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12 e 13 Giugno VOTIAMO 4 SI SI SI SI

Post n°58 pubblicato il 05 Maggio 2011 da CHEgirl
 
Foto di CHEgirl

 

 

 

Referendum, adesso la Rai è obbligata a informare

di Claudia Fusani 

acqua

Con un mese di ritardo e al prezzo di uno scambio di difficile digestione, la Commissione di vigilanza sulla Rai ha approvato il regolamento sull’informazione pubblica per i referendum. Un atto dovuto, sia chiaro, previsto dalla Legge, e che finora la maggioranza ha rinviato facendo sistematicamente mancare in Commissione il numero legale. Per sette volte, a partire dal 4 aprile giorno in cui i quattro quesiti referendari su nucleare, acqua e legittimo impedimento sono stati ammessi dalla Consulta, Pdl, Lega e Responsabili non si sono presentati in blocco a San Macuto e il presidente Sergio Zavoli ha dovuto alzare ogni volta bandiera bianca. Da una settimana sotto San Macuto si sono dati appuntamento i Comitati referendari con tutte le sigle e i partiti che hanno promosso i referendum a partire da Idv e Arci. Il deputato radicale Marco Beltrandi ha occupato l’aula della Commissione e ne è uscito ieri solo dopo l’ok al Regolamento (non l’ha votato perchè «troppo restrittivo nella parte in cui decide gli aventi diritto alla tribune referendarie, mette l’obbligo di due parlamentari quando ne è sempre bastato uno»).

Il regolamento, undici articoli, obbliga il servizio pubblico a indire tribune referendarie, «con il dovere di prevederli anche nelle fasce orarie di massimo ascolto (18-22 e 30)»; a trasmettere i messaggi autogestiti, veri e proprio spot; trasmissioni di approfondimento dedicate al tema dei referendum e l’informazione nei telegiornali.


Il fatto è che la Rai avrebbe potuto organizzare una corretta informazione - sì e no il venti per cento degli italiani oggi sanno che il 12 e il 13 giugno ci sono le consultazioni referendarie - anche senza l’approvazione del Regolamento. Ma il governo ha messo la sordina totale sul tema, punta - e lo dice chiaramente - a non far avere il quorum ai quesiti. Per raggiungere questo obiettivo ha avviato da un paio di settimane «il gioco» di approvare leggi, o decreti - sul nucleare e oggi probabilmente sull’acqua - tali da rendere nulli i quesiti e far morire, in questo modo, anche il terzo che il premier teme di più in assoluto: quello sul legittimo impedimento. Non far approvare il Regolamento Rai, il silenzio tv, era solo una parte del piano.


La svolta, dopo le lettere di Zavoli e di Di Pietro, è arrivata martedì sera quando i presidenti di Camera e Senato hanno detto stop all’ostruzionismo della maggioranza. E il presidente Sergio Zavoli ha accettato di calendarizzare il famigerato «atto di pluralismo Butti» che impone spazi, domande e conduttori di destra nei talk show in ugual misura di quelli gestiti da giornalisti, secondo Berlusconi, di sinistra, cioè Floris, Santoro e Dandini.


«La Rai - spiega Antonello Falomi, consulente per i Comitati referendari - ha sottratto ai cittadini un mese di informazione sui referendum. Avrebbe potuto garantirla lo stesso, a prescindere dall’approvazione del Regolamento. Così come ha applicato, prima del voto di oggi, l’unica clausola negativa. Il Regolamento infatti prevede, una volta approvato, che l’informazione sui referendum resti nei confini previsti. Bene: il Primo maggio è stata fatto firmare agli artisti sul palco di San Giovanni l’impegno a non parlare di referendum».


Vincenzo Vita (Pd) ringrazia «il presidente Zavoli e i Comitati referendari: non era scontato il via libera di oggi al regolamento». E attacca la maggioranza «per aver preteso lo scambio tra un atto dovuto come il Regolamento con una proposta della maggioranza come l’atto di indirizzo Butti». Che per il radicale Marco Beltrandi è «quanto di più indigeribile sia stato visto in questi anni sotto il profilo della libertà d’informazione». L’atto Butti pretende che «nei talk show i partiti parlino a seconda della percentuale di voti ottenuta: è la cristallizzazione del consenso elettorale. È mostruoso». Ma ancora di più lo è che «Zavoli abbia assicurato il voto sull’atto Butti tra il 17 e il 19 maggio».
5 maggio 2011
 
 
 

Beatificazione Giovanni Paolo II, ambulanza con neonato presa a calci dai pellegrini "2"

Post n°57 pubblicato il 04 Maggio 2011 da CHEgirl
 

Perchè TUTTO TACE?


Perchè Voi che vi Definite Cristiani

NON DIVULGATE quest'episodio?


Perchè Vi Nascondete?


Ma NON vi sentite in colpa?


Penso porprio che Voi Bigotti_Cristiani ancora una volta DIMOSTRATE che siete delle persone INFIDE.

 

Roma: ambulanza con neonato a bordo bloccata tra i pellegrini che la prendono a calci

ROMA – Un’ambulanza che durante la beatificazione di Giovanni Paolo II, domenica mattina a Roma, doveva trasportare con urgenza un neonato all’ospedale Bambino Gesù, è rimasta intrappolata in mezzo alla folla. Il mezzo è stato anche preso a calci da alcuni pellegrini che non hanno gradito il rumore della sirena.

Rimasti intrappolati anche i genitori del piccolo, che seguivano l’ambulanza da dietro. Solo l’intervento della protezione civile e dei volontari ha permesso di aprire un varco tra la folla e far passare il veicolo dopo ben dieci minuti. Il piccolo è arrivato in ospedale, ma le sue condizioni restano critiche.

Il piccolo è nato sabato sera, verso le 22, a Villa San Pietro, sulla Cassia, con una malformazione. Per questo i medici hanno deciso di trasferirlo con urgenza al Bambino Gesù, specializzato nella cura dei piccoli. L’ambulanza verso le 9 di domenica si è quindi avviata verso l’ospedale, situato proprio vicino il Vaticano. Non avendo avuto comunicazioni su cambiamenti del percorso, l’autista ha seguito la solita strada a due passi da via della Conciliazione, presa d’assalto da un milione di fedeli per la beatificazione.

Il mezzo ha attivato la sirena, ma qualche pellegrino non si è reso conto della reale urgenza della situazione e ha preso a calci sia l’ambulanza che la macchina che la seguiva. “Per dieci minuti siamo rimasti bloccati – racconta lo zio -, non andavamo né avanti, né indietro, temevamo di non arrivare al Bambino Gesù. L’ambulanza a un certo punto ha spento il motore. Solo grazie al coraggio di alcuni volontari della protezione civile che sono accorsi e degli agenti della polizia municipale alla fine di un’attesa che a noi è apparsa eterna siamo riusciti a passare. Ma perché nessuno ha modificato il percorso o quanto meno perché non sono state lasciate aree di passaggio per le ambulanze?”.

 
 
 

Beatificazione Giovanni Paolo II, ambulanza con neonato presa a calci dai pellegrini

Post n°56 pubblicato il 04 Maggio 2011 da CHEgirl
 

Ecco il Gesto di Carità.... NASCONDETEVI Bigotti_Cristiani e mi raccomando tenete nascosto quanto dice quest'articolo perchè parla del Vostro Menefreghismo verso il prossimo.


VERGOGNATEVI

 

 

Beatificazione Giovanni Paolo II, ambulanza con neonato presa a calci dai pellegrini

Domenica, 1 Maggio 2011.

Beatificazione di Giovanni Paolo II a Roma
Brutta avventura per un’ambulanza durante la beatificazione di Giovanni Paolo II di stamattina a Roma. Il mezzo che doveva trasportare con urgenza un neonato all’ospedale Bambino Gesù è rimasto intrappolato in mezzo alla folla e preso a calci da alcuni pellegrini, che non hanno gradito il rumore della sirena. Rimasti intrappolati anche i genitori del piccolo, che seguivano l’ambulanza da dietro. L’intervento della protezione civile e dei volontari ha permesso di aprire un varco tra la folla e far passare il veicolo dopo dieci minuti. Il piccolo è arrivato in ospedale, ma le sue condizioni restano critiche.


Un episodio che ha un po’ macchiato la festa della beatificazione di Giovanni Paolo II . Il piccolo è nato ieri verso le 22 a Villa San Pietro, sulla Cassia, con una malformazione. Per questo i medici hanno deciso di trasferirlo con urgenza al Bambino Gesù, specializzato nella cura dei piccoli. L’ambulanza verso le 9 di stamattina si è avviata verso l’ospedale, situato proprio vicino il Vaticano. Non avendo avuto comunicazioni su cambiamenti del percorso, l’autista ha seguito la solida strada a due passi da via della Conciliazione, presa d’assalto da un milione di fedeli per la beatificazione.
 
Il mezzo ha attivato la sirena, ma qualche pellegrino non si è reso conto della reale urgenza della situazione e ha preso a calci sia l’ambulanza che la macchina che la seguiva. “Per dieci minuti siamo rimasti bloccati – racconta lo zio -, non andavamo né avanti, né indietro, temevamo di non arrivare al Bambino Gesù. L’ambulanza a un certo punto ha spento il motore. Solo grazie al coraggio di alcuni volontari della protezione civile che sono accorsi e degli agenti della polizia municipale alla fine di un’attesa che a noi è apparsa eterna siamo riusciti a passare. Ma perché nessuno ha modificato il percorso o quanto meno perché non sono state lasciate aree di passaggio per le ambulanze?”.

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Facciamoci SENTIRE.....

Post n°55 pubblicato il 21 Aprile 2011 da CHEgirl
 

Il 25 aprile dell'ANPI di Roma

lunedì 25 aprile 2011 ·





L'ANPI di Roma e del Lazio incontra i cittadini democratici e antifascisti a Porta San Paolo, luogo simbolo della Resistenza romana.
Lunedì 25 aprile ore 10
Porta San Paolo
Ostiense

Di seguito una nota di Massimo Rendina:
CARI AMICI E COMPAGNI,
NELLA RICORRENZA DEL 25 APRILE I NOSTRI SENTIMENTI SONO PRESI DALL'ENTUSIASMO PER LA LIBERAZIONE, IL CUI RICORDO E IL MAGISTERO SONO PER NOI LA RAGIONE DELLA CONTINUITA' ASSOCIATIVA. NELLO STESSO TEMPO TEMIAMO PER L'INVOLUZIONE DEMOCRATICA PROVOCATA DA UNA MAGGIORANZA GOVERNATIVA DIMENTICA DEI SACRIFICI DEL POPOLO ITALIANO PER CONQUISTARE LA LIBERTA' E LA DIGNITA'.
SE IL 25 APRILE E' UN GIORNO DI FESTA E' ANCHE IL GIORNO DEL RINNOVATO IMPEGNO PER IL PROGRESSO DEMOCRATICO, SOCIALE, E DELLA NOSTRA FORTE PRESENZA PER LA PACE E LA CONVIVENZA CIVILE IN ITALIA E NEL CONTESTO INTERNAZIONALE.
VI RACCOMANDIAMO LA MASSIMA DIVULGAZIONE E PARTECIPAZIONE CON FAZZOLETTI DELL'ANPI.
CORDIALI SALUTI
MASSIMO RENDINA
Presidente ANPI di Roma e Lazio

Porta San Paolo ore 10
per celebrare la Liberazione, testimoniare la fedeltà alle libertà democratiche costituzionali,
rinnovare l’impegno per la pace, la solidarietà, la giustizia sociale

 
 
 

La Germania NON ha ESAGERATO

Post n°54 pubblicato il 19 Aprile 2011 da CHEgirl
 

 

ESEMPIO DI QUANTO L'ITALIA è SCESA IN BASSO ALL'ESTERO

Germania: accesso vietato al ristorante agli elettori Pdl

Germania: accesso vietato al ristorante agli elettori Pdl

16/03/2010, ore 13:09 - 

BERLINO - E' solo una foto, quella che vedete a fianco, ma è significativa. Si tratta di un cartello esposto da coloro che gestiscono un ristorante a Berlino e fotografata da un turista. E significative sono le scritte: "Berlusconi-elettori non benvenuti" e "Niente cervello-niente servizio". A giudicare da come sono scritte, sembrano opera di qualcuno di madrelingua tedesca.
Il punto non è tanto il cartello in sè, che può essere valutato anche come goliardico o una boutade. E' ciò che rappresenta: la sfiducia e il disprezzo verso gli italiani che eleggono come capo del governo una persona del genere. Infatti non è un caso isolato: di recente, durante la sfilata dei carri allegorici del carnevale di Dussldorf è stato mostrato un carro dove un mafioso sodomizzava un Berlusconi felice; a Berlino un altro carro mostrava sempre Berlusconi che nuotava in un mare di tette. Il nostro è l'unico capo di governo che non viene mai associato ad alcuna attività legislativa, positiva o negativa che sia.




