Creato da Anteross il 21/02/2010

Eros ed Anteros

la sceneggiatura di un nuovo film

 

Rita

Post n°5 pubblicato il 04 Marzo 2014 da Anteross

Ieri ho rivisto Rita, era seduta tutta sola con un libro in mano, su un banco a ridosso della muraglia di cinta. L'ho riconosciuta dalla gonna ampia e pieghettata; anche al cimitero aveva una gonna simile e ricordavo di avere fatto la riflessione realistica che la fittezza di quelle pieghe serviva senza dubbio a nascondere una insolita larghezza dei fianchi.

Queste riflessioni mi hanno ricordato il misterioso impulso a confidarmi durante la visita al cimitero del primo novembre. Quell’incontro non doveva essere del tutto casuale, lo stesso fiore caduto dalle sue mani, perso nel sentiero, e richiamarla: – le è caduto questo… – forse no, non era del tutto casuale.
E la sua risposta che ricordo bene ancora: – Lei è molto gentile, avrei dovuto lasciar cadere una rosa rossa. –

Ora vedendola laggiù lontano sul suo banco ho provato di nuovo l'impulso e un senso di felicità mi ha gonfiato l'animo: avrei parlato di me stesso con abbandono; lei mi avrebbe ascoltato con interesse.

Mi sono avvicinato e ho detto con voce tremante, tutto di un fiato:
– Buongiorno, sono Lorenzo, si ricorda di me al cimitero? – Ha guardato in su: – Certo che ho ricordo di lei Lorenzo –
Ho proposto con il solito involontario trasporto: – Perché non ci diamo del tu? –
– Perché dovremmo darci del tu? Non siamo mica dei compagni di scuola. –

Ho sentito che arrossivo e ho detto mortificato: – Se non vuole continui pure a darmi del lei. –
– ah Ecco che arrossisci come una signorina! Hai troppo amor proprio, veramente! –

Quel "tu" casuale e affettuoso mi ha fatto piacere. Non ho potuto fare a meno di dire:
– Il fatto si è che provo con te un bisogno irresistibile di confidarmi. Non so cosa sia –

Ero sincero e al tempo stesso non lo ero anche perché sentivo che questa mia sincerità curiosamente non mi avvicinava di un solo passo a Rita.
Doveva essere cosi anche per lei perché ho avvertito qualche cosa di sforzato nella sua approvazione:
– Lo vedi, e io da parte mia sento un gran bisogno di apprendere qualche cosa di più su te. –
Ho detto: – Sono nato a Roma, se è ciò che tu vuoi sapere; ho trent'anni; mio padre è un uomo d'affari, ricco, ha un'agenzia immobiliare però non vive solo di questo, ma anche del fitto di appartamenti di sua proprietà...–
Mi guardava fissamente in una maniera imbarazzante tra indulgente e ironica.
Ho proseguito: – Sono vissuto a Roma fino all'età di quindici anni. Poi mia madre è morta. –
– Di che cosa è morta? –
– Di un incidente stradale assieme a mio zio. –
– E tu cosa hai fatto –
– Che cosa hanno fatto di me, vuoi dire? Mio padre non ha voluto prendersi delle responsabilità e alla fine sono andato a vivere a Milano da mia zia Maria –
– E ti piace vivere con tua zia Maria? –

