Creato da Pi_Lucie il 06/01/2010

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AMARCORD - Viaggio nell'anticalcio

Post n°8 pubblicato il 06 Gennaio 2010 da Pi_Lucie
 

Bidoni

I BIDONI E LA SERIE A

STRANIERI AI "BROCCHI" DI PARTENZA

Una carrellata di personaggi, storie, disavventure e risate. I chili di troppo di Mário Jardel. Darko Pancev, il “Cobra” senza veleno. Il “Dottore” Socrates, poca corsa ma in compenso tante sigarette, birra e politica. Renato Portaluppi e la dolce vita romana. Jorge W. Caraballo: da centrocampista del Pisa a tassista tra Caracas e Montevideo. Da Pistoia a Pistoia: da presunto talento in campo a venditore di gelati allo stadio e attore porno: la leggenda di Luis Silvio Danuello. E poi Gustavo Neffa, dalla Cremonese a personal trainer della moglie… Un viaggio nel “sacro” universo dei bidoni.

Strutture fatiscenti, Calciopoli, fiscalità stringente, diritti televisivi, mancanza di stadi di proprietà. Il campionato italiano, da sempre considerato il più affascinante e competitivo del mondo, perde terreno e credibilità nei confronti di Premier League inglese e Liga spagnola. Le partenze di Kakà ed Ibrahimović lo hanno ulteriormente impoverito, relegandolo al livello di Bundesliga tedesca e Ligue 1 francese. Un tempo però, la massima serie era considerata l’eldorado del calcio mo ndiale, con ricchi ingaggi e grande visibilità per i calciatori d’oltrefrontiera. La sfilza dei campioni che hanno dato lustro al campionato italiano e fatto la fortuna di società e tifosi è lunga. Zico, Falcão, Platini, Van Basten, Zidane, Batistuta, Gullit e Ronaldo rappresentano la punta dell’ iceberg, sulla cui cima svetta Diego Armando Maradona, considerato di diritto il più forte di tutti i tempi. Ma la serie A è anche la terra dei cosiddetti “bidoni”, presunti talenti esotici poi rivelatisi incredibili bufale. La storia del calcio italiano è zeppa di meteore, colpi di mercato deflagrati in autentici flop, sviste degli osservatori e aspettative tradite. Una girandola di nomi e racconti che ci riportano indietro nel tempo. Pancev, L. Blissett, Socrates, Luis Silvio Danuello, Neffa, Vampeta, Portaluppi, Eneas de Camargo, Sliskovic, Al Saadi Gheddafi, Alexi Lalas e tanti altri. Una girandola di storie e personaggi che possono suscitare ilarità, o al contrario disperazione  tra i tifosi che ne ricordano le imprese maldestre. Campioni farlocchi che hanno fatto la fortuna degli amanti delle statistiche e degli appassionati del genere ma di  certo non dei presidenti, degli allenatori e dei tifosi stessi. Rivaldo, Sforza, Tomic, Beto, Rambert, Andrade, Anastopoulos e Gresko: come (non) fare affari e gettare i soldi nel bidone.