ALL'UNIVERSITà HUMBOLDT, CARTELLI E GRIDA

Germania: Alfano contestato al convegno, scappa via

Germania: Alfano contestato al convegno, scappa via

14/04/2011, ore 15:30 - 

BERLINO - Era stata annunciata in pompa magna la presenza del Ministro della Giustizia italiano Angelino Alfano in un convegno, ospitato dall'Università Humboldt di Berlino, dal titolo: "La lotta contro il terrorismo e il crimine organizzato transnazionale: la prospettiva italiana". Era tutto a posto, ma già prima che il ministro apparisse, in aula si erano sollevati cartelli in italiano e tedesco contro il Ministro, con scritte come: "L'Aquila breve”, “Basta mafia”, “Alfano teorico ed esecutore del tagliaprocessi” , “Vergogna” “Il tuo capo bunga bunga ti ringrazia”, “Più giudici, più personale, più soldi, più tecnologia vere riforme". Alcuni studenti italiani hanno anche cominciato a gridare: "Avete giurato sulla bandiera della Repubblica italiana".
Il portavoce dell'università più volte è intervenuto per cercare di far togliere i cartelli e per invitare a avere comportamenti simili, ma senza alcun risultato. Una decina di minuti dopo quello che doveva essere l'inizio dell'intervento del Ministro, il portavoce è rientrato in sala e ha annunciato che non ci sarebbe stato il convegno in quanto Alfano aveva avuto "improrogabili impegni urgenti" e quindi era andato via.

di A.Rispoli

 

 
 
 

"SANDRO PERTINI" l'UNICO PRESIDENTE degno di Governare l' ITALIA

Post n°53 pubblicato il 17 Marzo 2011 da CHEgirl

Febbraio 1982... Ho conosciuto l'Unico GRANDE Presidente della Repubblica che la Nostra Nazione abbia mai avuto.

Caro Presidente "Odierno",

non sei degno neanche

di pulirgli le scarpe,

stai portando l'Italia

dritta dritta allo sprofondo.

NON coprirti dietro il berluska

perchè

SANDRO PERTINI

non l'avrebbe mai

CONCESSO.



VERGOGNATI

 

 

 

 
 
 

L’unica garibaldina....

Post n°52 pubblicato il 17 Marzo 2011 da CHEgirl

L’unica garibaldina

Antonia Masanello

si travestì da uomo,

combattendo

insieme al marito

 

 

Il caporale era un garibaldino, anzi l’unica garibaldina della storia: bionda, esile, bella. Antonia Masanello, coniugata Marinello, fu smobilitata assieme allo sposo con le altre camicie rosse dopo molti combattimenti e morì a Firenze nel 1862, a 29 anni. «Ho impiegato anni per dare sangue e carne a Tonina, come la chiamiamo noi, ad una figura che era solo mitica —racconta da Cervarese Santa Croce, Alberto Espen, il bibliotecario e storico che l’ha riscoperta— Quando ho ritrovato il suo certificato di battesimo quasi non credevo ai miei occhi». «La garibaldina? Zia Tonina... per noi è come una vecchia zia, di cui abbiamo sempre sentito parlare e ogni anno andavo con nonno Umberto e babbo Giovanni a portare un fiore sulla sua tomba», dice Paolo Marinello, il pronipote che a Firenze lavora e conserva la memoria di quell’ava formidabile. Antonia, Tonina, Masanella, la garibaldina. La sua storia è così incredibile che non sembra vera. Antonia Masanello di Antonio e di Maria Lucca di Zianigo fu battezzata il 28 luglio 1833 dal parroco di Montemerlo, frazioncina di Cervarese, don Giuseppe Lazzarotto, «padrino Agostin Terribile di Trambacche, mammana Francesca Romanin vedova Tessari».

Di famiglia povera, con il marito —non conosciamo neppure il suo nome, non sappiamo né dove lo conobbe, forse sul porto fluviale del castello di San Martino che si trovava vicino a casa sua, né quando fu celebrato il matrimonio— condivise gli ideali liberali e patriottici. Ben presto la polizia austriaca, il Veneto era sotto gli Asburgo, iniziò a tenere d’occhio la coppia che nel frattempo aveva avuto una figlia. Nella primavera del 1860, nottetempo, i due presero la bambina, varcarono la frontiera e scapparono a Modena. Ma non basta: affidata la figlioletta a qualcuno di cui si fidavano, corsero verso Genova dove si stava preparando la spedizione dei Mille. Arrivati dopo che il Piemonte ed il Lombardo erano salpati, si dettero da fare e alla fine si aggregarono alla spedizione del pavese Gaetano Sacchi: forse fu in quei giorni che Tonina decise, per non lasciare il marito, di nascondere il suo sesso, vestendosi da uomo e facendosi passare per Antonio Marinello, il fratello minore. Il travestimento ebbe successo, nessuno si accorse di niente e i due inseparabili sposini approdarono in Sicilia, subito dopo il trionfo dei Mille a Calatafimi. Accanto al «fratello» affrontò difficoltà e battaglie, compresi i durissimi scontri del Volturno, fino ad ottenere il brevetto di caporale. Narra la leggenda che solo il maggiore Bossi e il colonnello Ferracini conoscessero il suo vero sesso, che suo marito fu ferito più volte ma lei rimase sempre indenne, nonostante combattessero fianco a fianco, e che durante una mischia le volò via il berretto e vedendo i biondi capelli il generale Garibaldi intuisse la sua vera identità.

 
Finita l’avventura Antonio, tornato Tonina, e il marito ripresero la bambina a Modena e andarono a Firenze. Abitavano, poverissimi, nel cuore della città, le strette e sudice stradine tra il Ghetto e il mercato antico, in piazza de’ Marroni (scomparsa come altre piazze e strade per far posto a piazza della Repubblica quando il centro fu sventrato alla fine dell’Ottocento). Minata dalla tisi, Tonina morì il 20 o il 21 maggio 1862 e la notizia si sparse in città. Lo Zenzero, giornale edito a Firenze, raccontava il 23 maggio: «Popolani miei carissimi ieri l’altro sera quella bara che portava un cadavere all’ultima dimora dissero era di un garibaldino, anzi dissero una Garibaldina. Non sapete altro? Ascoltate». L’articolista spiegava che fu una combattente, né vivandiera, né infermiera, «che col suo fucile in spalla fece tutto quel che fecero quei generosi giovani», che «montava le guardie », che fece tutto «con disinvoltura e coraggio». La sua fama spinse l’intellettuale Francesco dell’Ongaro a dedicarle una poesia, Tonina fu sepolta al cimitero monumentale delle Porte Sante «all’ombra della torre di San Miniato» e perfino un quotidiano di New Orleans scrisse della morte dell’«eroina italiana», mentre la suffragetta Ada Corbellini chiese di riposare accanto a lei.

Sulla sua tomba una grande lapide riportava il cognome del marito ed i versi dell’ode di dell’Ongaro: «Era bionda, era bella, era piccina, ma avea cuor di leone. E se non fosse che era nata donna, poserebbe sul funereo letto colla medaglia del valor sul petto. Ma che fa la medaglia e tutto il resto, pugnò col Garibaldi e basti questo». Dal 1958 quella lapide è al cimitero di Trespiano, sotto il pennone del tricolore issato tra le sessanta tombe dei garibaldini. «Di lei si parlava a filò (veglia, in dialetto veneto, ndr) nelle stalle, ma sembrava quasi una leggenda — sottolinea Alberto Espen — e invece documenti e giornali ci dicono che la sua fama era meritata, che fu davvero una donna eccezionale ». «Per noi è sempre stata una di famiglia. La sua storia, e quella di suo maritò che si risposò qui, era tramandata dai nonni — conclude il pronipote Paolo Marinello — Siamo contenti che finalmente l’oblio sulla nostra antenata stia svanendo». Ieri, a pochi giorni dal 148esimo anniversario della sua morte, il tricolore sventolava nel sole sopra la tomba di Antonia Masanello in Marinello: quasi un risarcimento simbolico ad una donna che combattè e mise a rischio tutta la sua vita per l’Unità d’Italia. 3- Continua

Mauro Bonciani
16 febbraio 2011

 
 
 

Oggi: MANIFESTAZIONE a DIFESA della COSTITUZIONE...

Post n°51 pubblicato il 12 Marzo 2011 da CHEgirl
 

 

 

Oggi: MANIFESTAZIONE a DIFESA della COSTITUZIONE...



Ore 14.00 Piazza della Repubblica Roma.

Percorso: da piazza della Repubblica e passando per via Emanuele Orlando, largo di Santa Susanna, via Barberini, piazza Barberini, via Sistina, piazza Trinita' dei Monti, viale Trinita' dei Monti e via Gabriele D'Annunzio arrivera' in piazza del Popolo.

 


 
 
 

P.C.I. alias Massimo Troisi

Post n°50 pubblicato il 11 Marzo 2011 da CHEgirl
 

 

Una "SCRITTA" così l'ho sempre Sognata...

Due miei Amori Adolescenziali, ed  a tutt'oggi, uniti in una sola e grande "cosa".

Ritrovarla per puro caso, nella città dove abito da poco, non è una "cosa" INUSUALE.

Ma questa "cosa" quanto ha Contato nella mia Vita?

Direi moltissimo...

Sogno ad occhi aperti ogni volta che passo davanti a questa "cosa" e poi abbasso il volto e scuoto la testa con tristezza.

 

Entrambi

NON

ESISTONO

PIU'



 
 
 

BerlusKa ed i NOSTRI SOLDI...

Post n°49 pubblicato il 10 Marzo 2011 da CHEgirl

NON

ho

PAROLE

...

dal "ilsole24ore"

Tutte le spese del premier in un articolo destinato a far discutere

Questo articolo è stato pubblicato il 09 marzo 2011 alle ore 21:46.

«Il Garante per la Privacy avvia un'attività istruttoria in merito alla pubblicazione, da parte di un quotidiano, di informazioni relative ad un estratto conto, ricondotto dal giornale al presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi». A renderlo noto attraverso un comunicato è la stessa Autorità Garante. Questa la cronaca della giornata che nel pomeriggio pone evidentemente sotto i riflettori l'articolo del il Corriere della Sera dal titolo «Avvocati, donne, case e regali. Tutte le spese del Cavaliere».