Ho finto di esitare, in realtà stavo pensando ad altro.
Forse per sfuggire al suo non disinteressato interrogatorio, mi domandavo se Rita mi piaceva e la guardavo i per la prima volta con l'occhio del seduttore. Mi rendevo i conto, è vero, che ancora una volta cedevo alla tentazione della disponibilità; ma mi sono giustificato pensando che in qualsiasi uomo al mio posto, di fronte ad una benevolenza cosi pronunziata, si sarebbe comportato nello stesso modo.
Ecco, dunque, Rita.
Sedeva impettita, dritta; la giubba corta, dello stesso lino grezzo della gonna, era aperta e lasciava intravedere la camicetta bianca entro la quale traspariva, tenuamente roseo, il ricamo del reggiseno che sosteneva un pelle sporgente rotonda e giovanile; sorprendeva in una donna come lei, più vicina ai quarantacinque anni che ai trenta.
Poi il mio sguardo è disceso sotto la vita, si è fermato sui fianchi che si disegnavano appena sotto le pieghe della gonna.
Allora ho notato qualche cosa di singolare, ho creduto di non vedere bene e ho concentrato la mia attenzione.
Sì, era proprio vero, mentre mi andava interrogando con severità di maestra, senza parere di nulla, si era avvicinata a me e adesso il suo ginocchio, sotto tutte quelle pieghe a fisarmonica stava quasi impercettibilmente spostandosi verso il mio in movimento era reso visibile dalle pieghe che via via che la gamba si spostava, diventavano meno serrate, si aprivano. Rita si avvicinava, piano piano pensavo si volesse stringere a me.

Ho alzato gli occhi: Rita aveva un'espressione di disagio e mi guardava in maniera interrogativa e supplichevole.
Come in attesa di una risposta ad una sua muta domanda.
Ma invece che a lei, ho voluto rispondere a me stesso.
Mi piaceva Rita? Quel vivo sentimento di speranza che poco fa mi aveva tanto commosso, adesso si palesava per quello che era: il frutto ingannevole della solitudine? O c’era di più da scoprire in quel sentimento premuroso e cordiale?

Ma bisognava pure rispondere a lei.

– Si, mi piace vivere con mia Zia –
– Ha figli tua zia? –
– No, nessuno, ha solo me. –
– Lo dici come se volessi puntualizzare che potrebbe sostituire tua madre, è così? Mi sembra una madre accattivante…–

Avvertivo una risposta di provocazione o forse di gelosia, l’aveva certamente osservata bene durante la passeggiata al cimitero maggiore e non stento a credere che Rita avesse potuto pensare che mia zia fosse in realtà una mia compagna, un po’ per il modo in cui mia zia Maria si tiene sempre sotto braccio spingendosi con tutto il fianco contro il mio, un po’ per quel senso di gioventù che traspare nella scelta del suo abbigliamento, sempre molto raffinato ma di una rifinitura indisponente.

Io e Rita ci siamo guardati con imbarazzo e la vedevo un poco impaziente, ma non rispondevo e lei ha subito deviato il discorso.

– Dimmi qualcosa di più su di te Lorenzo, mi hai detto che sei un poeta, hai scritto poesie? –
– Credo di essere un poeta, ma è una credenza molto diffusa e poco originale. –
– E invece è originale. –

Ora dopo quel suo primo momento di impazienza, era tornata al tono affettuoso:
– Ed è uno dei motivi perché mi interesso a te; come si fa a credersi poeta senza aver mai scritto una sola poesia? Allora spiegami almeno che specie di poeta saresti. –
– Appunto un poeta che non ha scritto poesie. – 
– Ma, per quanto mi raccontavi le tue poesie, secondo te, le avrebbe già scritte un altro. Non è bizzarro? –

Ero contento che mi parlasse di poesia, anche se sentivo che la poesia serviva da copertura, per lei e per me, a qualche altra cosa.
– Non ho scritto poesie, perché le mie poesie le ha già scritte Prevert. –
– E perché non Mallarmé o Rimbaud o Baudelaire? – 
Sentendomi molto a mio agio di fronte all'interrogazione tutta letteraria anzi scolastica, ho risposto con sicurezza:
– Perché Mallarmé è troppo astratto e raffinato, Rimbaud troppo egocentrico e rivoltato, Baudelaire troppo moralista e disperato. Non ho nulla in comune con questi tre poeti. –
– Eppure sono più grandi di Prevert. –
– Sì, è vero, Prevert è inferiore a tutti e tre, ma è sentimentale, sensuale, carnale. Ma mi somiglia o meglio io somiglio a lui. –