Immaginate di avere in mano un mazzo di figurine sbiadite dal tempo, spiegazzate, integre. Vive. Un gioco nostalgico di facce e casacche. Niente campioni però. Qui non c’è posto per il viso austero di Platini, per i riccioli neri di Maradona, per le treccine di Gullit, per la chioma fluente di Batistuta e per le teste pelate di Zidane e Ronaldo. Qui si mercanteggia solo con le “schiappe”. Un gioco perverso fatto di fallimenti e delusioni  sportive. Prendetene una a caso. Ecco che appare lo sguardo intriso di saudade del centrocampista carioca Luis Silvio Danuello. Arrivato in Italia nel 1980 dal Ponte Preta e accasatosi  alla corte della neopromossa Pistoiese, disputa appena 6 partite senza mettere a segno alcuna rete. La conseguenza? A fine anno i dirigenti toscani lo rispediscono in Brasile. L’arrivo del brasileiro  genera notevoli entusiasmi nella piazza arancione della Pistoiese. Ma le prime amichevoli e apparizioni in Coppa Italia mettono a nudo le sue carenze tecniche. Le ragioni di questo misero fallimento vanno ricercate in un grottesco equivoco: la società toscana cercava una punta mentre Luis Silvio era una “ponta”, in portoghese ala. Rovinato da una vocale. Un’icona smarrita nella nostra Serie A, sulla quale aleggiano diverse leggende sul viale del tramonto: venditore di gelati allo stadio di Pistoia, attore porno, barista.
Da Ponte Preta a San Paolo il passo è breve. Capelli lunghi e barba incolta.  Dalla vostra fisarmonica di figurine fa capolino l’immagine di Socrates. Dal Corinthians alla Fiorentina. Stagione 1984-1985, 25 presenze e 6 reti per quello che veniva definito “Il tacco di Dio”, per via dell’uso smodato di preziosismi. “Il Dottore”, così soprannominato per  la  Laurea in Medicina, mal sopportava sacrifici,  allenamenti ed  imposizioni. In campo passeggiava  letteral
mente. Morale della favola? Nella sua infelice parentesi viola, ai duri allenamenti ed al sudore preferì sigarette, birra e nottate tirate fino all’alba a discutere di politica. Oggi vive in Brasile e si specializza in medicina sportiva e giornalismo. E’ anche opinionista per la rivista “Carta Capital” di S.Paolo.
Carioca non è sempre sinonimo di garanzia. Specie quando i presunti campioni si rivelano eccellenti soltanto tra le lenzuola. E’ il caso di Renato Portaluppi, sbarcato dal Flamengo sulle rive del Tevere, sponda giallorossa (1988-1989), assieme al connazionale Andrade, ribattezzato  dai   tifosi romanisti “Er moviola” per via  dell’andatura compassata. “E’ secondo solo a Gullit”,  il pensiero di Niels Liedholm. Previsione inesatta quella del “Barone” perché Portaluppi disputa 23 partite con la maglia della Roma senza lasciare il segno. Fisico scultoreo, zazzera e temperamento caliente, il centrocampista si immerge totalmente nella dolce vita romana, tra innumerevoli amanti e notti insonni.
I tifosi lo contestano. Lui litiga con Massaro e critica il calcio italiano. Restiamo in Sud America ma ci spostiamo in Uruguay.  Nell’estate del 1982, il Pisa di Romeo Anconetani acquista dal Danubio Montevideo il centrocampista Jorge Washington Caraballo. La giovane promessa giunge in Italia tra fanfare e tromboni, proclamandosi “Il nuovo Schiaffino”. Finisce ben presto nel dimenticatoio della panchina. L’emblema della sua disavventura neroazzurra è racchiusa in una partita di Coppa Italia,  Pisa – Bologna. Nei minuti finali l’arbitro concede un calcio di rigore in favore dei toscani. Sul dischetto si presenta Caraballo che spedisce in curva. Apriti cielo. Una leggenda vuole che oggi, per tirare avanti, faccia il tassista tra Caracas e Montevideo.
Una meteora, un fuoco fatuo che non è riuscito ad incendiare la passione dei tifosi grigiorossi.  Sul vostro tavolo ecco apparire l’effigie di Gustavo Alfredo Neffa, un passato con la maglia della Cremonese, condito da tre stagioni (1989-1992), tra massima serie e cadetteria. Tra poche luci e tante ombre. Il ragazzo, scuola Olimpia Asuncion, non riuscì mai ad imporsi, con prestazioni deludenti e reti al lumicino (3). A fine carriera finì per svernare in Sud America, per poi improvvisarsi personal trainer della moglie, la tennista Rossana De Los Rios.
Se è vero che l’Inter con i suoi Rambert, Sforza, Gresko, Bergkamp, Jonk, Sorondo, Brechet, Vampeta, è la regina indiscussa dei mercati malriusciti e delle promesse non mantenute, anche l’altra faccia di Milano ha non pochi scheletri nell’armadio.  Beloufa, Ba, Dhorasoo, Bogarde, Reiziger, J.Mari e Kluivert. Una batteria di pentole rossonere senza coperchio. Un inferno di diavoli senza corna, capo né coda, capitanati dalla punta spuntata Luther Blissett. Voluto dall’allora presidente milanista Giuseppe Farina, l’attaccante anglo-giamaicano si dimostrò tutt’altro che un infallibile cecchino.
Prelevato dal Watford (1983-1984), si mormora che gli emissari rossoneri furono tratti in inganno, confondendolo con l’altra punta di colore, quel John Barnes poi protagonista nel Liverpool. Per lui presto rientro in Inghilterra e ritorno al Watford. Dopo una breve permanenza nel club di proprietà di Elton John, si lancia in una nuova avventura, fondando la scuderia automobilistica “Team 48 Motorsport”.
Rimanendo in tema di gol sbagliati, come non citare il bidone per antonomasia: “Il Cobra” Darko Pancev, giunto a Milano, casa Inter, sprovvisto di veleno. La faccia stralunata, i gol mangiati da due passi, le “ciabattate” in curva, lo hanno  consacrato nel gotha dei “brocchi”,  a dispetto della Scarpa d’Oro vinta con la Stella Rossa di Belgrado.
Queste righe costituiscono una coperta troppo corta per tentare di coprire il nutrito campionario  di grandi cantonate e pseudo-fenomeni.
Ci restituiscono però, un punto di vista smarrito negli anni, quando con occhi da adolescenti guardavano a questo  magico mondo e i personaggi citati diventavano i compagni di pomeriggi assolati o rigidi inverni.
Storie di fratelli che non si somigliano affatto.
Hugo Maradona (Ascoli) brutta copia del Pibe de Oro,  Sergio Zarate (Ancona), “El Raton” meno talentuoso del fratello Mauro. Mário Jardel, i chili di troppo e la tartaruga rovesciata. François Oman Biyik, fotocopia sbiadita del campione ammirato ai Mondiali del 1990.
Se è vero che il romanzo del calcio lo scrivono i grandi interpreti ed i gregari, gli artisti illuminati e gli umili faticatori, le prime donne ed i rincalzi, c’è spazio anche per coloro che hanno fallito miseramente.
In fondo il calcio è metafora della vita. Le fortune si alternano alle sventure, gli insuccessi fanno il paio con le vittorie, i fallimenti quotidiani possono tradursi in successi.
A tutti capita la stagione da “bidoni”. Per questo, la loro storia è anche un pò la nostra.

