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Creato da: renatodandria3 il 29/08/2011
Articoli sulla rubrica di Genesi Journal di Curci e Renato d'Andria

 

 

Oggi sono le intelligenze del Sud a guidare lo sviluppo del Nord. Ma occorre invertire la tendenza migratoria.

Post n°22 pubblicato il 02 Novembre 2011 da renatodandria3
 

Oggi sono le intelligenze del Sud a guidare lo sviluppo del Nord. Ma occorre invertire la tendenza migratoria.

Il ministro dell’Economia Giulio Tremonti ha recentemente dichiarato che il Sud penalizza lo sviluppo del Paese. Un concetto innegabile, ma che richiede spiegazioni ed approfondimenti diversi da quelli finora tracciati sui media.
La verità è che dal dopoguerra in poi al Sud ci si trova in una situazione assurda, con un territorio ricchissimo di opportunità, ma grosse carenze di managerialità. Questo fenomeno comporta poi, a sua volta, pesanti ricadute e spiega il mancato sviluppo del Sud, perché nel Mezzogiorno manca una vera classe dirigente, dal punto di vista manageriale ed imprenditoriale.
Il risultato? Da decenni le migliori energie del Sud emigrano al Nord. Dando vita così ad una situazione doppiamente assurda: i manager del Sud fanno più ricco il Nord, che a sua volta continua a depauperare il Sud.
E’ un circolo vizioso, che trova le sue radici nella persistenza di classi politiche inadeguate al Sud, oltre alle carenze culturali di base e della scuola nel suo insieme. Se facessimo un censimento dei manager e delle migliori risorse umane del Paese, troveremmo che circa il 70 per cento dei quadri dirigenziali, in Italia, provengono dal Sud.
Ma emigrano, vanno a Bologna o a Milano per esprimere i loro talenti perché al Sud la classe politica non consente uno sviluppo sociale e produttivo tale da inserire e formare la nuova classe dirigente. Non si tratta ovviamente di una fuga di massa, ma di un processo silente, che va avanti in maniera costante da decenni ed è alimentato dal perpetuarsi delle logiche clientelari o affaristiche che frenano lo sviluppo.
Qualche isola felice c’è, per esempio in Basilicata, ma quella regione deve dire grazie al suo sottosuolo, in cui si sfruttano risorse petrolifere, ed anche alla lungimiranza di politiche energetiche alternative come quelle sull’eolico. Tuttavia si tratta pur sempre di isole, di fenomeni che non si connettono e non promuovono, quindi, una crescita complessiva del Sud.
Bisogna perciò cominciare seriamente a trattenere nel meridione le menti migliori, perché possano dare frutto nelle loro terre di origine. Ed è per questo che i due problemi - rigurgiti razzisti e mancato sviluppo del Sud - trovano origini comuni in un apparato formativo che non decolla e nelle politiche clientelari che bloccano ogni sviluppo presente e futuro. I vecchi politicanti del Sud non vogliono essere disturbati nelle loro ataviche logiche affaristiche. E questo è il risultato.


Renato d’Andria

(articolo tratto da www.labarbarie.it di Renato d'Andria)

 
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GAETANO SALVEMINI. ANCORA UN RIFERIMENTO (Renato d'Andria)