– Dunque devo immaginare che tu Lorenzo sia sensuale e carnale, rispetto a come sembri? –
– Perché come sembro? –
– Mi sembri un ragazzo austero e timido, stento davvero a credere che tu sia carnale! –

Rita scoppiò in una alta risata portandosi vicino al viso una mano quasi a trattenere il ridere acuto, la risata la fece oscillare in un dondolio di disequilibrio che placò sorreggendosi furtivamente con una mano sulla mia gamba; continuava a ridere, ad ondularsi e a premere quella mano smaltata su di me, sempre più vicino l’interno coscia. Per un attimo mi sentii sfiorare l’inguine, ma subito dopo si ricompose facendo finta di nulla e giustificandosi sulla risata.
– Scusami Lorenzo, ma proprio questa cosa mi diverte, non te la prendere dai… ti dirò che a me piaci così, un poeta timido e austero. –

 
 
 

La partenza

Post n°3 pubblicato il 21 Febbraio 2010 da Anteross

 

Sopra la finestra, nella tenue penombra, le lunghe tende candide parevano fatte dello stesso tessuto di pizzo dei molti indumenti intimi sparsi per la camera. Ero appena entrato nella sua stanza da letto.

Il pavimento era seminato di scarpe, di calze; in terra le valige erano aperte ed ancora disfatte, abbandonate probabilmente dalla sera prima, come una rinuncia d’indecisione verso cosa portare con se e cosa lasciarsi addietro. La vestaglia di seta bianca era appesa ad un manichino di stoffa nero, con una spallina scesa.

Malgrado avessi bussato, al solito, lei non aveva pensato a ricoprirsi al mio ingresso ed era seminuda, vestita a tratti solo dalle lenzuola.

Distesa a pancia in giù, lasciava la schiena bruna illuminarsi da un rigo di sole e le gambe fuoriuscire nell’intermezzo delle lenzuola che coprivano le natiche.  Le cosce infondevano insieme accoglienza ed elogio: appariscenti e curvilinee erano proprio quelle di una donna che aveva ormai assorbito la carnosità dell’età.

L'età di mia zia si vedeva difatti in alcune smagliature della pelle e nel colore: una tinta di cera scura, lucida di crema, a tratti incisa di misteriosi segni, tracce di ricordi. Ma sotto il ginocchio, le gambe apparivano perfette, con un piccolissimo piede dalle dita raccolte.

Mi guardava fissamente, in silenzio, con un’espressione di rimpianto.

Avrei preferito non mostrarle il mio malumore; ma anche questa volta non seppi trattenermi:

 Ti ho pur detto tante volte di non ricevermi così, mezza nuda –  dissi con un leggero dispetto, senza guardarla.

Lei mi rispose, insofferente ma senza rancore: –  Uh, che nipote austero mi ritrovo – Ed invece di tirarsi sul corpo un lembo della coperta, si voltò lasciando un attimo di tempo il seno nudo, coprendolo poco dopo appena con l’avambraccio.

­­­– Allora, sei pronta per partire? –

– In realtà no, non mi sento pronta e mi sento del tutto inadeguata… –

– Inadeguata? –

– Non lo so, ci pensavo ieri sera mentre preparavo le valigie, da una parte ho sempre desiderato ciò che sta avvenendo, ma da un altro punto di vista mi sento fuori luogo, mi sento fuori tempo, ho paura… –

– Ed è per questo che le valigie sono ancora in questo stato? Ma poi paura di che cosa? – Presi a raccogliere gli indumenti in terra per posarli sul capo del letto, poco sotto i piedi di Maria. Ogni indumento cercavo di riconoscerlo per dare una classificazione ai capi smarriti.