 

4 SCHIAPPE

 

 

 
 
 

Dagli Invincibili agli Immortali: gli Eroi e la Strage di Superga

Post n°7 pubblicato il 06 Gennaio 2010 da Pi_Lucie
 

Il grande Torino

4 Maggio 1949. Il trimotore I-Elce che riportava a casa il Grande Torino si schianta sul Muraglione della basilica di Superga. Le nuvole incombono basse, cupe e grevi. La nebbia avvolge come in una cortina di fumo le colline piemontesi. Quel giorno la squadra granata, vanto di un'Italia che faticosamente cercava di scrollarsi di dosso la polvere e la ruggine del secondo conflitto mondiale, perde la partita più importante e forse anche più difficile: quella con il proprio destino. Qui finisce la storia agonistica del grande Torino di Valentino Mazzola ed inizia il Mito. Il Mito di una formazione invincibile, definita la più bella d'Italia: un mosaico creato ad hoc dal presidente Ferruccio Novo, capace di impreziosire la bacheca granata con 5 scudetti consecutivi. La grandezza del Grande Toro non risiede soltanto nelle straordinarie vittorie e nella forza del collettivo ma soprattutto nella capacità di travalicare campanilismi e fedi sportive. Il Torino è leggenda ed ogni appassionato cuce sulla propria bandiera ideale, un drappo granata. Tanto è stato detto, scritto e raccontato sull'epopea granata e sulla tragica quanto inaccettabile fine. Film, libri, documentari, poesie e ricordi non rendono giustizia ad una storia affascinante quanto drammatica. Aiutano però a conservare la memoria, a tramandare alle nuove generazioni il ricordo di una delle pagine più memorabili ed insieme drammatiche dello sport, della storia e del costume italiano. Una pagina intrisa di vittorie, di volontà, di coraggio e lealtà sportiva. La storia di un gruppo che seppe far parlare di sè anche lontano dai confini nazionali; che diede linfa e riscatto ad un'intera nazione, uscita malconcia dall'occupazione tedesca e dal dominio fascista. All'estero tutti volevano affrontare la squadra del patron Novo e del nocchiero Valentino Mazzola. Oggi, a sessant'anni di distanza, il popolo granata rende omaggio ai caduti di Superga. Probabilmente il Grande Toro starà disputando e vincendo il campionato tra le nuvole, in quel gotha tutto speciale, dove alle imprese della compagine della Mole, si alternano le serpentine di Garrincha, i funambolismi di George Best, le entrate decise ma pulite di Gaetano Scirea e le discese di Giacinto Facchetti. A noi piace pensare, forse in modo un pò troppo cadenzato e romantico, che la squadra sia in trasferta, magari ancora a Benfica, in compagnia del capitano lusitano Francisco Ferreira, a cui Mazzola e compagni avevano regalato lustro e prestigio nel giorno dell'addio al calcio. Indro Montanelli a proposito del Grande Torino ha scritto: "Gli eroi sono sempre immortali agli occhi di chi in essi crede. E così i ragazzi crederanno che il Torino non è morto: è soltanto "in trasferta". Di sicuro, nei cuori e nel ricordo degli appassionati, la leggenda del Grande Torino gioca sempre tra le mura amiche.

 
 
 

