Creato da IlCondottiere il 16/05/2011

Proviamoci...

(note sparse scritte tra parentesi :-) )

 

 

(Per un amico)

Post n°6 pubblicato il 13 Febbraio 2013 da IlCondottiere

Ormai tanti anni fa, una sera di ottobre nella mia piccola e isolata città natale del Sud, per la prima volta i miei genitori mi lasciarono uscire dopo cena.

Avevo 13 anni, uscivo con alcuni amici per andare a vedere un concerto.

Era allora il mio gruppo preferito. La Premiata Forneria Marconi, come si usava allora con nomi veramente improbabili. Tanti oggi la conoscono come PFM.

Fu per me una serata indimenticabile. Un ragazzino, in una città così lontana dalla vita metropolitana... la musica, il sogno che avevo da bambino.

Dopo alcuni anni, con una vicenda che è un po' romanzesca, ma che non mi va di raccontare in questo luogo fatto di identità non rivelate, mi ritrovo su un palco e corono il sogno di quel bambino. E vivo l'avventura più incredibile che si possa augurare a un bambino che ha vissuto un grande sogno.

La vivo anche grazie a una persona che non conoscevo. E che mi aiutò a vivere quel sogno perché credeva nella musica che scrivevo.

Vorrei raccontarla quella storia, ha qualcosa di unico.

Ma è più grande la tristezza che nasce dal fatto che quella persona, diventato un amico di una vita, da oggi non c'è più.

E io lo ringrazio, ancora oggi, dopo tanti anni, con gli occhi gonfi di lacrime fino a scoppiare.

Grazie B.

Grazie.

 
 
 

(Lettera da un tempo che non c'è più... Quando siamo "giardinieri" del nostro destino)

Post n°5 pubblicato il 17 Dicembre 2011 da IlCondottiere

 

Può capitare di leggere una lettera lontana, di un tempo che non c'è più, e sorridere per le emozioni che ti trasmette ancora.

Parla magari di una persona di cui ricordi molto poco. O di cui fai fatica a ricordare persino il volto e la voce.

Ma rimane il ricordo di quelle emozioni.

Ho ripreso altre volte passi di questa lettera, anche in questo blog. Per questo ho deciso di pubblicarla qui, eliminando i particolari più personali di tutti e due. L'ho fatto dopo aver letto il blog di una ragazza, che conosco poco, ma mi ha colpito quello che ha scritto.

Sono affezionato a questa lettera, ha rappresentato il momento in cui "cancellavo" un pezzo di passato grazie a quello che c'è scritto dentro la lettera. Non c'è stato futuro dopo la lettera. Ma rimane il piacere di rileggerla. 

E questo conta.

P.S: non è il post annunciato in quello precedente ;-)

Eccola:

 

QUANDO SIAMO GIARDINIERI DEL NOSTRO DESTINO

 

“Ognuno deve lasciarsi qualcosa dietro quando muore, diceva sempre mio nonno: un bimbo o un libro o un quadro o una casa o un muro eretto con le proprie mani o un paio di scarpe cucite da noi. O un giardino piantato con il nostro sudore. Qualche cosa insomma che la nostra mano abbia toccato in modo che la nostra anima abbia dove andare quando moriamo, e quando la gente guarderà l’albero o il fiore che abbiamo piantato, noi saremo là. Non ha importanza quello che si fa, diceva mio nonno, purché si cambi qualcosa da ciò che era prima in qualcos’altro che porti la nostra impronta. La differenza tra l’uomo che si limita a toccare un prato e un vero giardiniere sta nel tocco, diceva.

Quello che sega il fieno poteva anche non esserci stato, su quel prato, ma il vero giardiniere vi resterà tutta la vita.”

Ray Bradbury, “Fahrenheit 451”


Ero già a letto. Apro la posta, come faccio tutte le sere da quando ti conosco per vedere se mi scrivi qualcosa. L’ho fatto anche in tutte queste sere. In fondo bastava un “non me la sento”, avremmo sorriso, ti assicuro.

Stasera non me l’aspettavo. O forse sì, non so. Lo confesso, quando ho visto che c’era la tua mail,  prima di aprirla mi batteva il cuore. La apro o non la apro, cosa mi avrà scritto? La leggo domani? No, leggiamola adesso.