Secondo l'articolo a firma Luigi Ferrarella e Giuseppe Guastella il premier avrebbe speso nel 2010 «dalle cravatte ai gioielli» ben 34 milioni di euro.

Il quotidiano di via Solferino tra le spese di maggior rilievo dal punto di vista mediatico riporta «562 mila euro a ragazze giovani e formose» e «100 mila euro alla rossa ex-concorrente del grande fratello, Angela Sozio». Poi ci sono altre spese per interventi presso il Castello di Paraggi e i 441 mila euro pagati all'avvocato del premier,Niccolò Ghedini.

Curiosità
Tra le curiosità di un uomo dal ricchissimo portafoglio come il presidente del Consiglio, che lo ricordiamo ha appena incassato dividendi per 127,5 milioni di euro, i 120 mila euro pagati al negozio preferito, la celebre firma delle cravatte,
Marinella.

Il giornale diretto da Ferruccio de Bortoli segnala poi le spese fatte dal Ragionier Spinelli al centro dell'inchiesta dei magistrati per lo scandalo Ruby. E, ancora, le spese che lo stesso quotidiano definisce spiccioli per 10 milioni e 400 mila euro, cifra enorme, come possono apparire anche molte altre, ma che vanno comunque rapportate alle enormi ricchezze da vero e proprio "Paperone" del protagonista della vicenda.

Beneficenza
Di certo non manca fra le spese anche la beneficenza: 70 mila sono per esempio gli euro donati dal presidente del consiglio dei ministri per il restauro di una parrocchia, mentre 2.000 sono gli euro che Berlusconi ha donati ai Salesiani da cui il premier studiò da ragazzo. Aggiungasi poi i 40 mila euro dati in dono alla squadra di rugby dell'Aquila.

Polemiche a parte, e quelle generate da questo articolo del Corriere della Sera si preannunciano calde, è vero che a fare i conti in tasca ad un "miliardario" come il premier si rischia davvero di far girare la testa, specie a chi a tali cifre non è nè sarà mai avvezzo: il materiale emerso e soprattutto l'entità delle cifre è tale che, c'è da essere certi, favorevoli e contrari avranno di che discutere per giorni. (S.Bio.)

 
 
 

Per TUTTE le DONNE...

Post n°48 pubblicato il 07 Marzo 2011 da CHEgirl

DONNE...
Domani andrete a festeggiare?


Ma lo sapete cosa festeggiate?


Prima di fare le "GALLINE" nei ristoranti, pub, discoteche ecc...


Leggete questo link e forse, ripeto FORSE, capirete che l'8 Marzo non si Festeggiano delle DONNE MORTE, ma si deve scendere in Piazza per LOTTARE contro ogni soppruso....

 

 

8 MARZO, FESTA DELLA DONNA ?


festa della donna Le origini della festa dell'8 Marzo risalgono al lontano 1908, quando, pochi giorni prima di questa data, a New York, le operaie dell'industria tessile Cotton scioperarono per protestare contro le terribili condizioni in cui erano costrette a lavorare. Lo sciopero si protrasse per alcuni giorni, finché l'8 marzo il proprietario Mr. Johnson, bloccò tutte le porte della fabbrica per impedire alle operaie di uscire. Allo stabilimento venne appiccato il fuoco e le 129 operaie prigioniere all'interno morirono arse dalle fiamme. Successivamente questa data venne proposta come giornata di lotta internazionale, a favore delle donne, da Rosa Luxemburg, proprio in ricordo della tragedia.

Questo triste accadimento, ha dato il via negli anni immediatamente successivi ad una serie di celebrazioni che i primi tempi erano circoscritte agli Stati Uniti e avevano come unico scopo il ricordo della orribile fine fatta dalle operaie morte nel rogo della fabbrica.

Successivamente, con il diffondersi e il moltiplicarsi delle iniziative, che vedevano come protagonistele rivendicazioni femminili in merito al lavoro e alla condizione sociale, la data dell'8 marzo assunse un'importanza mondiale, diventando, grazie alle associazioni femministe, il simbolo delle vessazioni che la donna ha dovuto subire nel corso dei secoli, ma anche il punto di partenza per il proprio riscatto.

Ai giorni nostri la festa della donna è molto attesa , le associazioni di donne organizzano manifestazioni e convegni sull'argomento, cercando di sensibilizzare l'opinione pubblica sui problemi che pesano ancora oggi sulla condizione della donna, ma è attesa anche dai fiorai che in quel giorno vendono una grande quantità di mazzettini di mimose, divenute il simbolo di questa giornata, a prezzi esorbitanti, e dai ristoratori che vedranno i loro locali affollati, magari non sanno cosa è accaduto l'8 marzo del 1908, ma sanno benissimo che il loro volume di affari trarrà innegabile vantaggio dai festeggiamenti della ricorrenza. Nel corso degli anni, quindi, sebbene non si manchi di festeggiare queste data, è andato in massima parte perduto il vero significato della festa della donna, perché la grande maggioranza delle donne approfitta di questa giornata per uscire da sola con le amiche per concedersi una serata diversa, magari all'insegna della "trasgressione", che può assumere la forma di uno spettacolo di spogliarello maschile, come possiamo leggere sui giornali, che danno grande rilevanza alla cosa, riproponendo per una volta i ruoli invertiti.

festa della donna

Per celebrare la festa della donna, bisogna comportarsi come gli uomini?

 

P.S.: ITALIADONNA

 


 
 
 

Rutti, bestemmie, imprecazioni in chiesa

Post n°47 pubblicato il 19 Novembre 2010 da CHEgirl
 

Rutti, bestemmie, imprecazioni in chiesa. Dirigenti e militanti Pdl e leghisti in trasferta a Monaco si esibiscono in una performance degna delle peggiori bettole di Caracas. Tra questi consiglieri comunali di Opera, in provincia di Milano. “Dopo tagghiamo don Danilo” scherza uno di loro.

 

Guardate il video

 


 
 
 

QUESTO è il NORD V° episodio

Post n°46 pubblicato il 12 Novembre 2010 da CHEgirl
 

W

gli

Anti BUNGA- BUNGA

 

Mi piace Confermare che la "CONSUMATA" è un persona Inferiore ha molti altri Nordisti

 

 
 
 

AUGURI a TUTTI i MASCHIETTI

Post n°45 pubblicato il 11 Novembre 2010 da CHEgirl
 

San Martino la festa “dei CORNUTI”

Scritto da Giusy

Festa dei Cornuti San MartinoLa festa di S.Martino, vescovo di Tours, nasce in Francia, quando questa era ancora sotto l’influsso pagano dei Celti, che celebravano l’inizio del nuovo anno a novembre.
San Martino è poi finita per diventare la festa dei mariti traditi, forse perché nel giorno dedicato al Santo si svolgevano, in più località, fiere di bestiame, per lo più “munito di corna”.
Secondo un’altra ipotesi, anticamente, si celebravano, proprio a novembre, 12 giorni di sfrenata festa pagana, di tipo carnevalesco, durante i quali avvenivano spesso gli adulteri.

I mariti traditi venivano fatti oggetto di scherno e di una vera caccia, sia pur simulata, nella quale essi dovevano interpretare il ruolo del cervo, animale dalle ricche e ramificate corna.

In questo caso, quello del cervo, per richiamare il cantautore Branduardi, per gli interessati, non era da considerarsi propriamente un “dono”.

 
 
 

QUESTO è il NORD IV° episodio

Post n°44 pubblicato il 10 Novembre 2010 da CHEgirl
 

NON TUTTI I VENETI FANNO SCHIFO come la "CONSUMATA".

Scrivevo giorni fa alla "CONSUMATA", che conosco Bene il Nord e non tutti erano Ottusi come lei, ecco che oggi ho la CONFERMA:

 

Berlusconi contestato. Zaia: soldi per Veneto

Il premier e Bossi contestati a Padova. ''Dimissioni, dimissioni'' è uno degli slogan
09 novembre, 22:07


dell'inviato Alessandro Galavotti

PADOVA - Un aiuto "sostanzioso e immediato", che sarà inserito "subito" nella Finanziaria. Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi visita le zone alluvionate del Veneto e, per dirla come il ministro Umberto Bossi che lo ha accompagnato, assicura gli "sghei" necessari a superare l'emergenza maltempo. Una promessa che, a Vicenza e soprattutto a Padova, non frena la contestazione di alcune centinaia di persone, mentre da Roma il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, atteso domani nel aree dell'alluvione, individua nel mancato rispetto delle regole la causa di molti disastri ambientali. Il sopralluogo del premier inizia di mattina presto a Monteforte d'Alpone, poco più di 8 mila abitanti in provincia di Verona. Nella piazza del Municipio, sotto il cielo grigio da cui a tratti continua a piovere, ci sono gli amministratori locali di una delle zone più colpite dall'acqua di questi giorni. Insieme a Berlusconi arrivano il ministro delle Riforme, Umberto Bossi, il capo della Protezione Civile, Guido Bertolaso, il governatore del Veneto, Luca Zaia, e quello del Piemonte, Roberto Cota.

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Momenti di tensione durante la protesta contro la visita del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi


Momenti di tensione durante la protesta contro la visita del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi

 
 
 

QUESTO è il NORD III° episodio

Post n°43 pubblicato il 07 Novembre 2010 da CHEgirl
 

VOTATE... VOTATE... dei NORDISTI, che NON AVENDO dei BENI CULTURALI al LIVELLO del CENTRO-SUD TAGLIANO i FONDI.

IGNORANZA si PARLA d'IGNORANZA dei POLITICI-NORDISTI


POMPEI, BONDI: "AFFRESCHI
SONO RECUPERABILI" 

I danni del crollo

Gli affreschi della Schola Armaturarum, crollata ieri mattina nel sito archeologico di Pompei, potranno essere probabilmente recuperati. Lo ha detto ai giornalisti il ministro per i Beni Culturali, Sandro Bondi, al termine dl sopralluogo compiuto con i tecnici del ministero e della sovrintendenza archeologica. «La Schola - ha aggiunto il ministro - aveva subito un intervento di restauro nel 1947 e dovrebbe dunque essere possibile ricostruire l'edificio così com'era dopo la Seconda guerra mondiale».
BONDI: "POCHE RISORSE" Il ministro per i Beni Culturali Sandro Bondi contesta che ci sia «solo un problema di risorse» per la gestione del sito archeologico di Pompei. Rispondendo alle domande dei giornalisti al termine del sopralluogo che ha compiuto insieme ai vertici del ministero e della Sovrintendenza archeologica il ministro ha detto: «Non c'è solo un problema di risorse ma anche di come si spende. Negli anni scorsi si è riusciti a spendere solo la metà dei fondi assegnati».