DA OGGI SMETTO DI USCIRE CON ME STESSO

Post n°6 pubblicato il 06 Gennaio 2010 da Pi_Lucie
 

Da oggi smetto di uscire con me stesso

Il fischio di un treno. Le grida di lontano di alcuni bambini che approfittando dell’assenza dei genitori, si rincorrono intorno ad un’altalena. Nella stanza male illuminata giornali, bottiglie e vestiti si confondono come passeggeri all’aereoporto. Le auto sfrecciano spedite verso discoteche, wine- bar, enoteche, bistrot ed ogni sorta di locale, alla ricerca dell’effimera illusione: quella di sentirsi vivi una sera. Una sola sera. Il tramestìo della notte in divenire, si sposa bene con il cigolio del tram. Il pachiderma che passeggiando sulle ferrose rotaie taglia di netto le arterie della città.
Nell’appartamento al quinto piano di Via Costanzi, un uomo, con rapide falcate taglia di netto l’abitazione. E’ appena uscito dalla doccia; la sigaretta accesa come una torcia, l’accappatoio logoro che ne mette in luce il petto glabro e le forme non proprio sinuose. Ai piedi, al posto di comunissime ciabatte da bagno indossa un paio di buste griffate “PAM – LA SPESA INTELLIGENTE”. Fuori il suono delle campane di una piccola chiesa segnano le undici. Un ‘ambulanza muggisce per aprirsi un varco nel traffico del sabato sera. Lombardo. Si fa chiamare cosi dagli amici, anche se questi non capiscono il motivo di questa scelta, dato che è originario di Mondello. L’uomo in preda ad una crisi isterica continua a camminare su e giù per il corridoio, prendendosi la testa tra le mani e continuando a ripetere all’infinito: “Il basco, non trovo piu’ il basco”. Una litania straziante. Una cantilena dolorosa che violenta il silenzio tra quelle quattro pareti. Ad un certo punto Lombardo pare liberarsi da quel pensiero martellante e d’impeto afferra la cornetta del telefono. Dall’altro capo una voce fievole e femminile alza il ricevitore:
- Pronto. Chi è?
- Puttana. Allora ci sei..
- Certo amore. Ma che ti è preso?
- Le mie solite ossessioni. Con chi sei?
- Ma con chi vuoi che sia. Da sola.
- Giuramelo su quello che hai di più caro.
- Amore, a me di caro rimani solo tu.
- Stronzate. Perché dovresti stare con me. Non vedi che panza e guarda che occhiaie. Fuori è pieno di ragazzi giovani e aitanti.
- Ma io amo te. Te l’ho già ripetuto mille volte.
- Cazzate. Non sei da sola. Un mio parente di Canicattì mi ha appena letto le carte.
- E cosa ti avrebbe detto questo parente di Canicattì?Sentiamo.
- Che sei bionda e che in questo momento in casa con te ci sono altre due persone.
- E tu credi davvero alle carte?
- Si.
La donna abbassa il ricevitore. Lombardo rimane con la cornetta in mano a fissare la sua stanza. Ai piedi del letto preservativi, medicinali, unguenti, creme anti-età, guanti in lattice, anfibi e vecchie riviste sportive fungono da squallida scenografia a quel triste teatro di vita.
Leonardo si distende sul letto. E’ solo, dannatamente solo. Prova a distendere le gambe, il torso rigido, la bocca contratta in una smorfia che apre un sipario sulla scacchiera dei denti. Dodici all’attivo. Il resto perso tra le mattonelle di pavimento freddo e disunito. Retaggio di una sbronza colossale. Leonardo è in dormiveglia. I pensieri si fanno vaghi. E’ stanco. La percezione dell’esterno è sbiadita quando ad un tratto un rumore metallico lo fa destare. Il suono di una ruota che gira freneticamente e squarcia d’improvviso il silenzio. E’ mezzanotte. Leonardo si alza e di scatto attraversa il corridoio e poi la cucina. Il rumore cresce d’intensità.. Sembra sempre più vicino, più vivo.. Sembra entrargli direttamente al cervello, perforandolo. Uscendo sul balcone rimane di sasso dinanzi a quel piccolo roditore che schizza come una saetta tra i raggi della sua ruota. Un criceto invasato. Un dannato criceto. In fondo ognuno ha le sue debolezze.
Ormai è tardi per riprendere sonno. Si veste, afferra le chiavi di casa e prende d’infilata la porta, finisce di scolare il Martini e uscendo di casa accende l’ennesima sigaretta. La cortina di fumo azzurrognolo gli arrossa gli occhi. Due occhi da criceto invasato, Un maledetto roditore che crede di essere un uomo e si dispera per questo. Due occhi contornati da occhiaie pesanti simili alla traccia lasciata dall’aratro sul terreno. L’auto parte come una molla. Le mani saldamente sul volante. La radio che starnazza un vecchio motivo di Califano: “Piuttosto che sta solo dentro al letto vado randagio in quarche vicoletto”. Le luci della notte suscitano in lui una certa eccitazione. Attraversa viali, ponti, stazioni, cavalcavia fino a quando giunge a Piazza Vittorio. La culla del melting-pot. L’esempio vivente e mal riuscito d’integrazione razziale. Alla fermata del 38 notturno, senegalesi, rumeni, albanesi, moldavi, ceceni e polacchi si accalcano come anguille dentro ad un tinozzo in attesa del bus. Canto orchestrale di miseria, esecuzione corale vivente di poveri diavoli. “Uomini del sud, oggi canto per loro e per tanta gente che non ha lavoro…io figlio loro”. Leonardo vedendo quelle facce smunte, quei corpi macilenti, quelle figure che implorano pietà non li lascia impietosire e abbassando il finestrino grida con tono minaccioso: “ Per voi basta cagare un figlio sul marciapiede e subito volete la cittadinanza”
Giungendo a Via Cavour intravvede un locale affollato. Tanti giovani ai piedi di una scalinata che consumano le loro vivande, fumando sigarette e parlando dei tagli all’università. Leonardo decide di fermarsi. Parcheggia e sia avvia all’ingresso ma dopo pochi secondi la paranoia torna a farsi sentire: “Avrò chiuso la macchina? Con tutta quest’immondizia immigrata non si sa mai”. Entrando all’interno si siede su di uno sgabello. Ordina un drink. La musica rintrona e rende difficile la comunicazione, ma non per lui che è da solo e non intende parlare. “Due ali per volare dove sono le stelle, l’inferno che mi possa far salvare la pelle io non ce l’ho”. I pensieri ricominciano a farsi largo mentre l’alcool in circolo lo inebria. Dinanzi a lui due ragazze vestite di nero. I lunghi capelli raccolti come uno scialle sulle scapole. Le due giovani parlano di arte, pittura, atelier, esposizioni mentre una delle due di soppiatto lancia sguardi languidi a Leonardo che, vinto dall’imbarazzo, controlla le schedine del Totocalcio. Leonardo si lascia ammaliare dal loro fascino. Viene rapito da quel loro modo di fare. Quelle movenze misteriose e quell’ammiccare meccanico. Una sorta di elaborato rituale. Ma ciò che lo intriga di più è il fatto che le due ragazze, all’altezza degli occhi abbiamo disegnata una striscia colorata, che avvolge lo sguardo come un sudario. Prende fiato. Scola l’ultimo sorso e si avvicina:
- Ciao. Posso?
- Devi.
- Perché devo?
- E’ da più di mezz’ora che ci guardi. E’ vero?
- Si.
- E si può sapere il perché?