L’ho letta con gli occhi lucidi.

Quella mail sei tu. Piccole frasi, quasi la voglia di non dire, ma la paura di dire troppo poco. O, al contrario, quasi la voglia di dire tutto, ma la paura di dire troppo. O tutte e due le cose, come la donna che sto conoscendo a piccoli pezzi... Spesso lasciando chi è dall’altra parte con il dubbio di non aver capito...

Quei punti seguiti da lettere minuscole, errore da matita blu per una che ha fatto il classico, ma che fa tenerezza se pensi a una persona che scrive le sue emozioni e le mastica e le rimastica fino al punto di non far caso alla grammatica...

Siamo stati giardinieri, amica mia. Sai che non scelgo mai a caso le cose che ti invio, come non ho scelto a caso il pezzo qua sopra.

Siamo stati giardinieri. Tu hai la fortuna di avere un bambino che adori. Io adoro le cose che ho costruito.

Ma siamo stati anche quelli che segano il fieno. Ricordi questa frase? 

Da quella stella all’altra
si carcera la notte
in turbinante vuota dismisura
da quella solitudine di stella
a quella solitudine di stella...


Siamo stati buoni giardinieri per le nostre vite.
Non siamo stati buoni giardinieri per i nostri cuori.

Questo mi ha colpito sopra ogni altra cosa.
Sopra le mille coincidenze incredibili e irripetibili, persino (la più banale) nell’acqua che ci piace bere.
Sopra la voglia di non chiudere mai il telefono.
Sopra le mie parole sempre sopra le righe.
Sopra i tuoi silenzi che a volte arrossivano, a volte sorridevano.

Alcune notti sono accadute, amica mia.
Non è sempre questione di amore o sesso.
Può esserci tenerezza per farle accadere.
Può essere la voglia di sentirsi giardinieri del proprio cuore per un’ora. Per un giorno.
O per una vita.

Non ha importanza quello che si fa, diceva mio nonno, purché si cambi qualcosa da ciò che era prima in qualcos’altro che porti la nostra impronta.

Non ha importanza quello che si fa. Purché si cambi qualcosa. In quei momenti sentivo cambiare qualcosa in me. E un po’ cambiava qualcosa in te. Poco, ma qualcosa.

In quei momenti siamo stati giardinieri del nostro cuore.

Questo mi piaceva di quei momenti.

E volevo solo provare a essere giardiniere guardandoti negli occhi e facendo guardare a te i miei.

Senza illusioni, speranze o pensieri che non trovassero albergo nella realtà e nella reciproca volontà di percorrerli.

Ho il cuore pieno di spine, amica mia. Non c’è più spazio per una mano che lo tocchi, si pungerebbe. Ho cercato di fartelo capire e non ci sono riuscito.

Ma voglio liberare i miei pensieri, le mie voglie, i miei sentimenti. Da molti anni sono spesso una sfinge. Non mi apro, o lo faccio con cautela.

Con te ho scelto subito il volo libero.

Non importa come andrà. L’ho fatto per sentirmi di nuovo giardiniere del mio cuore. E questo te lo devo, perché è grazie a te che è successo.

Non ci sono asincronie nell’essere giardinieri del proprio cuore, non ci sono "tempi diversi" nell'amore. Non possono esserci asincronie quando la domanda è solo di poter mostrare i propri occhi a quelli altrui. Non c’è aspettativa che può andar delusa, perché non c’è aspettativa. Solo voglia di costruzione.

E si può costruire solo in due, per cui se uno non ce la fa, l’altro non ha il supporto per costruire. Può nascere un’amicizia, una grande amicizia. Può nascere un amore. Un grande amore. Può nascere l’indifferenza, o l’accorgersi di una sopravvalutazione dell'importanza dell'altro dovuta alle circostanze.

Te l’ho detto in tanti modi, non so cosa potrebbe succedere, ma non mi pongo la questione, la domanda. Lo scopo non è far succedere una cosa o l’altra. Lo scopo è non rinunciare a essere giardinieri.

L’unica delusione che potrò mai avere è non essere riuscito a provare a essere giardiniere del mio destino.