BONDI: "SE FOSSI RESPONSABILE LASCEREI" «Se avessi la certezza di avere responsabilità in quanto accaduto mi dimetterei. Ma rivendico invece il grande lavoro fatto». Lo ha detto il ministro dei Beni e delle Attività culturali Sandro Bondi al termine del sopralluogo nella Schola Armaturarum crollata ieri, rispondendo alle tante critiche e anche al duro intervento di ieri del presidente della Repubblica

BONDI: "PIANO DI MANUTENZIONE STRAORDINARIO" Il ministro per i Beni Culturali Sandro Bondi ha annunciato «un piano di manutenzione straordinaria per le case di Pompei, molte delle quali - ha detto - sono a rischio». Bondi ha annunciato che tornerà a breve nel sito archeologico mentre vanno avanti le valutazioni dei tecnici sullo stato del sito stesso

FORSE SALVO UN AFFRESCO  La Casa dei Gladiatori di Pompei crollata ieri aveva subito un bombardamento nel 1943 durante l'ultima guerra mondiale e attualmente era chiusa e non visitabile dai turisti. Lo riferisce all'Adnkronos un cultore dell'archeologia pompeiana. L'affresco raffigurante trofei e corazze -spiega- era situato nella parte bassa dell'ambiente. Quindi probabilmente si è salvata e comunque dovrebbe essere possibile recuperarla

"UN CROLLO ANNUNCIATO" Quello della Schola Armaturarum a Pompei era «un crollo annunciato» e il commissariamento di aree archeologiche come quella campana «è sempre una cosa negativa: significa che un'emergenza è sfuggita di mano allo Stato». Sono le parole di Louis Godart, archeologo, ordinario di Filologia Micenea all'università Federico II di Napoli e Consigliere per la Conservazione del Patrimonio Artistico del presidente della Repubblica, in un'intervista al Mattino. Pompei, secondo Godart, è un «patrimonio fragile e meriterebbe una maggior attenzione proprio da parte dello Stato». La priorità sarebbe quella di uscire dall'emergenza per tornare ad una gestione ordinaria da affidare ai sovrintendenti. «Abbiamo nelle sovrintendenze persone estremamente competenti - afferma - che dovrebbero gestire questo nostro grande patrimonio. Non voglio gettare la pietra addosso al commissario per questo caso specifico ma ritengo che un commissariamento è sempre una cosa negativa: significa che un'emergenza è sfuggita di mano allo Stato. L'ideale è mettere nelle mani dei funzionari dello Stato le cose per cui sono preposti e preparati». E poi a Pompei esiste un problema di scarsità dei fondi. «È certamente un patrimonio difficile da gestire - ammette Godart - ma meriterebbe un maggiore sforzo da parte dello Stato per diventare una fonte di guadagno».

CARANDINI: "SERVONO 30 OPERAI AL GIORNO"
A Pompei non c'è un sovrintendente a tempo pieno e manca una ricognizione dello stato di fatto delle pareti, per questo non era ipotizzabile la pericolosità dello scavo che è crollato. Ne è convinto il presidente del Consiglio Superiore dei Beni Culturali Andrea Carandini che, in un'intervista al Corriere della Sera, dice: «Pompei è come L'Aquila che dal Settecento è a cielo aperto». Nel caso specifico dell'edificio crollato, secondo Carandini, si tratta di una struttura restaurata negli anni Cinquanta «con cemento armato, ovvero con una soluzione inadeguata». Carandini fa un bilancio dell'azione degli ultimi commissari straordinari che si sono succeduti a Pompei e promuove l'operato di Fiori, che ha speso i soldi destinati a Pompei anche se continua a mancare «una manutenzione programmata perchè è difficile redigere una gerarchia degli interventi». Cosa che sarebbe possibile fare mettendo all'opera «un pò di equipe universitarie». «Il commissario Fiori aveva lasciato due milioni - prosegue Carandini - per creare un'Opera di Pompei, ovvero una specie di Fabbrica del Duomo permanente con squadre di 20, 30 operai che intervengono ininterrottamente su insule e case», ma per la gestione dei restauri, secondo Carandini «ci vogliono manager» e anche «soldi dal governo». Il presidente del Consiglio Superiore dei Beni Culturali boccia, poi l'azione del commissario Guzzo che ha speso un terzo di quello che aveva a disposizione, mentre Fiori «ha fatto quello che ha potuto». Ora però, per Pompei è il momento di voltare pagina, tanto più che si ricavano introiti anche dai biglietti venduti, per un totale di 25 milioni all'anno. L'altro problema da superare nell'area archeologica, secondo Carandini, è quello dell'assenteismo dei custodi, definito «indescrivibile», e «l'abusivismo delle guide». «Ma qualcosa con il commissariamento - conclude Carandini - si è migliorato. Solo che ora siamo nell'interim, si aspetta la nomina di un sovrintendente».

BONDI: "SOVRINTENDENTI INEFFICIENTI" Nel corso dell'ultimo Consiglio dei Ministri, il ministro dei Beni culturali, Sandro Bondi ha fatto un appello «pressante, forte e motivato» al premier Silvio Berlusconi e al ministro dell'Economia, Giulio Tremonti per «assicurare risorse sufficienti a garantire la sopravvivenza di alcuni servizi fondamentali, a partire dalla tutela del nostro immenso patrimonio culturale». A questo appello, riferisce il ministro in un'intervista alla Repubblica, è seguita un' assicurazione sull'attenzione a questi temi «compatibilmente con le condizioni del bilancio pubblico». All'indomani del crollo della Schola Armaturarum a Pompei, secondo Bondi, ritorna pressante il problema che il ministro spiega di aver segnalato fin dall'inizio del mandato. «All'origine della nomina dei commissari straordinari, fra cui quelli di Pompei è che i sovrintendenti non possiedono capacità manageriali - afferma - che sarebbero indispensabili per l'espletamento di certe funzioni, come ad esempio quella di gestire gli appalti per la manutenzione e il restauro dei monumenti». Per questo motivo, il problema non è solo la mancanza di fondi ma anche la mancanza di professionalità adeguate. «A breve - aggiunge il ministro - presenterò una riforma che separa la responsabilità dei sovrintendenti, che dovranno occuparsi esclusivamente della funzione di tutela, da quella di nuove figure professionali nel campo della cultura, in grado di gestire, con criteri di maggiore efficienza, i musei e le aree geologiche». Per Bondi, una fondazione, potrebbe essere la soluzione più adatta, anche perchè «la riduzione delle risorse si fa sentire», al punto che «occorrerebbe varare un piano nazionale per la tutela del nostro patrimonio storico».

RESISTE AL VESUVIO, MA NON ALLA PIOGGIA
Aveva resistito in parte alle eruzioni dell'ora silenzioso Vesuvio la Schola Armaturarum Juventis Pompeiani, ma nulla ha potuto contro l'incuria, la pioggia, la manutenzione carente e, forse, sbagliata. Alle prime ore del mattino, sotto il peso di un tetto in cemento armato e le infiltrazioni d'acqua dovute alla pioggia, la Domus dove si allenavano gli atleti dell'antica Pompei si è sbriciolata lasciando su via dell'Abbondanza, dove si affaccia, un cumulo di detriti, uno spezzone di muro e tanti dubbi e polemiche. E ora chiarezza chiede, con forza, il Capo dello Stato che definisce la vicenda una vergogna per l'Italia. Il sindaco di Pompei, Claudio Alessio, accusa: un crollo annunciato. E aggiunge: «È colpa di un intero sistema che ha sottovalutato questo grande patrimonio che sono gli scavi di Pompei. Dopo i rifiuti - dice ancora - daremo nuovamente un'immagine negativa dell'Italia». E i turisti? Sia italiani che stranieri hanno notato poco o nulla di quanto accaduto oggi negli scavi. La direzione ha prontamente disposto un percorso alternativo e l'area interessata dal crollo è stata resa inaccessibile, anche alla vista, con dei teli bianchi posti sulle transenne. Una batosta, per quanti considerano gli scavi di Pompei uno dei più importanti siti archeologici del mondo. «Sono in giro da stamattina», ha detto Giovanna, negli scavi da qualche giorno con carta e matita per disegnare le meraviglie che ospita. «I più incuriositi sono stati i turisti stranieri, trattenutisi nei pressi della Schola insieme ai cineoperatori delle emittenti tv per strappare qualche fotogramma del crollo, forse da mettere sul web, dove già ci sono foto e qualche breve filmato del disastro, che sta facendo il giro del mondo. »Non ci siamo accorti del crollo - dicono un gruppo di ragazzi napoletani all'uscita Porta Marina Superiore degli scavi - siamo venuti qui per mostrare alla nostra amica asiatica questo meraviglioso museo all'aperto che è Pompei«. Solo qualcuno, commenta negativamente lo stato in cui si trovano gli scavi mentre, per la maggior parte, il sito continua a rimanere, nonostante la poca attenzione che gli viene rivolta, »una delle bellezze più importanti e interessanti del mondo antico«. Di fondamenta indebolite parla l'ex sovrintendente Giuseppe Proietti e Roberto Cecchi, segretario generale del Ministero per i Beni Culturali, che chiede »risorse adeguate per provvedere a quella manutenzione che, ormai da mezzo secolo, non si fa più«. »Da tempo gli scavi soffrono di manutenzione approssimativa, non puntuale, e praticata con materiali inappropriati e tecniche errate«, tiene a precisare Nino Sorrentino, da 35 anni guida turistica e rappresentante sindacale della Cisl. Sorrentino punta il dito contro la gestione della sovrintedenza definendola »peggiorativa rispetto a quella commissariale di Marcello Fiori«. Pur non essendo aperta al pubblico, secondo Antonio Irlando, presidente dell'Osservatorio Patrimonio Culturale, è stata solo questione di fortuna se »non c'è scappato il morto«. A crollare, infatti, è stato un fronte di 12 metri con massi e pietre di grosso taglio rotolate fino a occupare buona parte del tratto di via dell'Abbondanza sul quale la Schola si affacciava. L'edificio si pensa fosse stato costruito negli ultimi anni di vita di Pompei, prima che l'eruzione del Vesuvio seppellisse di cenere e lapilli la città. La dimora fungeva da luogo di riunione di un'associazione a stampo militare, dove con tutta probabilità i giovani pompeiani si allenavano alla lotta e alle arti gladiatorie. Allo stesso tempo, viste le caratteristiche architettoniche, la Schola fungeva da deposito per le armi. E ora? Tutto è sparito mentre si cerca di rimettere insieme i pezzi della domus e divampano le polemiche.

PALESTRA DEI GLADIATORI Quasi duemila anni fa era la palestra degli atleti dell'antica Pompei. Ma all'alba di sabato, intorno alle 6, la Schola Armaturarum Juventis Pompeiani è crollata. L'edificio risaliva agli ultimi anni di vita della città romana, prima che l'eruzione del 79 d.C. seppellisse l'intera città di Pompei. La casa secondo gli studiosi doveva fungere da sede di una associazione militare e deposito di armature. L'ampia sala dove si allenavano i gladiatori era chiusa con un cancello di legno. Su una delle pareti apparivano gli incassi che contenevano delle scaffalature con le armature stesse che furono infatti ritrovate nello scavo. La decorazione dipinta, persa nel crollo, richiamava al carattere militare dell'edificio: trofei di armi, foglie di palma, vittorie alate, candelabri con aquila e globi. La Schola Armaturarum Juventis Pompeiani nel corso della seconda guerra mondiale era stata danneggiata dai bombardamenti che ne avevano fatto crollare il tetto, successivamente rifatto, sulle mura antiche in un materiale che potrebbe essere stato troppo pesante e che avrebbe, quindi, nel tempo potuto provocare un cedimento. La Domus è sulla via principale, via dell'Abbondanza, quella maggiormente percorsa dai turisti, in direzione Porta Anfiteatro. L'area al momento è transennata e non è possibile accedere per cui è stato predisposto un percorso alternativo per i turisti.