Post n°21 pubblicato il 26 Settembre 2011 da renatodandria3
 

Fra i volumi di maggior rilevanza sull’opera e sul pensiero di Salvemini segnaliamo:
“Gaetano Salvemini (1873-1957). Ancora un riferimento”, a cura di Guido Pescosolido, direttore dei programmi culturali della Associazione Nazionale per gli interessi del Mezzogiorno d’Italia.
Pubblicato nel 2010 da Pietro Lacaita Editore nella Collana “Collezione di studi meridionali”, il volume raccoglie gli atti del convegno di studi tenutosi a Roma l’11 e il 12 dicembre 2007 in collaborazione con la Fondazione “Ernesto Rossi e Gaetano Salvemini”.
Riportiamo l’indice del volume, che mostra la vastità e la qualità dei contributi scientifici offerti da questa pubblicazione. (Renato d'Andria)
Presentazione dell’Archivio Salvemini (Luigi Pepe); Alcune note sulla corrispondenza contenuta nel Fondo Salvemini (Andrea Becherucci); Salvemini e il federalismo (Carlo G. Lacaita); Salvemini e il Mezzogiorno: la militanza socialista (Santi Fedele); Stato e Chiese in Italia nel pensiero e nell’azione di Gaetano Salvemini (Sergio Laricca); Salvemini e i problemi della scuola e dell’università (Sandro Rogari); Il riformismo politico di Gaetano Salvemini durante l’età giolittiana (Donatella Cherubini); Salvemini e Giolitti (Sergio Bucchi); Salvemini e Mussolini (Mimmo Franzinelli); Gaetano Salvemini e Carlo Rosselli. Terrorismo, cospirazione antifascista e terrore di Stato: opinioni a confronto (Elisa Signori); Salvemini e Sturzo (Giovanni Grasso); Salvemini in America (Spencer Di Scala); Salvemini e la sinistra in Italia (Alberto Benzoni); Salvemini e “Il Mondo” di Mario Pannunzio (Massimo Teodori); La promozione della democrazia dal basso: una testimonianza (Giuseppe De Rita). (Renato d'Andria)

 
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FIRMO, VOTO, SCELGO. (Renato d'Andria)

Post n°20 pubblicato il 26 Settembre 2011 da renatodandria3
 

Firmo, voto, scelgo. Liberi di scegliere i propri rappresentanti. Come? Attraverso il referendum, l’arma popolare per dire a chiare lettere al Governo che la distanza è ormai colma. Che i cittadini hanno e rivogliono il diritto di scelta sui candidati. Per la democrazia, per la ripresa del senso civico, per il recupero dei valori, se non morali almeno politici.

Oggi i parlamentari italiani sono nominati dai segretari di partito. Non rispondono ai cittadini né hanno l’obbligo di “sudarsi” la campagna elettorale conquistando sul territorio la fiducia delle persone. Pertanto restano fedeli a chi li ha candidati. (Renato d'Andria)

L’attuale legge elettorale, il Porcellum, che deve il nome ad un commento del suo autore, genera attraverso un sistema di liste bloccate, il premio di maggioranza, le deroghe alla soglia di sbarramento e l’obbligo di indicazione del candidato premier, il perpetuarsi di una casta con ruoli ben definiti. Dal capo all’usciere. Dal ministro al consigliere. E muta il paradigma sociologico dell’ american dream nella possibilità concreta data ad un novello della politica di diventare deputato, deputato europeo, consigliere regionale, ministro.

Ecco il meccanismo.

Liste bloccate. Gli elettori oggi votano per liste di candidati decisi dai partiti, mentre nelle elezioni europee, regionali e comunali esiste la possibilità di dare delle preferenze. Un Parlamento, dunque, di “nominati”, obbedienti alla propria coalizione, o a chi li ha messi in lista, e lontani dagli elettori. (Renato d'Andria)

Il premio di maggioranza. Per entrambi i rami del Parlamento, alla lista che ottiene un voto più delle altre, si applica un sistema maggioritario di coalizione, con successivo riparto proporzionale dei seggi fra le liste che partecipano alla competizione. Mentre in Parlamento la lista che ha vinto si vede attribuire il 55% dei seggi (anche se ha il 35% dei voti), al Senato si procede alla divisione dei seggi spettanti alla regione, applicando il proporzionale dei quozienti interi e dei resti più alti. Se con questa operazione nessuna coalizione o lista raggiunge la quota di maggioranza corrispondente al 55% dei seggi della regione, questa cifra viene automaticamente assegnata alla coalizione o lista singola con il maggior numero di voti. Il rimanente 45% dei seggi è suddiviso tra le altre coalizioni e liste singole. Questa possibilità fa si che anche i partiti maggiori vadano alla ricerca di qualsiasi voto utile. La conseguenza sono coalizioni sempre più ampie ed eterogenee. Ciò una ancor più vasta frammentazione della maggioranza di governo e paralisi della sua attività. (Renato d'Andria)