- Mi chiedevo il perché del vostro colore sugli occhi.
- Semplice. Il mio è rosa perché vedo il mondo tutto rosa.
- Infatti. Il mio è verde perché vedo il mondo tutto verde.
- Io il mondo lo vedo tutto nero.
Esce fuori e respira l’aria di questa notte assurda. Una notte di straordinaria follia. Una notte da uno, nessuno, centomila incontri. Una notte di un uomo solo, di due donne truccate, di un amore preso al discount e svenduto al mercato. Una notte di accattoni, emigranti, turisti, baristi e puttane. Già perché perdere tanto tempo dietro le donne. La radio in macchina intona: “Tanto la donna, anche quella più sincera, le corna prima o poi te le fa”.
Imbocca verso il Colosseo. Supera Piramide. Le terme di Caracalla si stagliano con le loro rovine al di sopra delle tre direzioni che si diramano lungo l’asfalto. Benvenuti a Roma. Benvenuti nella città eterna. Buona permanenza nella città dove anche la merda viene venduta a peso d’oro. Siete a Roma. In bocca al lupo. Le piazze, le fontane, i superbi monumenti, le rovine, i resti antichi, le mille opportunità non sono che lo specchietto per le allodole per i Pinocchio e i Lucifero moderni.
Sul ciglio della strada, i tacchi saldamente piantati sul marciapiede le puttane vendono amore. 10 minuti di felicità e poi merdosa realtà. Leonardo rallenta. Ce ne sono di tutti i tipi. Un campionario di rara umanità. Umanità ferita, violentata, stuprata, segretamente violata e pubblicamente annientata. Scorre i visi, le gambe, le bocche invitanti. Rumene, asiatiche, nigeriane, senegalesi, lolite, veterane, trans. Seduta al di là di una stazione di servizio, Leonardo scruta una ragazza dai capelli biondi. Viso da cerbiattino e corpo da capogiro. Leonardo si ferma proprio davanti a lei. Avrà si e no 16 anni. La sigaretta in mano come una compagna inseparabile. Il tempo di 7-8 boccate. Un piacere illusorio. Come la vita. Non c’è tempo per le riflessioni profonde. L’alcool è in circolo. Il membro eretto come il busto di una statua. “20 euro è sarà mia” pensa Leonardo accingendosi a pronunciare la fatidica frase:
-“Quanto vuoi”
- Con te no. Tu albanese” risponde secca la ragazza, con marcata inflessione dell’Est.
- “Ma quale albanese. Sono di Trapani”.
- “Ho detto no. Tu brutta faccia”.
- “Lo so ho le rughe. Sono tre giorni che non dormo. Il roditore gira tutta la notte, rode nella gabbia e a me se non sali rodono i coglioni”.
- “Va via”
- “Dai facciamo cinquanta”.
- “Non voglio”
- “Dai cinquanta a casa. Ti butto in branda e ti sposo”
- “Tu sposi me?Ma Vaffanculo”
- “Davvero. Mia madre sarebbe contenta. Mio padre ancora di più”.
Niente. Nun c’è trippa pe gatti dicono a Roma. Non c’è figa per i disperati recita la vita.
“Due mani con due altre da poter incrociare io non ce l’ho”…
La notte è ancora lunga. Aihmè. Leonardo riprende il suo tragitto. Abbandonata la Cristoforo Colombo imbocca la via di ritorno verso casa. 32 anni, 76 kg, 1200 euro di stipendio, 12 denti rimasti, un solo scudetto festeggiato e milioni di fallimenti. La luce al neon di un’ insegna lo cattura come il richiamo di una sirena. “Marilù – Club Privè”. Decide di entrare. Luci soffuse, arredamento di pessimo gusto, separè, priveè, divani in finta pelle. All’interno un vero e proprio affresco di personaggi picareschi. Trans, travestiti, lesbiche, froci, cuckold, mariti pronti a scambiare mogli, mogli pronte a scambiare mariti, gente pronta a scambiare la propria intimità pur di non annoiarsi. Mani intrecciate, corpi aggrovigliati, lingue come mulinelli. Leonardo si muove come un giaguaro ferito nel buio di quelle stanze. Il silenzio è religioso, rotto soltanto dai gridolini di piacere e dai gemiti. Tutti si scrutano, si palpano, si spingono, si cercano senza far rumore. E’ un cimitero di piacere e le tombe se ne stanno in attesa di godere. In fila, abbracciati, di traverso, avvinghiati. Il piacere ha tante forme, tante sfumature. Ma Leonardo è uno soltanto e se si trascina canticchiando un motivetto che stride con quell’atmosfera di assoluta compostezza acustica e in quel caos ormonale: “Tanti Auguri a chi tanti amanti ha”. Superato un piccolo corridoio, travestiti appollaiati sugli sgabelli, donne e uomini sbranati dalla loro stessa bramosia, Leonardo si infila in un cunicolo. “Tanti auguri a chi tanti amanti ha”.E’ buio. A tastoni procede in quel bunker di trasgressione. Le mani protese in avanti incontrano una porta. Il nostro esercita pressione su quell’ostruzione mentre all’interno i gemiti di piacere si fanno sempre più intensi, simili a dei singhiozzi.”Tanti auguri a chi tanti amanti ha”. Leonardo continua a spingere: un tonfo, il fracasso della porta che rovina a terra, le urla di piacere che si trasformano in urla di dolore. L’Amplesso di due amanti rovinato dal collasso di una porta e dalla follia di un uomo. Un uomo che nel giro di 4 minuti viene preso al bavero dai buttafuori e sbattuto per strada come un verme. “Scendi dal palco, il pubblico è già uscito, nun c’è rimasto manco un travestito”.
Decide di chiudere lì quella serata malsana. Tutto va storto. Le telefonate vanno storte, il rilascio della cittadinanza va storto, con le puttane va storto, con le donne non ne parliamo. Solo le porte cadono nel punto giusto. Ma questa è un’altra storia.
Appena rientrato a casa Leonardo prova a riparare con Ivonne. Compone il numero.
- Pronto?
- Ciao come stai?
- Leonardo tra noi è finita.
- Lo so ho sbagliato.
- Dimenticami. Non uscirò mai più con te”.
- Hai ragione. Stavo pensando anch’io di non uscire più con me stesso”.
Bè, è strepitoso. E’ di sicuro il più folle, paranoico, schizofrenico, esilarante personaggio che abbia mai calcato le strade della città eterna. Gradasso, bugiardo, puzzolente, lavativo, razzista, blasfemo, eppure calpestato e calunniato da tutti: è davvero strepitoso. Protagonista di gloriose rivincite, un essere che corre contro e più veloce di sé stesso, sempre arrapato, perennemente dilaniato dalle paranoie e dai sensi di colpa, autolesionista al limite del masochismo. Maniaco, solo contro tutti, incassatore di memorabili sconfitte
, ossessivo ed ossessionato, ad ogni passaggio sotto il cielo polveroso della città s’innalzano fiotti di dolore, pietà e commozione per le creature più sventurate di lui. Fanfarone, affetto da manie di grandezza, esibizionista: capace di spendere 250 euro in un ristorante per mangiare poi 50 grammi di tortellini solo per il gusto di spendere, consumare, avvilire. Sfortunato amante senza mai essere ricambiato.
Nell’incessante susseguirsi di sogni di riscatto e grandezza, il suo è uno inno solenne alla piccolezza.
.Ora silenzio. E’ tempo di dormire. Albeggia. Sono stanco e domani devo cercare il basco….. “Già stanotte che se fa..io nun c’ho voja de enventamme niente dormirei solamente…a me de perde tempo co la gente nun me frega più niente....

