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Franco Battiato perdonerà la Murgia, o come ebbe a dire a Dario Fo, “se i miei testi non ti piacciono non me ne fotte un…”

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Con riferimento all’articolo della Murgia su Battiato, senza volermi unire al popolo degli indignati per le considerazioni tanto superficiali da essere indotto a dubitare della loro autenticità, vorrei fare qualche riflessione con una premessa. La premessa è che intendo dire quel che penso sulla questione in sé, senza, attraverso questa, esprimere alcun giudizio sulla persona. Inoltre, mi domando se la Murgia, a sostegno delle sue affermazioni, abbia compiuto un lavoro critico sui testi Di Franco Battiato e magari stabilito, e definitivamente risolto, il secolare dibattito fra testo letterario in senso stretto e testo letterario all’interno del genere canzone. Chiedo scusa per la lunga autocitazione che segue.

“Con il termine canzone siamo soliti indicare un determinato prodotto costituito, nei suoi elementi essenziali, da parola e musica. Dall’interazione variabile di questi due mondi espressivi, chimico o alchimista, il compositore, secondo la sua sensibilità e interesse, potrà privilegiare questo o quell’altro aspetto. Verrebbe da dire, allora, che testo e musica stanno alla canzone come la parte al tutto, ma affermare ciò sarebbe vero solo introducendo delle distinzioni. La distinzione che farei, utilizzando dei termini che con molta probabilità non appartengono al lessico musicale, è tra canzone in posa e in opera. Con il termine in posa intendo la composizione fondamentalmente costituita da frasi e note. In opera, a queste prime due vanno aggiunte, senza spingerci a considerare altri fattori inerenti la rappresentazione, la voce e l’interpretazione. Dall’antica Grecia, attraverso gli scritti filosofici e le leggende, ci arrivano molteplici testimonianze attestanti il grande potere che veniva attribuito al canto e alla musica.«Orfeo che trascinava i sassi, le piante e le belve con il suo canto […], Arione che i delfini, evocati dal canto, salvano dalla morte »[1]. Leggende che, a prescindere dalla peculiare situazione narrata, sono concordi nell’indicare il canto e la musica come dotati di un potere quasi sovrannaturale, «potere non soltanto emotivo ma addirittura di fascinazione, paralisi o eccitamento, delle facoltà volitive»[2]. La cultura greca, lontana dalle disquisizioni contemporanee, vede tra musica e poesia un legame molto stretto e talvolta un unico momento, un unico flusso. Così Omero, il cantore cieco che accompagna le sue parole con la cetra, esprime con la voce e lo strumento quel che nasce dal suo cuore. Concezione, questa, per alcuni versi abbastanza vicina a quella del moderno cantautore il quale, nella sua accezione più ortodossa, con sue parole e note, attraverso la sua voce e il suo corpo, manifesta l’orientamento della propria sensibilità.

Cantautore, quindi, come autore ed interprete di ciò che produce, ma non solo, oltre allo stile artistico è questione di stile di vita: egli ha la pretesa di denunciare, trasgredire, riflettere, approfondire ed esprimere il proprio punto di vista. In tal modo egli opera la rottura della concezione di canzone intesa come leggera, canzonetta, distrazione, produzione seriale attenta e sensibile alle logiche di mercato. Autore come segno di distinzione e affermazione d’identità, esso ha finito per far coincidere l’autorevolezza d’autore con la qualità letteraria del testo […], la tendenza generale è quella di avvalorare il poeta, di sottolineare la forza del linguaggio[3].  In realtà il dibattito, tutt’altro che chiuso, vede su questo punto pareri abbastanza discordi. Se per molti il cantautore è un moderno vate, più giovane ma semanticamente discendente dal poeta, per altri le differenze sono tante e tali da rendere improprio qualsiasi tipo di accostamento. Fra i due estremi è possibile individuare una linea più moderata, la quale, pur riconoscendo al cantautore qualcosa del poeta, letterato e compositore, lo distingue da questi. Rimane la difficoltà di collocare tale figura all’interno di categorie note. Comunemente utilizziamo espressioni come voce acuta, cupa, seducente, calda, autorevole, fredda… ma anche umile, sincera, ambigua… facendo trapelare un’interazione di sensi già in grado di stabilire un primo contatto, un primo livello comunicativo. Ulisse, per resistere al potere ipnotico della voce del canto delle sirene, si farà legare all’albero della nave sapendo che la volontà da sola non sarebbe stata sufficiente a trattenerlo. Se ne deduce che la voce del canto, incantevole, non solo può determinare o modificare stati d’animo ma, in qualche misura, estenderebbe la propria azione alle capacità volitive. Per quel che riguarda la canzone, è ovvio, la voce si pone come mediazione tra musica e testo. È anche vero, però, che in alcuni casi la voce dice da sola più di quanto non dicano testo e musica” Concludendo, a prescindere dal fatto che i testi di Battiato sono per molti e non solo per la Murgia irraggiungibili, non oso immaginare che tipo di analisi letteraria avrebbe fatto la Murgia dell’OM senza considerare il tono della voce.

N.B aggiungo la nota che qui riporto: “Michela Murgia aveva realizzato un piccolo format trasmesso sul suo canale YouTube. Si chiamava Buon Vicinato e, a ogni puntata, proponeva un dialogo con ospiti in collegamento in cui si provava a condurre una sorta di duello dialettico all’americana: si sceglieva un argomento e si polarizzava la discussione, come puro esercizio stilistico. C’era chi era a favore e c’è chi era contro. Non c’erano mezze misure e bisognava essere il più tranchant possibile.”

E’ questa la logica dell’agorà? “Voi avevate voci potenti / lingue allenate a battere il tamburo / voi avevate voci potenti / adatte per il vaffanculo.

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