A provarci.

Poi, non è sempre detto che l’erba possa crescere verde e rigogliosa.

Un bravo giardiniere lo sa.

E ripara il suo prato dal dolore.

Continuo a volerti bene.

 

 
 
 

Post in arrivo: (Le domande delle Cento Pistole)

Post n°4 pubblicato il 27 Settembre 2011 da IlCondottiere

In arrivo a ore :-)

 
 
 

(Quelli che "Gli amici veri...")

Post n°3 pubblicato il 19 Settembre 2011 da IlCondottiere

 

Pazzesco. Megagalattico. Mostruoso. Bestiale. Megadirettore. Prima di Fantozzi questi termini o non esistevano (megagalattico e megadirettore), o erano usati principalmente per indicare proprietà del regno animale (bestiale) o qualcosa di spaventoso (mostruoso). Con Villaggio sono entrati nell'uso della lingua italiana per indicare qualcosa di talmente grande da essere fuori dalla norma. E si è giunti alla consacrazione dell'idea stessa che Fantozzi rappresentava, che ha dato origine al temine "fantozziano", che racchiude in sé un intero mondo di cose, di concetti, di rappresentazione della vita. E poi, il più famoso termine tra tutti quelli resi popolari in quel libro, citato non a caso per primo nell'elenco: "pazzesco".

Un'icona per quelli della mia generazione (io una volta riuscii al liceo a convincere un prof di italiano a fare una lezione leggendo capitoli del libro :-) ).

Capita poi qui che, parlando una sera con una ragazza che è nata dopo quel film e quel libro, lei ti citi le battute come se le avesse vissute come te quando eri ragazzo. E ti suggerisce il valore di quei "cult" generazionali che riescono a passare attraverso epoche diverse per ragioni che è difficilissimo capire.

Difficile capire per quale ragione Marylin o il "Che" diventino culti che oltrepassano le generazioni e altri no.

Una spiegazione comune in genere è la morte prematura, che scatena questo senso della "perdita" di un talento o di un'icona e che fa vivere questi personaggi all'interno di un'aura leggendaria. Da Marylin al Che, da James Dean a Janis Joplin, da Jim Morrison a Jimi Hendrix, per finire con gli ultimi in ordine di tempo, Heath Ledger e Amy Winehouse.

Capita così che ti venga in mente, chiacchierando con questa amica senza un volto, uno che è scomparso prematuramente, che era ritenuto un genio nel suo lavoro e che molti ancora ricordano, ma che non è diventato un'icona. Era una persona divertente e colta, ma non cantava. E non aveva il "physique du rôle" dell'icona.

Si chiamava Beppe Viola, era un giornalista RAI scomparso all'età di 43 nel 1982, famoso per chi ha visto i mondiali dell'82 (l'esperienza di gioia collettiva più indimenticabile della nostra vita, sicuramente) per le telecronache surreali che oggi, per chi è cresciuto con la Gialappa, suonerebbero come normali, ma che all'epoca erano una rottura con lo stile televisivo quotidiano della stessa forza dell'impatto fantozziano nelle nostre vite.

Per intenderci, in un'epoca in cui i calciatori nelle interviste parlavano dicendo "il signor arbitro", lui, durante una partita del mondiale in cui una squadra sudamericana era ormai eliminata e all'ultima partita, disse: "i difensori ripartono verso l'attacco per cercare il gol, ma ripartiranno ancora meglio domani con l'aereo che li riporterà a casa per mettere fine a questo disastro".

Come tutte le persone di grande talento, Beppe Viola era poliedrico. Ha scritto testi per i più grandi cabarettisti dell'epoca e per film come "Romanzo popolare" e scriveva su Linus. Era poliedrico come lo è sempre stato Villaggio. La stanza che frequento spesso, "4 amici al bar", ha il nome di una canzone di Gino Paoli che parla di 4 amici genovesi che si trovavano davvero in un autentico bar, che esiste ancora. Quei 4 amici erano: Gino Paoli, Luigi Tenco, Fabrizio De Andrè e Paolo Villaggio, appunto (alcuni sostengono che fossero Bindi e Lauzi al posto di Villaggio e De Andrè). Erano 4 amici che sarebbero diventati tutti famosi, ma che allora sognavano di poter vivere del proprio talento. E Paolo Villaggio, tra le altre cose, scrisse il testo di una canzone di De Andrè, la più surreale di tutte ovviamente, "Carlo Martello".