– Ho paura di fare ingresso nella tua vita, di infastidirti… di finire con il darti noia… –

– Dai smettila, non so cosa ti possa far pensare questo… – ­

– Ad esempio al tuo ed al mio carattere, ci hai mai riflettuto sulle evidenti differenze? –

– E sentiamo quali sarebbero? –

– Tu sei molto intransigente, mentre io al contrario sono del tutto libertina e bonaria; tu sei un uomo molto risoluto, io invece sono piena di fragilità… –

– Si, ma non consideri il fatto che io sia anche molto accondiscendente, e se c’è qualcosa che non va te lo dico direttamente senza mezzi termini… –

– Si, questo è vero, ma non puoi negare che alcuni miei atteggiamenti ti infastidiscano –

– Ad esempio quali? –

– Il dormire fino a tardi e non farmi trovare pronta… –

Non riuscii a fare a meno di sorridere, poiché in quella risposta lasciava trapelare il suo sentirsi in difetto ed una vaga ricerca d’indulgenza.

Poi dissi in tono raddolcito: – Vediamo di rimediare allora… che ne dici di vestirti? –

– Ma sì, subito. Passami la sottoveste sul manichino –

La indossò lasciando liberi i seni pallidi, poi, leggera, quasi un'ombra, naturale, si alzò lasciando alzare l’orlo che svelò per un attimo l’intimità scura e gonfia dell’inguine; attraversò in punta di piedi la camera, raccolse al passaggio, dalla seggiola, la vestaglia nera gettandosela sulle spalle. Infine aprì l'uscio del bagno e scomparve.

Dileguatasi andai alla finestra per spalancarla. L'aria di fuori, era tiepida ed immobile, tuttavia mi sembrò di provare un sollievo acuto, un odore pulito che entrava nella camera a toccare ogni oggetto smaliziato.

Rimasi un lungo momento a guardare il giardino trascurato, erbacce alte che circondavano le aiuole ormai incolte. Nuovamente un senso di abbandono e di trasandatezza mi colpirono.

Poco dopo l'uscio del bagno si aprì, apparve sulla soglia in vestaglia. Si parò gli occhi con un braccio esclamando:  

– Chiudi... chiudi quella finestra... come puoi sopportare questa luce. –

Andai prontamente ad abbassare l'imposta; poi mi avvicinai a Maria prendendola per un braccio, la feci sedere accanto a me, sul bordo del letto e le domandai dolcemente: 

– E tu zia come fai a sopportare questo disordine? –

Mi guardò, incerta, imbarazzata:

– Non so come avviene... dovrei, ogni volta che mi servo di un oggetto, rimetterlo al suo posto... ma, in qualche modo, non riesco mai a ricordarmene. –

– Ogni cosa ha la sua maniera d’essere decorosa... dovresti avere cura delle cose così come l’hai verso la tua persona. ­–

Lo dicevo stringendole la mano, lasciandole intendere quello che voleva essere un implicito complimento alle cure che aveva verso se stessa. Con la mano libera lei reggeva in aria una stampella dalla quale pendeva un vestito. Per un momento, mi parve di scorgere in quegli occhi verdi, enormi, quasi un consapevole compiacimento: le labbra, infatti, ebbero un leggero tremito, chiuso da un morso e gli occhi diventarono leggermente lucidi.

Poi, improvvisamente, un'espressione indispettita scacciò ogni commozione.

Ella esclamò: – Tutto quello che sono e che faccio non ti piacerà lo so... non riuscirai a soffrire i miei modi, i miei vestiti, il mio disordine... e ora lasciami ­ –  concluse ritirando bruscamente la mano –  altrimenti non mi vestirò mai. –

Non dissi nulla.

Lei andò davanti alle imposte dell’armadio, si liberò della vestaglia che lasciò cadere in terra, poi di spalle ritirò il braccio destro all’interno della bretella facendo poi il medesimo gesto con la sinistra; la sottoveste cadde a terra  scoprendo tutto il suo corpo nudo.

Aprì l'armadio prese un vestito a fiori che porto al corpo guardandosi davanti allo specchio dello sportello.

Si voltò verso me il vestito ora le copriva il corpo, ma una gamba allacciava la parte inferiore mostrandosi ancora scoperta e sensuale. – ti piace? –

Io non dicevo nulla e la fissavo serioso; – Sempre con quell’aria di indifferenza tu… –

Seccata si chinò verso il cassetto per afferrare delle calze e la biancheria.

