno applica il suo comma, la sua riga e tutto gira…ma, quando salta un meccanismo, si sentono persi.

Noi ci campiamo nel caos e nello straordinario ci sguazziamo alla perfezione e magari abbiamo anche tanta fantasia. A lavorare insieme si scontrano 2 mondi lontani e diversi che a volte convivono alla perfezione, a volte sono una bomba atomica: qui e’ tutto procedurizzato all’estremo, per dirsi una cosa a 2 tavoli di distanza si manda una mail, se non sollecitati difficilmente si fa piu’ del dovuto, pero’ si, alla fine grande produttività,  tutto scorre senza intoppi.

D’altronde 11 milioni di persone, di etnie, culture e religioni diverse, come potrebbero non esplodere senza essere inserite in un ingranaggio perfetto??

Certo poi si vedono situazioni paradossali: basta entrare in una palestra o in una piscina….ma come??? le procedure, il meccanismo perfetto e poi tutti senza ciabatte, senza cuffia, entrando senza fare la doccia????
Eh si perche’ l’igiene forse non fa parte di quelle regole scritte non scritte che governano la quotidianita’ sociale e lavorativa; non e’ scritto da nessuna parte che in una borsa magari e’ il caso di separare le scarpe, invece di metterle insieme agli altri panni puliti o che mangiare nella metro non e’ proprio il massimo della pulizia.

Si noi forse saremo maniaci, noi che i nostri figli li teniamo sempre sollevati, con le mani pulite e sempre cambiati, che non li facciamo sporcare con la terra, che non li facciamo andare in giro mai scalzi, nemmeno sull’erba, pero’ insomma due o tre calcetti all’epatite, magari senza esagerare e’ il caso di darli.

Anche sul cibo e sui pranzi, e’ uno scontro tra titani, noi italiani con la nostra ossessione per i pranzi luculliani, infiniti ed eccessivi, che mentre mangiamo parliamo di altro cibo, di altri ristoranti, noi con il nostro prosciuttino tagliato fino fino, con il nostro caffe’ macchiato freddo in tazza grande….noi contro di loro e il loro sandwich volante mentre si “commuta” da un posto ad un altro, loro che mangiano di fronte al computer o si aprono il contenitore sotto la metro, loro con patatine giorno e sera, non importa dove e non importa quando e non importa come.

Per non parlare delle loro reazioni, sempre moderate al limite del fastidioso: una cosa non e’ mai brutta, e’ interessante, un tiro non fa mai schifo e’ sfortunato, un piatto non e’ mai disgustoso e’ al massimo fantasioso…

Pero’ sono dettagli che noi italiani con la nostra spocchia e la nostra simpatia e adattibilita’ ci divertiamo ad osservare e a sottolineare….perche’ alla fine della fiera, ci battono 10-0 e non hanno nulla da mostrare. Ma hanno un rispetto per la “cosa pubblica” un attenzione per la citta’ pari a quella che avrebbe il nostro capo della protezione civile per la scelta delle mignotte o pari a quella di qualche prete verso dei giovincelli..

Attenti a non sporcare, attenti a non dare fastidio, attenti a lasciar spazio se c'e'....

Perche’ per carita’ ci sara’ la criminalita’, ci sara’ l’alcolismo…pero’ un divieto e’ un divieto, una coda e’ una coda, un attraversamento pedonale e’ un attraversamento pedonale, un secchio serve a raccogliere la spazzatura e a differenziarla…

Si dice che noi abbiamo la storia e la cultura, abbiamo l’arte e il cibo e il turismo…si si dice…pero’ potremmo cominciare a dire che l’avevamo…e non l’abbiamo piu’…fatevi un giro a Roma…la mia citta’, la citta’ che amo la citta’ piu’ bella del mondo….

 

 
 
 

COMMESSO VIAGGIATORE: la grande mela

Post n°119 pubblicato il 28 Novembre 2009 da fonderiaromana
 

Partiamo da questo semplice assunto: non sono bravo a viaggiare. Viaggiare e’ un’arte e come tale annovera dei fuoriclasse o dei geni…. ecco, io non sono tra quelli.
Per la prima volta nella mia vita sto prendendo un volo in business class, da Londra a New York, e si vede che non sono bravo a viaggiare.

L’individuo che mi sta seduto accanto mi ha riconosciuto subito, lo sa dal primo momento che mi ha visto che io sono un infiltrato, che sono scampato all’economy camuffandomi da viaggiatore di affari , solo per un errore dell’ufficio che ci prenota i viaggi.
Mi guarda beffardo, come si guardano i giocatori della primavera durante le amichevoli di calcio

Si vede….

Il viaggiatore d’affari serio e’ un fuoriclasse, e’ un genio del viaggio, un’artista dell’oggetto utile, io ho ancora brandelli di interrail sul vestito, pezzetti di autostop tra le mani, incrostazioni di camping tra i denti.