 
 
 

RASTAMAN VIBRATION FOOTBALL CLUB

Post n°5 pubblicato il 06 Gennaio 2010 da Pi_Lucie
 

Bob Marley

BOB MARLEY ED IL CALCIO: AMORE A RITMO DI REGGAE

Da Trenchtown al successo planetario: l'ascesa folgorante di Bob Marley and Wailers. Il re del reggae che amava il calcio. Una passione trasformatasi in drammatica fatalità. Leggenda vuole che....

In principio fu Robert Nesta Marley. Poi vennero i "Wailers" e da lì iniziò la folgorante ascesa della più grande star del Terzo Mondo. Il profeta del reggae. Colui che ha sdoganato la musica giamaicana nel Vecchio Continente. Dalle polveri di Trenchtown tra miseria e violenza, al successo planetario. Il rastafarianesimo, la lotta all'oppressione, la libertà e l'uguaglianza, il misticismo, la ganja, la sfida alle corruzioni di Babilonia e la malattia. Tanti gli aspetti che costellano l'universo Marley, all'interno del quale è possibile rinvenire aneddoti e curiosità di sicuro interesse. Bob Marley amava il calcio. Stroncato dal cancro l'11 Maggio 1981: leggenda vuole che, la terribile malattia fosse stata causata da un incidente di gioco. Successivamente, il tumore all'alluce del piede si sarebbe esteso al cervello, ai polmoni ed allo stomaco, scarnificandone il corpo fino al tragico epilogo (Miami). L'alluce andava amputato per estirpare il male, ma la filosofia rastafariana non contempla il ricorso alla chirurgia. Risultato?La malattia lo dilaniò nel giro di qualche anno. La partita del letale infortunio fu disputata a Parigi il 9 maggio del 1977. Da una parte una formazione chiamata "Polimuscolari", tra le cui fila in passato militava anche l'attore Jean Paul Belmondo. Dall'altra una squadra tutto estro e fantasia, il cui zoccolo duro era costituito dai componenti dei Wailers ed alcuni cronisti francesi. Philippe Paringaux, uno dei giornalisti presenti alla storica sfida ha dichiarato sulle colonne del quotidiano francese "Liberatiòn": "Marley giocava sulla fascia sinistra e passava sotto il naso del suo avversario come fa il topo con il gatto. Bob s'infortunò dopo un quarto d'ora. Uscì e rientrò in albergo per farsi medicare. Tornò quando la partita era ali sgoccioli ed i Wailers vincevano 5-0". Deadlocks raccolti in un copricapo, andatura compasata, libertà di movimento e nessun ruolo preciso da ricoprire. Il piccolo Bob si affidava all'estro. Esattamente come nella vita e nella musica. Fantasia e creatività al potere. La sua concezione è racchiusa in poche righe. Uno stralcio della sua passione per il pallone: "Se non fossi diventato un cantante sarei stato un calciatore..o un rivoluzionario. Il calcio significa libertà, creatività, significa dare libero corso alla propria ispirazione". Sono tante le immagini, i video ed i reperti multimediali d'annata che immortalano il profeta del reggae alle prese con una sfera di cuoio. La fotografa americana Kate Simon ebbe l'onore di accompagnare Marley e la sua band per un reportage fotografico durante la loro tournèe in Europa: "Quando Bob era on the road approfittava di ogni momento libero per giocare a calcio. Credo amasse il calcio quanto amava la musica". Una volta in Brasile riuscì addirittura ad organizzare una partita con il mitico Santos, fucina di talenti dalla quale fiorì il genio di Pelè. Muore a Miami all'età di 36 anni. Lascia 13 figli, un numero imprecisato di mogli e compagne ed una pesante eredità economica, musicale e culturale. La salma viene restituita alla sua Giamaica. Viene seppellito in una cappella non lontana dal luogo di nascita. I compagni dell'ultimo viaggio? Una Gibson, una Bibbia, una piantina di marijuana, un anello regalatogli dal principe etiope e naturalmente un pallone. Curiosità: un pallone campeggia anche all'ingresso della casa-museo eretta in suo onore in quel di Kingston. Il piccolo Bob Marley, l'eternità della sua musica e la passione sfrenata per il calcio:Is this love. 