Si vestì di corsa lasciando tempo solo per indossare le calze. Saltellando, si infilò due tra le tante scarpe sparse sul pavimento.

– Ora usciamo un attimo – disse prendendo una borsa dal cassettone e avviandosi verso la porta.

– Dove vuoi andare? –

– Facciamo due passi e parliamo ancora. Sei proprio certo di volermi portare con te a Torino? –

Non le diedi risposta, ma conoscevo bene le miei intenzioni e la mia decisione.

– Dai andiamo a passeggiare… –

Prendemmo a scendere la scala; mi prese sottobraccio con entrambe le braccia e poggiò il capo sulla mia spalla soddisfatta.

 

 
 
 

La decisione

Post n°2 pubblicato il 21 Febbraio 2010 da Anteross

 

– E’ successo molto tempo fa, prima ancora che tu nascessi.

Io e Maria abbiamo avuto un momento di… leggerezza? Posso usare questo termine? Un momento che si è ritenuto fatale. Mi stai capendo vero? –

 – Credo di capire – ho risposto – ma vai avanti… – lo dicevo con l’impazienza di trovare un collegamento che mi coinvolgesse direttamente, al di fuori delle discendenze.

– Non abbiamo ragionato in quel momento, io non ho pensato a lei come la sorella di mia moglie; quella sera eravamo un po’ troppo euforici e l’ho vista esclusivamente come una donna. Non è una giustificazione e non ho giustificazioni in questa storia, solo piene responsabilità, ne sono consapevole. –

Si fermò, prendendo un fiato di tabacco e trovando il coraggio di alzare lo sguardo verso me. Avevo perduto il conto di quante ne aveva accese dagli evidenti sintomi di nervosismo. Il portacenere di cristallo ne raccoglieva almeno una decina ed erano solo le undici del mattino, lo confermava l’orologio sulla parete.

La mia attenzione si fermò verso una fotografia di famiglia posata sul mobile di noce in ingresso; erano ritratti tutti e quattro: mio padre, mia madre, mia zia Maria e mio zio Antonio.

– Era già sposata con zio? –  gli chiesi.

– No, non ancora, ma questo non alleggerisce l’accaduto, poiché ciò che c’è stato a seguito ne contiene il pieno del disumano. Voglio essere breve, visto che non ci sono forme o parole che mi possano favorire su ciò che ti sto svelando Lorenzo. Tua zia rimase gravida e la situazione la costrinse.....   

Non ricordo quanto tempo di silenzio intercorse da questa ultima frase raccapricciante ed il proseguimento del discorso, forse alcuni minuti. D’improvviso anche il chiasso della strada si placò lasciando il solo suono dei gabbiani sul Tevere. Mio padre finì con calma di fumare la sua sigaretta senza riprendere discorso, io intanto cercavo di collegare le frasi udite poco prima con la confessione ora nota. Guardavo attonito il vuoto pensando a Maria e a come avesse subito l’accaduto.

– Nessuno seppe nulla, ci trovammo entrambi responsabili del fatto. Io stavo per sposare tua madre ed il silenzio evitò di certo la vergogna… –

– L’uccisione più che il silenzio… – replicai con chiara istigazione.

– Sì, l’uccisione, non credere difatti che non mi senta un criminale, anche se la legge lascia legittima tale scelta.

Ci sono decisioni che ti porti dietro tutta la vita e non puoi rimuoverle, l’ho imparato sulla mia pelle. Anche il rapporto con Maria si è trasformato nel rancore, un rancore che ha alimentato odio in maniera implacabile. Dal principio lei si arrampicò nel trovare una giustificazione alla rabbia, come fosse vittima di un’ingiustizia, ma inutile… questa violenza l’avevamo decisa noi.