Soglia di sbarramento. Per avere seggi alla Camera, ogni coalizione deve raggiungere almeno il 10% dei voti nazionali, mentre per le liste non collegate la soglia minima viene ridotta al 4%. Al Senato le soglie di sbarramento (da superare a livello regionale) sono pari al 20% per le coalizioni, 3% per le liste coalizzate, 8% per le liste non coalizzate e per le liste che si sono presentate in coalizioni che non abbiano conseguito il 20%. Anche tale distinzione genera una ulteriore frammentazione delle forze presenti in Parlamento.

Indicazione del candidato premier. Grazie alle obiezioni del Quirinale (la designazione del premier è riservata al Capo dello Stato) è stata introdotta una norma che prevede l’indicazione del «capo della forza politica» pur «restando ferme le prerogative del Presidente della Repubblica previste dall’articolo 92». (Renato d'Andria)

La proposta del Comitato.
Il primo quesito, individuato dal colore blu, propone l’abrogazione integrale di tutte le disposizioni di modifica della disciplina elettorale per la Camera e per il Senato introdotte dalla legge n. 270 del 2005. In questo modo, il quesito dà forma a una proposta che, nel 2007, era stata avanzata per primo dall’on. Pierluigi Castagnetti, della quale si era discusso in un Seminario organizzato dall’Associazione politico‐culturale “Astrid”, diretta da Franco Bassanini.
Il secondo quesito, individuato dal coloro rosso, è di tipo “parziale”, perché abroga non l’intera “legge Calderoli” ma solo le disposizioni che sostituiscono le due leggi approvate il 4 agosto 1993, rispettivamente n. 277 (“Nuove norme per l’elezione della Camera dei deputati”) e n. 276 (Norme per l’elezione del Senato della Repubblica).

Il comitato è consapevole che “Il referendum abrogativo è per sua natura uno strumento imperfetto, ma spesso è necessario per superare la paralisi dei partiti ed aprire la via a decisioni del Parlamento, che resta ovviamente libero di integrare o modificare l’assetto risultante dal referendum (sui collegi uninominali, sul voto di preferenza, etc.)”.

Ma, poiché il Parlamento non ha saputo riformare la legge elettorale, né è presumibile che riesca a farlo ora, il Comitato promotore ha deciso di depositare i quesiti in Cassazione dando concreto inizio all’iter referendario. Lo sfaldamento del centrodestra offre l’opportunità. Se si dovessero raccogliere abbastanza firme, si tornerebbe alla legge elettorale precedente: il Mattarellum, come denominata Giovanni Sartori. (Renato d'Andria)

Presso gli uffici comunali sono depositati i moduli per la raccolta firme per  quesiti referendari:
Richiesta di 2 referendum di cui all’articolo 75 della Costituzione,
- “Abrogazione totale della legge elettorale proporzionale con liste bloccate per il ripristino dei collegi uninominali”  (Gazzetta Ufficiale n.160 del 12/07/2011)
- “Abrogazione parziale della legge elettorale proporzionale con liste bloccate per il ripristino dei collegi uninominali”  (Gazzetta Ufficiale n.160 del 12/07/2011)
La raccolta firme per i referendum sulla legge elettorale è ora possibile solo presso i banchetti allestiti dal Comitato e c’è tempo fino a fine settembre. (Renato d'Andria)

 
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ESPERTI AL CONFRONTO PER UN PROCESSO DI PACIFICAZIONE NAZIONALE (Renato d'Andria)

Post n°19 pubblicato il 26 Settembre 2011 da renatodandria3
 

Si è svolto oggi, mercoledì 21 settembre 2011, il convegno nazionale, promosso dalla Fondazione Gaetano Salvemini, dal titolo “Dalla Pax Togliattiana alla Pax Berlusconiana”.