Bob e la passione per il calcio

 
 
 

AMARCORD - Gigi Meroni

Post n°1 pubblicato il 06 Gennaio 2010 da Pi_Lucie
 

LA LEGGENDA DELLA FARFALLA GRANATA
DRIBBLING E PENNELLATE D'AUTORE

Gigi l'artista

Ala destra funambolica e personaggio stravagante: Gigi Meroni è stato il simbolo di un’epoca. L’icona di un certo modo di pensare il calcio: una passione che brucia e incendia la fantasia.
Dagli esordi nei campetti comaschi all’ascesa nella Serie A con Genoa e Torino. Dribbling ubriacanti, talento pittorico, diatribe con la stampa, l’amore per Cristiana e un amore mai sbocciato con la maglia azzurra.
Fino al tragico epilogo.
E quella volta che passeggiò con una gallina al guinzaglio...

Ci sono uomini che passano come meteore nel cielo della vita. Altri disegnano onde fantastiche e spumeggianti nell’oceano dell’esistenza. Un moto perpetuo e continuo fatto di storie, passioni, racconti e sudore. Con il calare del vento queste onde perdono d’intensità, ma gli uomini che le sospingono finiscono per riposare sulle spiagge della leggenda. E sul litorale del Mito.
Uomini che segnano il proprio tempo. Che appartengono però, al presente e al futuro. Immagini, istantanee e cammei fissati nell’eterno rullino della memoria. Personaggi e vite che sono allo stesso tempo linfa, cibo ed esempio per le generazioni in divenire.
Correnti marine che attraversano il mare della vita, rifuggendo dalle risacche dell’oblio e della dimenticanza.
Sui fondali si posa il ricordo. Vivo, vibrante, appassionante. Come quello di Gigi Meroni, la "farfalla granata" alla quale un tragico destino spezzò le ali. Il dribbling stretto, le finte ubriacanti, i gol impossibili e l’epopea granata ne hanno fatto un talento calcistico deluxe. La maglia numero 7, l’estro pittorico e il personalissimo modo di concepire il calcio e la vita, un interprete magico ed originale di un’epoca di cambiamenti e rivoluzioni.

GLI ESORDI

Luigi Meroni nasce a Como il 24 Febbraio 1943. Le prime partitelle nel cortile vicino casa, assieme agli amici ed al fratello Celestino, con i portoni d’ingresso adibiti a porte: 5 contro 5, tra calcioni e sogni di gloria. Il beatle italiano muove i primi passi con la maglia della Libertas, nel campetto dell’oratorio di S.Bartolomeo, quello che veniva chiamato dai ragazzi "l’Università del calcio". Un misto di terra battuta e sabbia, poi rifinito in manto sintetico e delimitato da un muretto con il quale ci si poteva aiutare per completare l’uno-due. Finita la partita, il futuro campione si ferma a parlare e scherzare con gli amici. Già all’epoca s’intravede il talento di Gigi: sgusciante, esile, ficcante. Oggi sui muri del campetto, il ricordo di Meroni è vivo, come testimoniato da un murales a lui dedicato, con il campione ritratto "in compagnia" della famigerata gallina.
Gigi alterna al rettangolo verde i lavori come apprendista disegnatore tessile. Passione questa, che lo porterà a disegnare i propri abiti poi commissionati a sarti di professione. L’Inter, squadra per cui Meroni tifa, fa un sondaggio per lui, corredato da un provino che lascia impressioni positive tra gli osservatori nerazzurri, ma la madre Rosa si oppone al trasferimento e così Gigi Meroni passa al Como.

LA CARRIERA

Dopo due anni con la casacca lariana, nell’estate del ’62 Meroni conosce la massima serie ed approda al Genoa. All’ombra della lanterna rimane per due stagioni, collezionando 40 presenze e segnando 6 reti.
Il primo gol con la maglia del Grifone arriva in Coppa Italia, contro l’Udinese, il 10 Settembre 1962, mentre la prima segnatura in Serie A è datata 5 Maggio 1963 (Genoa-L.Vicenza).

GOAL A S. SIRO

L’EPOPEA GRANATA

La consacrazione definitiva arriva nel 1964 con il passaggio al Torino.
Versando la cifra esorbitante (per il mercato di allora) di 300 milioni nelle casse del club genoano, il patron Pianelli si assicura le prestazioni di quello che poi sarebbe divenuto uno dei simboli della storia granata. Con la squadra allenata da Nereo Rocco, la "farfalla granata" inanella 103 presenze sostanziate da 24 reti. Memorabile il gol con cui infrange l’imbattibilità casalinga della Grande Inter di H.Herrera: un pallonetto di rara bellezza che non lascia scampo a Sarti (12 Marzo 1967). Con il ruvido "paron" Rocco, ottenne anche un terzo posto, miglior piazzamento dai tempi di Superga e una semifinale di Coppa delle Coppe. Clamorosa fu l’offerta dell’allora presidente della Juventus, Giovanni Agnelli, che provocò una vera e propria rivolta da parte dei tifosi granata: i giornalisti lo ribattezzarono "Mister mezzo miliardo".