Più l’odio si giustificava e più sottraeva noi un principio di riconciliazione… sto parlando di riconciliazione dell’anima. Tu lo sai Lorenzo, io non sono mai stato credente, eppure… tutta la vita mi sento in colpa con Dio, con Maria… con me stesso. Abbiamo una colpa che non è possibile scontare, non ne esiste assoluzione alcuna malgrado dicano che sia infinita la Sua misericordia. –

– Perché non ti sei assunto le tue responsabilità? –

– E’ la prima cosa che ho pensato, credimi… ma Maria stessa non ha voluto. Non c’era amore tra noi e non poteva esserci futuro. Poi accadde quell’incidente in auto, tu eri ancora piccolo. La sorte ci giocò questa altra incredibile ingiustizia. Non ho mai capito se sentirmi in colpa anche di questo; fui io ad insistere per far salire tua madre davanti, vicino a tuo zio che guidava. Io e Maria ci sedemmo ai posti posteriori, lo schianto fu terribile e ci salvammo solo noi due. –

Ebbi l’impressione di estraneità da tutta quella vicenda, difatti avevo un ricordo assai vago di quella disgrazia poiché accadde pressappoco quando avevo cinque anni. Forse quel senso di estraneità era anche un senso di difesa. Ero stato abituato a crescere così, a prendere l’incidente come un fatto prestabilito ed irreversibile, ciò mi consentiva di essere più spettatore che protagonista in scena. In nessun modo mi ero sentivo urtato dai fatti… dunque perché coinvolgermi?

– Avete fatto il mio nome? Perché? Io cosa centro in tutto questo? –

– Tu non centri nulla in tutto questo, ma passò solo un solo mese dall’interruzione della gravidanza di tua zia, all’annunciazione dello stato interessante di tua madre; stavi nascendo. Maria riprese forza su tale evento, lo considerò quasi come un miracolo. Per condiscendere a tale entusiasmo ti chiamai Lorenzo sotto suo suggerimento. La tua nascita temperò molte cose… –

– Ma non mi hai ancora detto perché avete fatto il mio nome… –

– Va bene, veniamo al dunque. Maria… vorrebbe venire a vivere con te a Torino e mi ha chiesto di chiedertelo… –

– Perché lo chiede a te e non a me? –

– Perché la sua richiesta è strettamente legata a questa storia e lei non avrebbe mai trovato il coraggio di raccontartela. Ti dico una cosa Lorenzo: io non sono contrariato da questo suo desiderio e credo di comprenderla benissimo, ma la scelta spetta a te, solamente a te… e sarai tu a dirle direttamente di sì o di no. Vorrei che ci riflettessi… –

Rimasi in silenzio e presi il mio cappotto.

– Ci rifletterò… –

Non aggiunsi altro anche se sentivo di lanciare ancora qualche offesa verso mio padre, solo per il profondo risentimento che mi aveva lasciato la sua confessione. Prima che aprii la porta di casa mi disse ancora un ultima frase.

– In realtà, so che non è giusto, ma non nego il desiderio di vederti prendere una decisione che sia molto più generosa di quella che abbia fatto tuo padre trent’anni fa. –

 

 
 
 

La verità

Post n°1 pubblicato il 21 Febbraio 2010 da Anteross

 

– Ora ti racconterò la verità – mi disse.

Si accese una sigaretta che gli permetteva di trovare lo spunto migliore per iniziare ed anche quel coraggio che in quel momento gli mancava. Non avevo mai visto tanta apprensione calare sul viso di mio padre: ansia, paura… indecisione, disegnavano il viso tratti di pieghe e venature turgide.

Una nuvola di fumo volò tra le labbra attendendo ancora nel silenzio di intonare il discorso, nel contempo si pronunciava nuovamente l’epilogo, come una seconda pagina sfogliata che riporta il titolo letto precedentemente in copertina: –  è giusto che tu sappia la verità –

La stanza era illuminata da quel sole della capitale che ricordavo bene, quell’aria che avevo respirato d’adolescente e nell’infanzia. Le finestre erano aperte verso la piazza del Collegio Romano, quinto piano. Noi non potevamo acconsentire di lasciare entrare così l’aria mattutina a Torino, poiché il freddo avrebbe scheggiato sull’abitazione; quello stesso giorno a Torino annunciarono la neve.