Così anche Beppe Viola scrisse per un suo amico, Enzo Jannacci, il testo di una canzone destinata a rimanere nel tempo: "Quelli che...".

Non mi è tornata in mente a caso "quelli che" vista la batosta dei cugini rossoneri col Napoli di ieri sera e vista la frase della canzone che dice "Quelli che quando perde l'Inter o il Milan dicono che in fondo e' una partita di calcio e poi vanno a casa e picchiano i figli, oh yes!". I miei amici milanisti non picchiano i figli sicuramente, ma ieri sera non ho ricevuto nessun messaggio (stranamente :-) ) da loro.

Ma non perdiamo il filo.

"Quelli che", insieme a questa ridda di pensieri confusi che ogni tanto si affastellano nelle serate di chat, mi ha portato a passare dalle strane amicizie di chat alle amicizie della vita di ogni giorno. Definisco strane le amicizie di chat non perché brutte o anomale, ma perché spesso nascono tra persone che nella vita non si incontrerebbero, vuoi per ragioni generazionali, vuoi per motivi legati al tipo di lavoro e altro ancora.

Così il mix di Fantozzi, Beppe Viola, canzoni sugli amici e il ricordo di "quelli che" questa mattina, andando a lavorare, mi ha fatto pensare a "quelli che" sono, o possiamo considerare, veri amici.

E così, in fila, sono venuti fuori i miei pensieri, parafrasando Beppe Viola...

 

"Quelli che" sono amici un solo giorno nella vita.

"Quelli che" sono amici ogni volta che serve.

"Quelli che" sono amici solo quando li incontri. 

"Quelli che" sono amici su Facebook. Poi manco ti salutano per strada.

"Quelli che" sono amici in silenzio, ma sono amici.

"Quelli che" sono amici perché può essere utile essere tuo amico.

"Quelli che" sono amici perché gli piace la tua donna.

"Quelli che" sono amici perché sono amici di chiunque.

"Quelli che" sono amici perché te lo hanno dimostrato.

"Quelli che" sono amici nel momento in cui è importante essere amici.

"Quelli che" sono amici perché "fa gruppo".

"Quelli che" sono amici perché senza amici la vita è triste.

"Quelli che" sono amici perché così dividiamo le spese.

"Quelli che" sono amici perché ti vogliono bene.

"Quelli che" sono amici perché non li vedi da vent'anni ma quando li incontri hanno gli occhi lucidi.

"Quelli che" sono amici perché quando ti stringono le mani non le lascerebbero più.

"Quelli che" sono amici perché chi trova un amico trova un tesoro.

"Quelli che" sono amici perché vogliono qualcosa da te.

"Quelli che" sono amici che hanno sempre dato e mai chiesto, e ti fanno sentire colpevolmente in debito.

"Quelli che" sono amici perché riescono a regalarti un sorriso ogni volta che li vedi o li senti.

"Quelli che" sono amici perché con una telefonata ogni tanto li senti più vicini di tante persone che vedi ogni giorno.

"Quelli che" sono amici. E stop.

 

In tutto questo bailamme notturno e mattutino di pensieri sugli amici, mi sono sforzato di trovare il mio "quelli che", quello che rappresenta per me, fra tante frasi possibili, il concetto di un vero amico.

E ve lo lascio, invitando chi legge, se ha voglia, a lasciare il suo "quelli che" dedicato agli amici nei commenti...

Ecco il mio.

 

"Quelli che... un vero amico è quello che non tradisce mai la tua fiducia".

 

 P.S: prima che ricapiti una cosa già successa, non c'è nessun riferimento a persone o storie di chat se non quelli espressamente indicati nei miei post :-)

 

 
 
 

(Ci sono notti che non accadono mai...)

Post n°2 pubblicato il 12 Settembre 2011 da IlCondottiere

Ci sono notti che non accadono mai.

Quante cose racconta questa frase nella sua semplicità.

Ci racconta la notte, il luogo dell'amore, del sesso, dell'ansia, dell'abbandono.