IL CROLLO CAUSATO DA INFILTRAZIONI D'ACQUA
Sarebbero state infiltrazioni di acqua piovana che per le grandi piogge dei giorni scorsi hanno fortemente inibito il terreno e indebolito le fondamenta, unite alla pesantezza del tetto in cemento fatto negli anni '50, le cause del crollo questa mattina a Pompei della Schola Armaturarum Juventutis Pompeianae. Lo conferma anche l'ex sovraintendente Giuseppe Proietti, in pensione solo da qualche settimana. Proprio la pesantezza del tetto, unita alla cedevolezza del terreno avrebbe fatto crollare, spiega l'archeologo, tutte le pareti della Domus, alcune delle quali erano anche decorate, sebbene solo con motivi ornamentali, fregi e armature che richiamavano la funzione dell'edificio. La Schola, precisa Proietti, non era aperta al pubblico ma non c'erano stati al suo riguardo particolari motivi di allarme. Non era insomma segnalata come una situazione a rischio. L'edificio, che si trova sulla celeberrima via dell'Abbondanza, è però molto vicino anche a settori della città non ancora scavati. Anche questo avrebbe reso più a rischio, con le piogge, il terreno.

SINDACO DI POMPEI: "DISASTRO ANNUNCIATO" La Domus dei Gladiatori di Pompei da anni era «in attesa di essere ristrutturata». Secondo il sindaco di Pompei, Claudio D'Alessio, il cedimento dell'edificio è un crollo annunciato: «succede quando non c'è la dovuta attenzione e cura» per un patrimonio secolare che andrebbe «preservato da ogni tipo di sollecitazione, anche atmosferica. C'è il dispiacere tipico di una comunità - ha sottolineato all'ADNKRONOS D'Alessio - di un territorio su cui vi è il museo all'aperto più grande del mondo e che purtroppo viene trascurato». «In passato -ha rilevato - sono stati persi molti fondi, che non venivano utilizzati, e non sono state avviate le procedure per il restauro». Il sito archeologico, ha spiegato il primo cittadino, oltre ad avere un'importanza «culturale» dà anche «ricchezza a questo territorio» con il turismo. «Scontiamo la mancanza di un coinvolgimento in questo tipo di iniziative - ha concluso - ci limitiamo a fare appelli sensibili e solerti nel sollecitare l'attenzione che il sito necessita».

LEGAMBIENTE: "SERVONO FATTI CONCRETI" «Ci vogliono fatti non parole per Pompei e i beni culturali del nostro Paese». Così Carmine Maturo, responsabile turismo e beni culturali di Legambiente Campania, ha commentato il crollo della Domus dei Gladiatori a Pompei. «Il crollo di questa mattina a Pompei - ha continuato Maturo - rappresenta, purtroppo, soltanto la punta di un iceberg che mette a nudo il degrado e l'abbandono di tantissimi giacimenti culturali del nostro Paese che attraverso la campagna Salvalarte, Legambiente denuncia da anni». «A seguito del crollo della Domus, oggi si avverte un'amarezza diffusa sul degrado e l'abbandono di Pompei. Degrado e abbandono del nostro patrimonio artistico e culturale - ha concluso - la cui causa è da ricercare nei continui tagli alle risorse umane e ai fondi destinati ai beni culturali del nostro Paese».

BOSSA (PD): "BONDI HA SOTTOVALUTATO NOSTRO ALLARME"
«Sono mesi che denuncio, con interrogazioni e articoli, il degrado allarmante degli scavi di Pompei. Il gravissimo crollo di stamattina è la dimostrazione che il Governo e il ministro Bondi hanno sottovaluto la situazione e raccontano, da tempo, un bel pò di sciocchezze». Lo afferma Luisa Bossa, deputata del Pd ed ex sindaco di Ercolano, riferendosi al crollo della Domus dei gladiatori a Pompei. «Quando abbiamo posto la questione del degrado negli scavi - dice la Bossa - Bondi ha risposto in modo piccato e risentito, difendendo il lavoro dei suoi commissari. Il crollo della Domus dei gladiatori è la drammatica, ma inevitabile, risposta a chi pensa che governare significhi raccontare una balla al giorno, attaccando chi a quella balla non crede perchè le cose va a guardarle con i suoi occhi. La situazione dei siti archeologici in Campania è drammatica». «Quello che è successo stamattina - rileva Bossa - dimostra che le preoccupazioni erano ben fondate. Negli scavi lavorano da mesi betoniere, bob cat, ruspe, levigatrici, martelli pneumatici; già il restauro del Teatro grande non ha visto rispettate le minime regole di sicurezza per la stabilità dei luoghi. Tanto che il diciotto gennaio scorso ci fu già uno smottamento in prossimità di via dell'Abbondanza, nell'insula adiacente alla Casa dei casti amanti, con il crollo di un muro perimetrale. Adesso la notizia di un nuovo crollo. A questo punto speriamo che il prossimo reperto archeologico a crollare sia proprio il governo di cui fa parte il ministro Bondi, così almeno salviamo quel che resta della cultura in questo Paese», conclude la deputata del Pd.

MELANDRI (PD), CROLLO FRUTTO DEI TAGLI ALLA CULTURA 
«La notizia del crollo della Domus dei Gladiatori è l'ennesimo segnale dell'incuria in cui versa il nostro patrimonio archeologico. Si tratta del frutto avvelenato dei sistematici tagli alle politiche culturali messi in atto dal Governo». Lo afferma il deputato del Pd, Giovanna Melandri. «Da tempo - aggiunge Melandri -, avevamo denunciato gli effetti nefasti che la continua riduzione delle risorse avrebbe avuto sulla tutela del patrimonio archeologico, così come avevamo espresso le nostre riserve sul ricorso alla gestione commissariale. Purtroppo per la Domus dei Gladiatori, avevamo ragione».

FERRERO (PRC),GOVERNO COLTIVA AVVERSIONE PER CULTURA
  «Il crollo della Domus dei gladiatori a Pompei è un nuovo, drammatico simbolo dello stato di degrado e abbandono in cui versa il patrimonio culturale in conseguenza delle politiche del governo Berlusconi e del ministro Tremonti». Lo sostiene il segretario nazionale del Prc/Federazione della sinistra, Paolo Ferrero, commentando in una nota la frana provocata dall'incuria del prezioso sito archeologico. «La scure del ministro dell'economia e l'indifferenza culturale della destra di governo stanno provocando la distruzione persino di quell'iconografia del Belpaese tante volte presentata come opportunità di rendita turistica - afferma Ferrero - In realtà questo governo coltiva una profonda avversione per la cultura e ancora più per la cultura contemporanea, per il ruolo critico che esercita rispetto al conformismo conservatore e rassicurante propugnato dal berlusconismo. E perciò significativo il segnale che musei e istituti culturali stanno dando attraverso la giornata di protesta del prossimo 12 novembre, le cui adesioni travalicano gli schieramenti di partito».

ORFINI (PD): "CROLLO FATTO GRAVISSIMO"
«Il crollo della Schola gladiatorum è un fatto gravissimo». Ad evidenziarlo è Matteo Orfini, della segreteria del Pd responsabile Cultura e Informazione. «Pompei - rileva l'esponente dell'opposizione - esce da una gestione commissariale che, nonostante l'evidente illegittimità dell'utilizzo della Protezione civile, i vertici politici del ministero hanno raccontato come il sol dell'avvenire. Ora i risultati purtroppo sono sotto gli occhi di tutti. Affidare le eccellenze del nostro patrimonio a una gestione dilettantesca, rozza e irresponsabile produce disastri». «Le risorse spese dal commissario - dice - sono state prevalentemente dedicate a dubbie opere di dubbia valorizzazione, che hanno spesso umiliato il sito e che hanno soprattutto distratto risorse dalla vera emergenza, che è quella della tutela di un'area delicatissima e unica al mondo. Dopo i crolli alla Domus Aurea, al Colosseo, a Pompei, speriamo di non dover assistere ad altri straordinari successi delle gestioni commissariali. Bondi rinunci a utilizzare strumenti scarsamente trasparenti e torni ad affidarsi a chi ha le competenze per agire sul nostro patrimonio. A Pompei della Protezione civile c'era senz'altro un gran bisogno, ma nel 79 d.c., quando fu seppellita dall'eruzione».

IDV: "CROLLO FRUTTO SCELERATA POLITICA BERLUSCONI"
«Il crollo della Casa dei Gladiatori all'interno degli scavi di Pompei è il frutto della scellerata politica del governo Berlusconi, che sin dal primo giorno di legislatura ha fatto tutto tranne che tutelare lo straordinario patrimonio artistico presente nel nostro Paese». Lo afferma il portavoce dell'Italia dei Valori, Leoluca Orlando. «I tagli alla cultura apportati in maniera draconiana dal ministro Tremonti, lo stesso che ha affermato che con la 'cultura non si mangià, stanno provocando danni irreparabili. Chiediamo, una volta di più, a questo governo incapace di andarsene a casa prima che sia troppo tardi».

 
 
 

QUESTO è il NORD III° episodio

Post n°42 pubblicato il 06 Novembre 2010 da CHEgirl
 

IL NORD PREDICA BENE MA COME NOTERETE LEGGENDO QUESO FASCICOLO... RAZZOLA MOLTO MA MOLTO MALE.

Cara CONSUMATA se riesci a capire cosa stai leggendo "Batti un colpo"
Rifiuti tossici in Campania: una questione europea
1 gennaio 2008 - Antonio Polichetti
Fonte: Bollettino delle Assise della Città di Napoli e del Mezzogiorno d'Italia
Anno I, nn. 16-21, dicembre 2007 - gennaio/febbraio 2008

Il traffico illecito di rifiuti tossici provenienti dal Nord Italia e da alcune parti d’Europa, diretti in tutte le regioni meridionali, è stato denunciato negli ultimi tempi dalla magistratura, ma non viene preso ancora nella giusta considerazione dai giornali nazionali più autorevoli e dalla attuale classe politica quando si affronta la questione irrisolta del ciclo dei rifiuti in Campania. È un problema, per l’opinione pubblica nazionale, di facciata e di costume: si dibatte sulla necessità di ripulire la città di Napoli e soprattutto di avviare un’opera di incivilimento dei meridionali che sarebbero, da un punto di vista culturale oltre che economico, arretrati rispetto ad una moderna società industriale. A questo proposito è doveroso riportare alcuni dati relativi all’avvelenamento da rifiuti tossici in Campania. L’esempio più chiaro di tutte le attività illecite si trova a Pianura, quartiere alla periferia di Napoli. Si legge su «Repubblica Napoli» del 7 febbraio 2008 in un articolo di Aldo Loris Rossi che la discarica allestita nel cratere del vulcano Senga, con foreste site in una zona archeologica, ha accolto, per 43 anni, migliaia di tonnellate di rifiuti tossici delle industrie del Nord, anche con l’autorizzazione della Provincia di Napoli. I rilievi effettuati dai carabinieri e oggetto delle indagini della magistratura hanno trovato conferma anche dall’assessore all’Ambiente della Provincia di Torino, Nicola De Ruggiero: «A Pianura sono arrivate almeno 800mila tonnellate dei rifiuti dell’Acna di Cengio, azienda emblematica del disastro ambientale causato dal Piemonte». E su «Repubblica Napoli» del 25 gennaio 2008 vengono riportati i dati relativi agli sversamenti illeciti di rifiuti speciali e tossici provenienti dal Nord e finiti nella discarica di Pianura dal 1987 al 1994: 16 tonnellate di scarti di collante acrilico dalla Sicaf di Cuzzango di Premosello (Novara); 21 tonnellate di fanghi dell’impianto di depurazione di Ferolmet di San Giuliano Milanese (Milano); 22 tonnellate di morchie di verniciatura, resine e fanghi dalla provincia di Padova; 25 tonnellate di rifiuti speciali cosmetici scaduti da Tocco Magico di Roma; 50 tonnellate di morchie di verniciatura dalla Sicaf di Premosello (Novara); 79 tonnellate di rifiuti speciali industriali da Centro Stoccaggio Ferrara di Robassomero (Torino); 113 tonnellate di polveri di amianto bricchettate da Centro di stoccaggio Ferrara di Robassomero (Torino); 552 tonnellate di fanghi di verniciatura della Ferolmet di San Giuliano Milanese (Milano); 1.106 tonnellate di scorie e ceneri di alluminio dalla Fonderie Riva di Parabiago (Milano).