– Siediti Lorenzo, quello che ho da dirti è molto importante –  stemperava ancora mio padre per afferrare l’ennesimo alibi che gli permettesse di avere fiato ancora. Come se qualcosa dipendesse da dove ero posizionato?

–  Tranquillo… non mi butterò dal quinto piano –  sdrammatizzavo, forse per permettergli maggiore serenità e dargli uno spunto d’inizio. Qualche solco sul suo viso difatti riprendeva i lineamenti comuni, sfiammandosi.

Io ero tranquillo ed incuriosito, mettevo in atto la mia nonchalance, per dirla alla francese. L’aria che mi arrivava in viso riportava l’eco delle voci usate, voci alte, udite poco prima nel pianerottolo fuori casa: voci di mia zia Maria e voci di mio padre che si guerreggiavano tra loro, cosa stava accadendo? …

– Ho diritto di riprendermi quello che tu mi hai rubato! –

– smettila! Vuoi farmi credere che sia stata una decisione solo mia? –

– Lorenzo starà con me! –  Maria urlava tra i singhiozzi di un pianto straziante su cui faticava ad unire le parole.

Se non fosse stato pronunciato il mio nome, avrei ripreso l’ascensore per allontanarmi con discrezione da quelle urla, ma ne ero coinvolto, divenivo protagonista del discorso e questo mi spingeva a saperne di più su cosa accadeva. Mi accostavo alla porta per ascoltare; mi muovevo lentamente per non fare rumori. Quando non si udirono più, avvertii il silenzio infrangersi nel pianto struggente di mia zia.

L’attesa di spezzava in un’ultima frase di mio padre – Ti darò tempo fino ad aprile – ed in quel momento tutto riprese movimento in una scena di fotogramma che potevo immaginare anche se non avevo possibilità di vedere oltre il portone di legno; Maria deve essersi alzata di scatto afferrando il suo paltò e lasciando cadere a terra qualcosa che rumoreggiava, pochi passi sui tacchi alti per arrivare in un baleno ad aprire la porta e trovarmi di fronte a se.

Mi ha guardato fisso per qualche secondo, con gli occhi lucidi e con il rimmel pasticciato in viso dal pianto, ha accennato una carezza sul mio viso con un dito, mordendosi il rossetto; nello stesso istante mio padre dalla stanza pronunciava con stupore e sgomento il mio nome: – Lorenzo! – Poi Maria non ha più trattenuto le lacrime ed è corsa via sulla rampa delle scale, senza fermarsi ad aspettate l’ascensore…

Ho ancora l’immagine mentre la vedevo scendere lungo la spirale delle scale che portano all’ingresso del palazzo, il paltò tenuto sul braccio, la sua mano curata a sorreggersi sul corrimano ed un eco di pianto.

Entrando pensai subito di bluffare, non lasciai alcuna parola a mio padre afferrando il controllo della situazione; sì… ero dietro la porta e avrei potuto ascoltare il discorso sin dall’inizio e così ho lasciato credere:  – Ho ascoltato abbastanza, mi devi delle spiegazioni – non era vero, il poco che avevo ascoltato non era sufficiente per comprendere le ragioni del litigio e dello stato di Maria. Ma mio padre non lasciò alcun indugio al caso, almeno così sembrava lasciar credere dalle sue parole pronte di replica, ma non altrettanto pronte a trovare coraggio nell’affrontare il discorso.

– Ora ti racconterò la verità – mi disse.

Ed eccolo nuovamente il ritorno verso scena nel suo viso gonfio ed inenarrabile. La sigaretta trattiene in se tutta la cenere del tabacco bruciato, un attimo ancora e poi cadrà svelandomi il mistero.

 

 
 
 

 

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