GIGI E LA NAZIONALE

Quello di Meroni con la Nazionale è un rapporto travagliato. L’ala destra partecipa alla spedizione azzurra durante i disastrosi mondiali del 66’ in Inghilterra, culminati con la sconfitta ad opera della Corea del Nord (1-0) ed il contestato ritorno in patria. Con Edmondo Fabbri, tecnico della selezione azzurra, non trova mai la giusta alchimia. La stampa condanna i suoi eccessi, l’opinione pubblica lo apostrofa pesantemente. In soldoni: Meroni diviene il capro espiatorio del fallimento azzurro in Inghilterra. Per lui 6 presenze con la maglia azzurra e 2 reti, contro Bulgaria e Argentina.

TRA ANTICONFORMISMO REPRIMENDE E CURIOSITÀ

Geniale, anarchico, ribelle, capellone, beat, anticonformista, pittore, calciatore-artista. Difficile racchiudere la figura di Gigi Meroni nel ristretto recinto delle etichette.
Un personaggio eclettico, originale, multiforme, a tutto tondo.
Dotato di estro pittorico, si fa apprezzare anche per le sue opere e non solo per i dribbling e le giocate di fino, al punto di guadagnarsi persino la stima ed i complimenti di Renato Guttuso.
Il talento calcistico e quello pittorico si fondono, al punto che, qualcuno ha descritto le sue giocate come un prolungamento della sua arte e delle sue pennellate su tela.
Recentemente a S.Pietro in Casale (BO) è stata allestita una mostra con i quadri del calciatore granata.
Meroni ama i Beatles e Luigi Tenco, legge libri, scrive poesie e dipinge. Il tutto nella "mansarda di Piazza Vittorio", da lui preferita all’appartamento borghese messo a disposizione dalla società granata. Qui, in compagnia della sua Cristiana, può dar sfogo alla sua verve artistica.
Calzettoni abbassati, capelli lunghi e barba incolta, l’aria scanzonata e la faccia da artista: Meroni è scomodo all’Italia bacchettona e perbenista dell’epoca.
La sua esuberanza, abbinata ad una certa stravaganza, ha fatto il giro delle cronache e delle biografie, contribuendo alla costruzione di un personaggio che sa far parlare di sè.
Tante sono le curiosità in merito alla figura di Meroni.
Famigerata è la storia della gallina portata al guinzaglio per il centro di Como, un modo per creare scalpore e farsi beffa dei benpensanti. Un vezzo, una provocazione, degna di Oscar Wilde, poeta, scrittore e drammaturgo irlandese che amava sfidare società e morale con stravaganze e paradossi.
Acquista una vecchia Balilla da un contadino che l’aveva adibita a pollaio. Sistema gli interni e vi posiziona all’interno una bajour. Suole dire a proposito della sua auto: "la mia rolls-royce".
Questo suo essere lontano dagli stilemi e dalle convenzioni, in una società come quella italiana, provinciale e bigotta, gli provoca non poche frizioni con la stampa e di riflesso con l’opinione pubblica. Il mondo del calcio, chiuso e conservatore per antonomasia, non può accettare gli eccessi e le stravaganze di Gigi. Risultato? La stampa si accanisce contro di lui, apostrofandolo come "vagabondo", "lo zingaro", "hidalgo".

UNA ROSA ROSSA PER CRISTIANA

Bruciante, romantica, appassionante è la storia d’amore con Cristiana Uderstadt, la ragazza italo-polacca del luna park. Ogni giorno Gigi, le porta una rosa rossa al tiro a segno del Luna Park di Genova. La loro storia suscita scalpore dato che, Cristiana è già sposata, anche se l’amore per Gigi la porta pochi giorni dopo il matrimonio a raggiungerlo per convivere con lui nella "mansarda di Piazza Vittorio", con vista sul Po. Terminato l’allenamento, Gigi torna di fretta a casa, da lei, dove consuma l’altra passione della sua vita: la pittura.

IL TRAGICO EPILOGO: UN DRIBBLING TRA LE NUVOLE

Il destino gli gioca un brutto tiro. Muore tragicamente il 15 Ottobre 1967. Al termine della vittoriosa partita con la Sampdoria (4-2), Meroni, in compagnia dell’amico e compagno di squadra Fabrizio Poletti, attraversa Corso Re Umberto quando viene investito da un Fiat 124 coupè blu guidata da un giovane tifoso granata: Attilio Romero, poi divenuto presidente del Torino. Muore la sera stessa per i gravi traumi riportati. Nel punto in cui avvenne il tragico incidente, è stato eretto un monumento al giocatore.
I tifosi ancora vi oggi portano fiori a quella che fu la loro bandiera.
Una settimana dopo, in occasione del derby della Mole, il Torino liquidò con un perentorio 4-0 la Juventus, grazie ad una tripletta dell’amico Combin, arrotondata da Carelli, che quel giorno indossava la maglia numero 7 che fu di Gigi. In molti hanno sostenuto che la paternità di quel gol fosse di Meroni. Una considerazione romantica e poco realistica, ma è bello crederci, crogiolandosi nell’immagine di Meroni intento a dribblare le nuvole, nell’azzurro prato del cielo.

Corso Umberto - Torino 

 

 
 
 

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