Le conseguenze di questo massiccio inquinamento dei territori della Campania si sono manifestate da vari decenni. Ad Acerra (Na), per esempio, la moria di ovini, la nascita di agnelli deformi, l’aumento di malattie tumorali nell’uomo non hanno fine, come testimoniano autorevoli studi scientifici (la rivista medica «Lancet Oncology» 2004; Protezione civile, 2006). Per esempio, nello studio (1) commissionato dalla Protezione civile all’Oms, all’Istituto Superiore di Sanità, al Cnr, all’Osservatorio Epidemiologico della Regione Campania e all’Arpac, si legge che a Marigliano (Na), uno dei luoghi più colpiti dallo scarico criminale di veleni nelle campagne, c’è la più alta percentuale in Italia di tumori al fegato e ai dotti biliari. Viene evidenziato l’alto rischio di tumore epatico per i residenti in prossimità di discariche. Ed è stata riscontrata, a Marigliano, una concentrazione totale di diossina e furani rilevati sulla matrice dei terreni e dell’erba. Senza contare che in almeno due siti di Marigliano – località “Agrimonda” e “località via Lagnuolo” – l’inquinamento coinvolge il sottosuolo e le acque sotterranee. Solo nel 2001 sono state individuate dall’Arpac, nell’Acerrano, 25 pozzi avvelenati, 13 discariche abusive di eternit ed amianto. E anche la scoperta di nuove discariche ricolme di rifiuti tossici e veleni sembra non avere fine. La conseguenza sanitaria più terribile è stata riconosciuta e quantificata dall’Oms il 16 aprile 2007 con l’aumento in Campania delle malformazioni nei bambini (84% in più).

Si è chiuso in questi giorni un processo sul traffico illegale di rifiuti. Migliaia di tonnellate di amianto, solfuri, idrocarburi sono state raccolte illecitamente nel Veneto e spedite in Campania, in particolare nei comuni di Acerra, Bacoli e Giugliano («Il Mattino», 9 febbraio 2008). E proprio dal Nord Italia provengono, con nostra grande amarezza, le proteste contro l’immondizia della Campania e il diniego di aiuti. Proteste e dinieghi di ogni solidarietà per una popolazione oppressa dal tallone di una grande multinazionale del Nord – la Fibe del gruppo Impregilo – che gestisce, senza averne la competenza tecnica e scientifica e tantomeno organizzativa, il ciclo di smaltimento dei rifiuti in Campania. I cittadini di Bergamo, per esempio, la spazzatura di Napoli non la vogliono perché sostengono di avere già pagato i milioni di euro spesi in questi 15 anni per non risolvere il problema a causa dell’inefficienza e dell’incapacità tipica dei napoletani.

Oggi, in Italia stiamo vivendo giornate molto difficili, caratterizzate da una sfiducia nella politica e nelle istituzioni che è solo lo specchio di una sfiducia più profonda verso i valori fondanti dell’unità politica del nostro paese e della nostra vita culturale, sociale e civile. È, perciò, altrettanto doveroso, in questo momento e a proposito della tragica vicenda dei rifiuti tossici in Campania, ricordare alcuni fatti che hanno determinato la conformazione attuale – da un punto di vista sociale, economico e politico – di questo paese. Fatti che sono stati oggetto di riflessione dello storico Luigi De Rosa nella sua opera La provincia subordinata. Saggio sulla questione meridionale (Laterza 2004).

Nella storia d’Italia tutti i piani di sviluppo economico sono stati progettati sempre in favore degli interessi delle industrie più progredite che si trovavano nell’Italia settentrionale. Piani di sviluppo a senso unico che hanno trascurato il meridione e i suoi problemi strutturali di economia e sviluppo sociale. Tra il Nord e il Sud è rimasta, quindi, una grande differenza in termini economici, di infrastrutture e servizi. Questa tesi viene dimostrata con i continui mutamenti del modello economico che si sono voluti forzatamente adattare, di volta in volta, al mezzogiorno d’Italia.

Subito dopo l’unità d’Italia fu applicata al meridione la politica economica liberista del Piemonte. La piccola classe industriale napoletana sollecitò il governo a concedere solo un breve periodo di tempo per passare dal vecchio sistema protezionista borbonico al nuovo modello economico, ma non fu ascoltata. La mancanza di misure per salvaguardare le industrie meridionali portò alla perdita di tanti capitali dei risparmiatori meridionali e tolse agli imprenditori del Sud l’interesse per l’attività industriale. L’economia del mezzogiorno si concentrò sempre più sulla proprietà e sulla rendita. Il mercato agricolo meridionale, poi, fu bloccato dalla politica doganale di Francesco Crispi (1887) che favoriva la vendita dei prodotti agricoli del Nord costringendo gli agricoltori meridionali ad abbassare i prezzi dei loro prodotti. Il ritorno alla politica protezionista, ad opera di Francesco Crispi, dunque, fu immediato e non tenne conto delle attività economiche del mezzogiorno.

Quando, poi, grazie all’energico e continuo impegno di Francesco Saverio Nitti, furono approvate le leggi speciali per l’industrializzazione di Napoli, per lo sviluppo dell’agricoltura e delle infrastrutture in Basilicata e in Calabria e iniziarono a vedersi i primi risultati di questi provvedimenti, malauguratamente il governo italiano si lanciò nella guerra alla Libia. Per sostenere gli sforzi bellici si aprì la via, per lo Stato italiano, del debito pubblico. La questione meridionale fu nuovamente messa da parte e, mentre si faceva la guerra in Africa, il mezzogiorno restava privo di strade, ferrovie, fognature, scuole e università. Sullo stato miserabile delle scuole, dei paesi e delle città del mezzogiorno offre una grande testimonianza Umberto Zanotti Bianco ne Il martirio della scuola in Calabria: « [...] Qui ci troviamo di fronte ad un problema di civiltà generale: l’eroismo non è diffuso nel mondo come la vita, ed è ben difficile alimentare questa volontà di rinnovamento nell’atmosfera pigra e meschina di tanti poveri villaggi tagliati quasi fuori da tutte le correnti vive della Nazione.

Tra lo spirito umano e la personalità dei paesi v’è sempre una segreta intima armonia, una corrispondenza ignota provocatrice di visioni, d’amori, di tripudi e d’avvilimenti, di ripulse e di tristezze.

Ogni città ha, si può dire, uno stato d’animo, che lento s’insinua, che non sentito s’inocula in chi la vive e la soffre.

Or qual voce possono avere quelli ammassi luridi di casupole che paiono nate in un’ora di angoscia confusa, tumultuaria, e su cui il tempo ha lasciato cadere la sua cenere uniforme? Con quale idea di bellezza o d’amore, di dolcezza o di forza, può nutrire lo spirito quella vita di vergogna e d’abbrutimento?».

Proseguendo nella lettura del saggio di De Rosa si deve constatare che «anche il periodo che si era aperto con le migliori disposizioni verso il Sud si chiuse con l’ulteriore peggioramento dell’economia del mezzogiorno», a causa della precipitosa quanto inutile spedizione in Nord Africa.

Sia la prima che la seconda guerra mondiale costituirono una vera e propria «azione squilibratrice» tra il Nord e il Sud d’Italia. Tutte le industrie del Nord soddisfarono le esigenze della guerra con la loro produzione, dalle armi alle forniture meccaniche; lo Stato italiano si indebitò sempre di più per far fronte alle spese della guerra comprando le merci dalle industrie settentrionali. Il debito pubblico veniva coperto, in parte, dal risparmio forzato delle casse agricole del Sud e dei cittadini meridionali. Dalle due guerre il Nord uscì arricchito e formato da grossi nuclei industriali (Fiat, Ilva, Ansaldo, ecc...); le industrie del Nord, dopo essersi assicurate grandi profitti con la guerra, avevano tratto vantaggio dai contributi dello Stato che, tramite l’Imi, forniva «centinaia di miliardi di lire per il rinnovo e l’ampliamento degli impianti». Al Sud restarono solo la disoccupazione e l’emigrazione. Le industrie meridionali, infatti, «ottennero in prestito appena dieci miliardi da restituire entro 20 anni... somma che non poté essere erogata perché il Banco di Napoli e quello di Sicilia, che dovevano anticiparla, non disponevano della necessaria liquidità date le restrizioni creditizie adottate dal governo per contenere l’inflazione».

Tra le due guerre, inoltre, ci fu il ventennio fascista che risolse la questione meridionale rimuovendola del tutto. Mentre furono realizzati interventi statali importanti a favore di grandi imprese del Nord, «mancò, durante il fascismo, il proposito di mettere in atto una specifica politica a favore del mezzogiorno». Un esempio pratico del preciso indirizzo preso dal fascismo stava nelle opere di bonifica. Il governo di Mussolini decise che si potevano trascurare «le necessità di vita civile e di rinascita economica del mezzogiorno» (Atti parlamentari del 31 maggio 1930), ma non le opere che lo Stato progettava di fare nel Nord Italia. Le spese di bonifica intraprese al Nord furono superiori rispetto a quelle realizzate nelle regioni meridionali dove, comunque, c’erano paludi e malaria. Eppure, dopo la seconda guerra mondiale, dei dieci milioni di ettari di terreno da risanare sei milioni erano nel mezzogiorno dove l’agricoltura era quasi l’unica attività economica.

Per i danni prodotti dalla seconda guerra mondiale, poi, nel mezzogiorno furono impiegati i soldi del Piano Marshall e non, come erroneamente si è fatto credere, i generosi contributi delle regioni più progredite del Nord Italia. Il governo americano si preoccupò anche di fornire l’assistenza tecnica necessaria per un sicuro avviamento e completamento delle opere di ricostruzione. «Senza il Piano Marshall difficilmente l’Italia del dopoguerra avrebbe preso in considerazione una politica di investimenti infrastrutturali nel Sud».

Il modello di sviluppo del meridione, attraverso i progetti della Cassa per il mezzogiorno, cambiò in maniera drastica per altre due volte. Nel 1954 il piano Vanoni prevedeva per il Sud lo sviluppo diffuso della piccola e media impresa. Il risultato fu modesto perché non c’erano grossi capitali in grado di avviare una forte esportazione dei prodotti. Questo fallimento portò ad un immediato e decisivo cambio di strategia: il governo decise di investire nella grande industria. Il Sud doveva diventare un’area di produzione di materia di base da sviluppare, poi, in altre regioni. Il piano di sviluppo del mezzogiorno rimase sulla carta perché, come ha anche spiegato Pasquale Saraceno negli Studi sulla questione meridionale, in quel periodo il Nord Italia viveva una fase di grosso sviluppo e non gradiva nessun tipo di cambiamento o di interferenza che avesse potuto mutare il processo economico in atto.