Il commesso viaggiatore ha dei trolley fantastici, compatti, lucenti, maneggevoli e riesce a metterci tutto in quelle minuscole valigie, che siano 10 giorni o mezza giornata, quella e’ la valigia, sempre la stessa, solida e minuta, io, dal canto mio, ormai si sa,sono affettivamente legato ad una samsonite rigida (color rosso vistoso), che degli amici di famiglia mi hanno regalato per la laurea, con la quale ho girato il mondo (Cina, Iran, Russia) e non mi ha mai tradito, ma insomma per quanto solida e di marca,  e’ maneggevole quanto una Fiat Ritmo e ha il sistema di rotelle peggio congegnato nella storia delle semovenze.
Tra qualche anno sara’ probabilmente esposta al MOMA e sara’ contornata di giapponesi che la fotograferanno avidi di preistoria.
Nel tragitto casa-check in posso arrivare a far sanguinare le mie caviglie oltre che riuscire pompare i miei bicipiti come un culturista.

Tra l’altro la praticita’ di questo amabile valigione va ad inficiare la mia freschezza all’arrivo in aeroporto.
Mentre il commesso viaggiatore profuma ancora di dopobarba e si e’ appena tolto l’asciugamano dalla vita, io sono sudato come uno schermidore alla finale olimpica.

Che poi questa Samsonite mi pare enorme a vederla, ma alla resa dei conti riesco sempre a riempirla con pochissimo. Ve lo posso assicurare, non mi sono portato tante cose….me lo sono detto diverse volte “e’ solo una settimana", basta un completo un paio di scarpe ed una buona dose di camicie…e invece sembra traboccare indumenti.

Il viaggiatore serio e’ rapido, preciso, completamente a suo agio, orientato, plastico, torcente, consapevole: arriva il minuto giusto, con il vestiario adeguato alla meta di arrivo, il suo portatile e’ sempre minuscolo, caricato a pallettoni (musica, film, mirabolanti presentazioni aziendali in Power Point), cuscini gonfiabili, maschere facciali, tappi per le orecchie, libri slim.

Io non ce la faccio, o forse non conosco la business class a menadito come il viaggiatore serio e mi presento con 2 ore di anticipo, con il mio macigno da imbarcare e una valigetta da viaggio che e’ altrettanto complicata. Che sia uno zaino o una borsa elegante e’ sempre scomoda, complicata, arrovogliata: florilegio di cavi , fogliacci e combinazioni.
Quando arrivo al controllo con il metal detector sembra tutto cosi’ complicato, mi districo tra cinte monete, passaporti, carte di imbarco, schedine del totocalcio, scontrini ingialliti, ho 25 strati, scarpe magnetiche, residui di kalashnikov.
E per quanto arrivi in anticipo,  il viaggiatore di esperienza mi passa accanto roteando minitrolley ultra light roboanti portadocumenti e borse con computer strette e sottili. Si muove come un giocoliere, volteggia come un ballerino, muove 2 dita ed e’ nudo di ogni oggetto che possa minimamente solleticare il controllo. Cosi’, mentre io mi riallaccio la cintura, faccio cadere la giacca, mi perdo gli spicci, lui e’ gia’ a caccia della lounge.

Mi ha superato.

Esatto la lounge… Fino all’ultimo viaggio negli stati uniti, la lounge, per me, era quel tipo di musica che mettono al Buddha bar o al baretto di paese sotto casa la domenica dopo le partie e dopo 90esimo minuto, invece, nel mio primo viaggio transatlantico, ho scoperto che la lounge e’ una saletta riservata ai clienti che volano in business nascosta tra i negozi duty free.

Invece l’uomo d’affari domina la lounge come fosse il salone di casa sua, sa dove appendere gli abiti, collega il suo portatile ultrasottile, sa dove trovare i giornali, mentre sorseggia un bloody mary, sa che lo chiameranno all’ultimo minuto possibile, da un altoparlante internazionale, mentre io ansioso sono ai blocchi di partenza in attesa che sparino con la pistola per gli ultimi 100m

 

Conosce l’aereo a menadito, potrebbe quasi guidarlo, mentre io giro con la cartina del posto a sedere, e comincio a capire come funzioni quel telecomandino che regola nell’ordine: schienale, televisione, arrivo del cibo e mi permette di votare in parlamento.

Poi tiro fuori il mio LAPTOP….e non c’e’ PARTITA.

Ma a me pareva tanto bello al negozio e ti diro’, mi sembrava anche piccolo, poi lo confronto con quello del mio vicino (si esatto come si faceva negli spogliatoi del calcetto da piccoli) e il mio laptop si imbarazza, si sente un 486 al quartier generale della NASA.

 

C’e’ una bella luce da qui sopra…mentre sorvolo l’atlantico, per la prima volta e mentre penso che non diventero’ mai cosi’ flessuoso e agile, ma restero’ cosi’ un po’ bambino a cercare di capire come fanno questi siluri, pesanti e massicci ad alzarsi in volo ad emozionarmi col mio libro di carta e pagine e poi, comunque, lo dico anche al mio PC: viaggiando si impara

 
 
 
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