Il luogo delle paure: della solitudine, del buio, della morte e di quelle paure che avevamo da bambini, quando dicevamo le preghiere a mani giunte per sentirci più protetti da un angelo custode che immaginavamo ci avrebbe seguito per tutta la vita. 

Ci racconta la speranza di notti migliori e il desiderio che accadano quelle che sembrano non arrivare mai.

Può dar l'idea di una frase intrisa di pessimismo. Ma a leggerla con la parte giusta del cuore ti riempie di ottimismo, proprio perché speri che quelle notti accadano.

Questo luogo improbabile, la chat, da molti viene vissuto in orari notturni. E molti, moltissimi di quelli che la vivono così sono alla ricerca di quelle notti che non accadono mai.

Chi scrive ne ha vissute alcune, le ha viste accadere. E sono stati momenti a loro modo unici, irripetibili. Notti illusorie, finte, vendicatrici. O dense, sensuali, sognanti. O, ancora, magiche. Ma di una magia molto simile a quella di un illusionista, purtroppo...

Devo l'aver riscoperto questa frase a una donna che me l'ha fatta spuntar fuori proprio in una notte di quelle, qui in chat. Una donna veramente bella, non finta, con la quale avevo una strana e incredibile serie di cose in comune, compreso l'aver frequentato la stessa scuola da ragazzi, anche se in anni lontani uno dall'altra... Quelle notti sono accadute, sono rimaste nella mia memoria, forse a monito di quanto potessero essere poi contraddette dalla realtà fuori da qui. Una donna magnifica, qui dentro. Una donna bella e fragile, fuori da qui.

E l'ho usata solo un'altra volta, per rendere omaggio ad altre notti che sembravano accadere, per un'altra donna, magnifica anche lei qui dentro...

In fondo, a molti questo luogo piace perché è un condensato della vita che puoi utilizzare quando ti pare. E, al contrario della realtà quotidiana, quando non ti piace basta un clic. Quanti vorrebbero poterlo fare ogni giorno? 

In questi giorni, in queste settimane, mi accadono notti di ogni tipo. Discussioni, sentimenti, attrazione, amicizie, rotture, tutto si mescola con quella velocità e quella improbabilità che ha la chat rispetto ai ritmi della vita. Accade tutto velocemente e in una notte puoi attraversare molte condizioni che la vita ti proporrebbe in giorni, settimane, mesi. A volte anni.

In queste lunghe, interminabili, sofferte, intense notti di questo strano settembre che sto vivendo in chat, molto accade. Troppo. In alcuni momenti il fastidio supera il piacere. E questa cosa è l'anticamera dell'abbandono della chat, sempre.

Poi, improvvisamente, come una moneta che luccica da lontano in una giornata assolata, trovi qualcosa che fa accadere una notte che davvero non accade mai.

 

Trovi un grazie.

 

Semplice, sentito, da una persona che hai aiutato, con le tue stupidate scritte per ridere e i tuoi consigli da trombone pieno di esperienza, ad alleviare una paura e una sofferenza indicibile. Quella di una vita giovane che vive la paura del domani. Ma non del futuro lavorativo o della vita familiare. Della vita stessa.

Trovi un grazie che cancella il resto per un attimo e fa accadere una notte indimenticabile, per un piccolo gesto, che non nasconde nessun altro fine. 

Un messaggio in bacheca con questo grazie grande come il mare.

 

Voglio dire grazie io a te per avermi regalato questo gesto.

 

E riprendo a sperare, chissà, che altre notti possano accadere.

Non sono qui ad aspettare che "adda passà a nuttata".

Sono felice della mia vita.

 

Mi manca solo che accada qualche notte ancora.

 

 

P.S: per chi non l'avesse mai letta, quella di seguito è la poesia di Alda Merini

Ci sono notti

che non accadono mai

e tu le cerchi

muovendo le labbra.

Poi t’immagini seduto

al posto degli dèi.

E non sai dire

dove stia il sacrilegio:

se nel ripudio

dell’età adulta

che nulla perdona

o nella brama

d’essere immortale

per vivere infinite

attese di notti

che non accadono mai.

 

 
 
 
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