Dalla metà degli anni Settanta gli investimenti pubblici furono concentrati sull’ammodernamento delle industrie già esistenti e non per stimolare l’economia del mezzogiorno. Da allora fino ad oggi si è assistito ad un progressivo aumento di risorse pubbliche destinato all’industria del Nord con una riduzione complessiva di quelle destinate al Sud. La Svimez, nel rapporto 2002, avvertiva che con una spesa pubblica nel meridione inferiore a quella del resto del paese sarebbe stato difficile evitare un regresso del sistema civile e produttivo dell’area. Tutto il dramma del dislivello tra Nord e Sud viene confermato e ribadito dagli stanziamenti per la ricerca scientifica e tecnologica che condannano il mezzogiorno e con esso le nuove generazioni di questo territorio ad una condizione di sottosviluppo paralizzante e purtroppo duraturo come risulta dalla lucida analisi della Commissione Meridionale per la Ricerca e del suo presidente Antonio Ruberti: «93 per cento dei fondi al Centro Nord e 7 per cento al Sud, con un numero di ricercatori per ogni 100 mila abitanti pari a 243 al Centro Nord contro 35 al Sud!» (2). La disparità di ricchezze e strutture tra la «provincia subordinata» e il resto del paese è, ora, evidente in tutti gli aspetti della vita economica italiana. E la Commissione Antimafia del 1993 ha posto in evidenza questa tendenza, tuttora in atto, delle politiche di sviluppo in Italia: da un lato finanziare aree e attività già sviluppate, cioè aiutare le aree settentrionali; d’altro lato erogare fondi, negli ultimi anni soprattutto europei, per il mezzogiorno in via di sviluppo. Ma i finanziamenti per il meridione sono stati erogati, in grandi quantità, quasi sempre per fronteggiare emergenze o situazioni di dissesto e mai per avviare una politica di sviluppo infrastrutturale e duraturo.

E la legge 488/92 che prevede la concessione di finanziamenti agevolati in favore delle imprese si è dimostrata una grande occasione per numerosi sedicenti imprenditori – soprattutto del nord Italia – per ottenere ingenti contributi pubblici senza portare a compimento l’opera di costruzione e avviamento dell’industria. Come dimostrato dal dossier del giornalista di Report, Sigfrido Ranucci, la truffa avviene grazie alla complicità di professionisti, consulenti, progettisti che sono sempre in grado di far approvare qualsiasi progetto, falsificando le fatture, creando figure immaginarie e numerose di disoccupati da poter assumere; e avviene anche a causa di una spaventosa carenza di controlli da parte dello Stato. Il primato per il conseguimento di questi finanziamenti-truffa è detenuto dalle regioni Sicilia e Calabria dove sono stati distrutti migliaia di ettari di agrumeti per fare posto al cemento di fabbriche mai entrate in funzione. E così, cinquantuno miliardi di euro sono stati spesi in sei anni (2000-2006) per lo sviluppo del mezzogiorno senza risultati. In un articolo de «La Stampa» (22 ottobre 2007) vengono riportati i dati di questo spreco di denaro pubblico attraverso uno studio della London School of Economics e della società Vision & Value; e Francesco Grillo, un ricercatore coautore del progetto, a proposito dei fondi perduti dichiara: «Dispersi in mille rivoli, in interventi che non hanno spesso la massa critica per raggiungere i risultati attesi o non li hanno prodotti affatto». La Commissione parlamentare antimafia del 1993 ha, dunque, evidenziato una costante dell’epoca successiva al terremoto del 1980 che colpì e distrusse molte città del mezzogiorno: «Il Parlamento non seppe vincere l’emotività dovuta ai gravi accadimenti sismici ed affidò la delicatissima gestione di oltre 50.000 miliardi ad un impianto legislativo costruito sull’eccezionalità, sull’eccessiva discrezionalità, sulla carenza di controlli e la indeterminatezza dei momenti decisionali. […] Ma anche quando cessò la spinta emotiva furono approvate, a grandissima maggioranza, modifiche legislative che hanno reso ancora più debole l’impianto originario, allargando l’area interessata dal terremoto a comuni neppure sfiorati dal sisma, consentendo la realizzazione di opere pubbliche senza una previa seria verifica della loro utilità, dando avvio ad iniziative di sviluppo industriale legate al solo conseguimento del contributo e facendo arbitri della situazione categorie di tecnici e professionisti privati inevitabilmente legati a logiche di profitto e spesso aventi interessi contrapposti a quelli delle pubbliche amministrazioni» (3). Il saccheggio dell’erario pubblico da parte delle grandi industrie del Nord praticato tramite gli appalti sulle grandi opere pubbliche, sulle costruzioni ferroviarie, sulle canalizzazioni dei fiumi, sui progetti di imponenti quanto inutili stabilimenti industriali e perfino provocando incendi nei boschi di aree protette, è la causa che cronicizza ed esaspera il dislivello economico tra il Nord e il Sud Italia.

L’esempio più eclatante è stato quello della grande rapina compiuta dall’ing. Rovelli con i suoi stabilimenti industriali costruiti con i soldi della Cassa per il Mezzogiorno e programmati in vista della rottamazione. Truffa ai danni dello Stato seguita dall’altra grande truffa dei 1000 miliardi scippati all’Imi con il giudizio intentato dall’ing. Rovelli e conclusosi con la sentenza frutto di una corruzione di alcuni magistrati e di conseguenti processi di natura penale e della successiva condanna della famiglia Rovelli alla restituzione dei 1000 miliardi.

Con le modifiche del titolo V della Costituzione (2001), apportate dalla legge di revisione costituzionale Bassanini, il riferimento alla valorizzazione del mezzogiorno è del tutto scomparso, ma è stato istituito un nuovo fondo perequativo, senza vincolo di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale. Si legge da «Il Mattino» del 16 marzo 2008, infatti, che secondo la Svimez «applicando questo meccanismo rispetto al complesso dei trasferimenti soppressi in base alla legge Bassanini e al vecchio Fondo perequativo, il Sud perde un miliardo e 97 milioni di euro, che vanno a vantaggio del Centro Nord». È stata nuovamente rimossa la questione meridionale. L’indirizzo del fondo perequativo, infatti, dipenderà da come verrà organizzato il nuovo sistema fiscale; ma, conoscendo la storia di questo paese e data anche la difficoltà di coordinare il sistema fiscale nazionale per l’insieme di tutte le regioni d’Italia a causa del cosiddetto federalismo, non è difficile intuire che l’obiettivo dell’unificazione economica del paese è ben lontano. E, inoltre, una commissione, composta da esperti della Svimez e dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II”, ha concluso i suoi lavori rilevando che la Campania e la Puglia saranno le regioni più danneggiate dai provvedimenti previsti dalla legge Bassanini.

È difficile negare, oggi, che le zone più inquinate del pianeta sono quelle con scarse risorse economiche o in via di sviluppo. Nei paesi poveri del mondo le varie multinazionali inquinanti, approfittando di blande legislazioni sull’ambiente, investono con grandi profitti e trasportano e sversano tutti i loro rifiuti tossici. Non è un caso, forse, che la Campania da 14 anni ha un commissariato di governo per il ciclo di smaltimento dei rifiuti che agisce in deroga alle leggi dello Stato. Questo passaggio è fondamentale per comprendere la situazione storica in cui ci troviamo: la disumanità del potere industriale, che persegue unicamente la logica del profitto è tale da sacrificare ai suoi interessi i più elementari diritti umani, scatenando guerre per il pianeta, e i beni comuni, privatizzando l’accesso all’acqua per milioni di persone o negando il diritto alla salute, come constatiamo dolorosamente guardando il mondo povero e antico delle nostre campagne morire lentamente, giorno per giorno. È necessario per la salvezza delle nostre vite e delle nostre terre contrastare il potere delle grandi multinazionali che, per definizione, non hanno patria e perciò non possono amare che i propri interessi. Deve costituirsi, finalmente, una forza politica europea, uno Stato europeo, con un presidente del Consiglio, un ministro degli Esteri e uno della Giustizia. Soltanto una potente federazione di Stati Uniti d’Europa potrà contrastare, con tutte le forze che possiede la cultura europea, i biechi affarismi della speculazione finanziaria legata alle grandi banche, il saccheggio dell’erario pubblico e la devastazione di interi territori.

E in Italia, a proposito del traffico illecito di rifiuti tossici, si può dire, come già sosteneva Antonio Gramsci nei suoi articoli e nei suoi discorsi parlamentari, che il capitalismo si è sviluppato con un soggiogamento brutale dell’agricoltura, in particolare quella meridionale, agli interessi dell’industria. Si è sviluppata così una conflittualità nei rapporti tra città e campagna non solo tra le grandi città industriali e le zone agricole, ma tra l’intero mezzogiorno da una parte e l’Italia del Nord dall’altra. In Italia non si è mai riuscito a risolvere la questione dei contadini, ed è rimasta quindi irrisolta la questione meridionale; cioè è rimasto sospeso, se non in conflitto, il rapporto tra lo sviluppo industriale ed economico e la vera unità del paese. Un’unità che doveva farsi soprattutto attraverso lo sviluppo complessivo ed armonico della vita sociale, culturale ed economica di tutto il paese.

Questo piccolo spaccato di storia nazionale, reso possibile soltanto dal saggio di Luigi De Rosa, è necessario per cercare di capire come sia del tutto falsa e fuorviante l’idea che i rifiuti di Napoli siano soltanto un problema locale. È una questione europea! Le campagne del Napoletano e del Casertano – insieme a tutti i loro prodotti che vanno sul mercato – sono state avvelenate così tanto da rendere, probabilmente, lontana nel tempo la prospettiva di una bonifica territoriale. I cittadini delle regioni del Nord devono sapere che le grandi industrie settentrionali hanno scaricato al Sud – specialmente in Campania – in accordo con la camorra e con politici compiacenti, tutte le loro scorie tossiche per più di quarant’anni, inquinando le falde acquifere, ferendo a morte le nostre campagne e colpendo una dopo l’altra tutte le nostre città più belle. I cittadini del Nord Italia e di tutta Europa dovrebbero acquisire consapevolezza del disastro sanitario e ambientale della regione Campania e dovrebbero essere solidali con le vittime. Tutta l’Europa non deve consentire ai responsabili di questo grande delitto di riuscire a salvarsi. Sarebbe un’ulteriore offesa alla vita civile e morale del nostro paese.

Un’offesa alla vita e alla giustizia.

Note:

1. "Trattamento dei rifiuti in Campania, impatto sulla salute umana. Correlazione tra rischio ambientale da rifiuti, mortalità e malformazioni congenite" (ottobre-novembre 2006).
2. La ricerca scientifica in Italia, atti del Convegno Potenzialità e realtà della ricerca scientifica in Italia, organizzato dall'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici e dall'Accademia delle Scienze, detta dei XL, Napoli, Palazzo Serra di Cassano, 15 novembre 2003.
3. Camorra e Politica, Commissione Parlamentare Antimafia 1993 - Laterza 1994 (pag 3).

 
 
 

AIUTATEMI... Roma, fiamme nell'ospedale Bambin Gesu'

Post n°41 pubblicato il 05 Novembre 2010 da CHEgirl
 

Vi chiedo un AIUTO... se riuscite a farmi sapere i Cognomi degli INTOSSICATI ve ne sarò grata.

P.S.:  anche in privato mi potete scrivere.

 

Roma, fiamme nell' Ospedale Bambin Gesu'Rogo domato.Tratti in salvo 10 bambini, alcuni intossicati05 novembre, 16:33

(ANSA) - ROMA, 5 NOV - Un incendio e' scoppiato nell'ospedale Bambin Gesu', a Roma. Otto squadre dei vigili del fuoco hanno domato in breve tempo le fiamme. L'incendio si e' sviluppato al terzo piano, in un locale adibito a deposito all'interno del reparto rianimazione, immediatamente evacuato. Dieci i bambini tratti in salvo, anche con l'aiuto dei medici, e trasferiti in un altro reparto. Non ci sono feriti ne' tra i pazienti ne' tra il personale medico, ma alcuni pazienti risulterebbero intossicati.

 
 
 

QUESTO è il NORD II° episodio

Post n°40 pubblicato il 04 Novembre 2010 da CHEgirl
 


Signorina "CONSUMATA"... ecco il TUO NORD

 

filmato del 2007

 
 
 

QUESTO è il NORD I° episodio

Post n°39 pubblicato il 04 Novembre 2010 da CHEgirl
 

Signorina "CONSUMATA"...ecco il TUO NORD
NO ALLE DISCARICHE DI AMIANTO

 

L’uso scorretto e criminale dell’amianto ha provocato morti e non vogliamo che anche lo smaltimento scorretto dell’amianto continui ad uccidere perché è un problema altamente sottovalutato, non si vogliono investire soldi sufficienti per eliminarlo e per ora costituisce solo l’ennesima fonte di arricchimento per pochi.

L’amianto non deve essere smaltito seguendo il principio dell’economicità e del profitto, ma solo perseguendo la tutela della salute dei cittadini. La salute non ha prezzo.

COMUNICATO STAMPA
Cremona, 25 ottobre 2010

OGGETTO: Cappella Cantone non deve diventare una nuova Terzigno! Il TAR deve dire NO al progetto di discarica di Cappella Cantone. NO all’interramento del rifiuto amianto.

Il TAR di Brescia si pronuncerà, con tutta probabilità, il 27 ottobre prossimo sulla fattibilità o meno della discarica di amianto di Cappella Cantone (CR), ma questo NON significherà per noi la conclusione della battaglia che abbiamo condotto in questi tre anni.

Se la sentenza del TAR non sarà favorevole alla sospensione, l’ulteriore passaggio obbligato sarà l’Autorizzazione Integrata Ambientale. Nel caso in cui i tecnici regionali, anche in questa sede, dovessero continuare a seguire la strada scellerata di autorizzare una discarica sopra falde acquifere affioranti, la mobilitazione continuerà e ci sarà la possibilità di ricorrere nuovamente al TAR.

Se il TAR, come noi ci aspettiamo, bloccherà la realizzazione della discarica, si dovrà comunque continuare a vigilare e a mobilitarsi contro i sicuri tentativi di aggirare la legge da parte di settori economici e politici che non demorderanno dal tentativo di realizzare i loro profitti anche con mezzi al limite della legalità. Non dobbiamo dimenticare che attorno alla cava di Cappella Cantone vi sono interessi economici privati enormi che vanno ad intrecciarsi inevitabilmente con le istituzioni e con mafie economiche di varia natura. Le discariche sono l’affare del secolo.

Dopo anni di dimenticanze e di latitanza delle istituzioni nell’affrontare questo problema lo smaltimento dell’amianto diventerà a breve un’emergenza (come stanno facendo a Terzigno e come hanno fatto a Chiaiano). Emergenza vorrà dire derogare a tutte le normative e dichiarare le aree di smaltimento di “interesse strategico militare”(vedi sempre l’esempio della Campania) al fine di inviare l’esercito per garantire lo smaltimento anche in luoghi evidentemente non idonei e pericolosi per la salute dei cittadini. Dobbiamo, quindi, impedire che con questa giustificazione siano realizzate discariche di amianto non solo nel nostro territorio, ma in tutto il Paese.

Per questo noi stiamo lavorando per consolidare ed organizzare il coordinamento di tutte le istanze che si oppongono alle discariche, che sono nocive alla salute e sono realizzate violando tutte le norme di cautela.

Scienziati e ricercatori sostengono che le discariche di amianto non sono ecocompatibili e non sono la migliore tecnologia disponibile. Non a caso la normativa europea mette le discariche all’ultimo posto nella gerarchia dei rifiuti.
Le discariche di amianto non eliminano il rifiuto e ne producono di nuovo: il percolato, ricco di fibre di amianto che ritornano quindi nell’ambiente. Il percolato deve poi essere smaltito all’estero perché in Italia non sono stati impiantati sistemi di filtrazione efficaci perché molto costosi.
I costi ambientali nel medio e lungo periodo delle discariche di amianto sono elevati: il terreno non è mai più recuperabile e vi è la necessità di un monitoraggio costante e per sempre.
Le discariche sono una delle fonti di maggiore possibilità di infiltrazione di interesse mafioso. Il principio dell’ecomafia è “sotterrare rifiuti di ogni genere in ogni spazio vuoto disponibile: costa meno tempo, meno sforzi e meno soldi”.
Ricordiamo che la Locatelli, nuova proprietaria della Cavenord, dava lavori in subappalto alla Perego, il cui proprietario è accusato di essere colluso con la n’drangheta.
L’uso scorretto e criminale dell’amianto ha provocato morti e non vogliamo che anche lo smaltimento scorretto dell’amianto continui ad uccidere perché è un problema altamente sottovalutato, non si vogliono investire soldi sufficienti per eliminarlo e per ora costituisce solo l’ennesima fonte di arricchimento per pochi.

L’amianto non deve essere smaltito seguendo il principio dell’economicità e del profitto, ma solo perseguendo la tutela della salute dei cittadini. La salute non ha prezzo.

Mariella Megna – Cittadini contro l’amianto
Giorgio Riboldi – SU LA TESTA l’altra Lombardia
Carmine Fioretti – Confederazione Unitaria di Base di Cremona

******************************************
Comunicato stampa
Cremona, 28 ottobre 2010

OGGETTO: discarica di amianto di Cappella Cantone. La decisione del TAR rinvia ad un futuro più lontano tutte le problematiche. A questo punto dimissioni di Tadi e di Salini. Questi continui rinvii sono un successo perché hanno colpito gli interessi della ditta che vuole realizzare profitto a scapito della salute di tutti i cittadini .

Dopo tre anni di impegno contro la megadiscarica di amianto a Cappella Cantone un primo parziale risultato è stato raggiunto. Il 27 ottobre scorso il TAR ha rinviato per l’ennesima volta la decisione sulla realizzazione della discarica di Cappella Cantone (CR). Questa decisione è comunque il frutto di tre anni di battaglia che hanno saputo sapientemente intrecciare la mobilitazione di una parte della cittadinanza con quella delle istituzioni costringendo queste ultime a farsi carico della diffusa opposizione alla discarica.
Il fatto che si sia riusciti ad evitare, per ora, la realizzazione di questo impianto pericoloso e criminale smentisce nei fatti “gli uccelli del malaugurio” presenti in alcune parti politiche e anche fra la cittadinanza del territorio che sostenevano l’inevitabilità di questo impianto di smaltimento.
L’ennesimo rinvio dimostra che con l’impegno costante ed intelligente contro le iniziative pericolose per la salute si possono ottenere risultati insperati anche se contro di noi si sono mossi e si muovono interessi privati e pubblici che hanno come unico obiettivo la realizzazione di profitti a scapito della vita e della salute dei cittadini.
A questo punto diventano più che mai attuali le richieste di dimissioni di Tadi, sindaco di Cappella Cantone, e di Salini presidente della Provincia di Cremona. Questi personaggi non si sono opposti allo scellerato progetto di discarica di Cappella Cantone e non hanno avuto un comportamento corretto verso i cittadini. Tadi ha ingannato i suoi elettori e si è mostrato favorevole alla discarica solo dopo essere stato riconfermato sindaco alle ultime elezioni amministrative. Salini ha adottato due pesi e due misure come se ci fossero cittadini di serie A e di serie B: ha espresso parere negativo al progetto di discarica di amianto a Cingia de’ Botti poiché vi è presenza di acqua effimera superficiale e una situazione viabilistica critica, ma ha ritenuto giusto approvare il progetto di Cappella Cantone dove vi è la stessa situazione, anzi più grave per quanto riguarda gli acquiferi.
E che dire della Regione Lombardia? La giunta Formigoni della scorsa legislatura ha operato un sopruso e si è arrivati a nominare un ‘commissario ad acta’ per la gestione della discarica di amianto di Cappella Cantone solo perché il piano rifiuti, regolarmente approvato dalla precedente giunta di centro-sinistra della Provincia di Cremona, prevedeva una distanza minima tra discariche che, di fatto, rendeva irrealizzabile il progetto di Cappella Cantone.
Il decreto regionale del novembre dello scorso anno, che ha dato parere positivo sulla Valutazione di Impatto Ambientale, è volutamente omissivo dal punto di vista tecnico-legale ed é arrivato a meno di una settimana dalla presentazione di un rapporto dell’Istituto di Ricerca Regionale (IRER) in cui si analizzavano tutte le criticità del procedimento di VIA in Regione Lombardia quali, per esempio, la mancanza di un approfondita valutazione delle alternative, il coinvolgimento diretto di soli enti territoriali senza un peso rilevante della società civile, il rendere spesso prioritario la salvaguardia dei consensi territoriali rispetto alla piena tutela ambientale e anche problemi di eventuali conflitti di interessi poiché la struttura Via è alle dipendenze dello stesso ente regionale invece di essere un organismo autonomo. Perché tutta questa fretta degli uffici regionali? E perché la VIA non ha voluto tener conto dell’alternativa meno impattante sul territorio, l’impianto di trattamento termico dell’amianto, che i comuni della zona intorno a Cappella Cantone vogliono realizzare al posto della discarica?
Gli uffici regionali hanno continuato, poi, la loro condotta poco rispettosa delle istanze provenienti dal territorio anche in sede di Autorizzazione Integrata Ambientale. Nell’ultima conferenza dei servizi del luglio scorso la Regione ha rifiutato un rinvio richiesto dai sindaci contrari alla discarica per poter esaminare le integrazioni tecniche che la ditta aveva presentato solo due giorni prima ed ha proseguito l’incontro con la sola presenza, tra gli enti interessati, di Tadi , sindaco di Cappella Cantone, e Pinotti, assessore all’agricoltura e all’ambiente della provincia di Cremona.
Ribadiamo che attorno alla cava di Cappella Cantone vi sono interessi economici privati enormi che vanno ad intrecciarsi inevitabilmente con le istituzioni e con mafie economiche di varia natura. Le discariche sono l’affare del secolo.
Questi continui rinvii sono un successo perché hanno certamente colpito gli interessi della ditta che vuole realizzare profitto a scapito della salute di tutti i cittadini. I Fratelli Testa hanno acquistato tre anni fa il terreno della cava di Cappella Cantone , per un importo tra l’altro di sei volte superiore al valore di mercato, e ancora non hanno messo a frutto il loro investimento, anzi, hanno dovuto cedere ultimamente il 100% delle quote della loro società Cavenord, che aveva presentato il progetto della discarica in Regione, alla ditta Locatelli Gabriele.
Ma non basta. Non vogliamo che dopo anni di dimenticanze e di latitanza delle istituzioni nell’affrontare il problema dello smaltimento dell’amianto questo diventi a breve un’emergenza nel senso di deroghe alle normative.
Bisogna continuare la mobilitazione, insieme a tutti gli altri comitati della Lombardia e in Italia che si oppongono alla realizzazione delle discariche di amianto, perché si arrivi ad una moratoria di tutte le autorizzazioni in corso e si rivedano le regole vigenti che non sono sufficienti a garantire che lo smaltimento dell’amianto non provochi ancora morti come ha fatto l’uso scorretto e criminale dell’amianto stesso. L’amianto non deve essere smaltito seguendo il principio dell’economicità e del profitto, ma solo perseguendo la tutela della salute dei cittadini. La salute non ha prezzo.

Mariella Megna – cittadini contro l’amianto

 
 
 
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