Nella Sala Capranichetta dell’Hotel Nazionale in Roma, dall’acuta e realistica introduzione del presidente della Fondazione Renato D’Andria e dall’abile ed agile moderazione del direttore de Il Tempo, Mario Sechi, si apre la stagione politica autunnale, attraverso un confronto aperto fra parlamentari, giuristi e giornalisti, sulla condizione non solo politica in cui l’Italia versa da tempo. (Renato d'Andria)

Una manifestazione dal senso particolare, promossa dall’interesse a far sì che molte menti e molte persone che hanno a cuore le sorti dell’Italia e, in particolare, del Mezzogiorno, negli ultimi anni molto trascurato, possano unirsi per realizzare iniziative volte al bene del Paese” è questo l’incipit del presidente Renato D’Andria che riconosce all’Italia una condizione di autentica guerra fra gruppi di potere contrapposti. Una guerra che ha minato le sorti economiche e sociali del Paese negli ultimi vent’anni “in cui le lobby giocano dietro le quinte a discapito degli italiani, e noi ci teniamo a che questo non avvenga” trovando “una strada per una pacificazione nazionale che già ha avuto in passato delle opportunità che si sono verificate anche in anni lontani, non ultima quella togliattiana. Il popolo non può sopportare situazioni abnormi, le lobby non possono giocare sulla vita degli italiani, bisogna trovare velocemente una soluzione democratica, giusta, eguale e fare in modo che tutto venga a riportarsi nel suo alveo”. Non a “salvacondotti” o “exit strategy”, dunque, ma riferimento a modelli storici epocali, come la Pax Augustea e la Pax Togliattiana. (Renato d'Andria)

La figura di Gaetano Salvemini resta ben impressa nelle menti dei presenti con le parole di Elio Veltri (Democrazia e Legalità) che, nel discorrere sulle qualità dell’economista nonché grande politico italiano, ricorda alla platea la celebre citazione “Noi non possiamo essere imparziali. Possiamo essere soltanto intellettualmente onesti: cioè renderci conto delle nostre passioni, tenerci in guardia contro di esse e mettere in guardia i nostri lettori contro i pericoli della nostra parzialità. L’imparzialità è un sogno, la probità è un dovere”.

Dall’idea di una politica proba e intellettualmente onesta, secondo cui “l’ umiltà è la via maestra per la tolleranza e la libertà” lanciata da Veltri, si sono susseguite notevoli riflessioni sulla condizione del Paese, da cui è scaturito un fervente dibattito sui valori e sulle dinamiche della politica odierna. (Renato d'Andria)

Sostanziale conferma alla diagnosi del presidente D’Andria arriva dalle parole del costituzionalista Michele Ainis (Università Roma Tre), che descrive l’Italia come un “paese disunito, frastagliato, in una guerra civile silenziosa”. Per due ragioni, perché “questo Paese è frastagliato in lobby, corporazioni, caste che sono l’una contro l’altra” e perché “si è aperta una frattura tra la società politica e la società civile”, dovute soprattutto al potere delle corporazioni, l’immobilità sociale, principalmente intergenerazionale in cui “i parenti sono più importanti dei talenti”, una scarsa libertà economica e un indice di competitività basso. Una crisi che non è solo etica e di legalità ma anche di eguaglianza e di efficienza. Quale la cura? Un meccanismo che possa rendere vincolante una qualche rotazione delle cariche, non solo politiche, ma anche dirigenziali e che coniughi all’esercizio del potere la responsabilità del rendere conto del proprio operato. (Renato d'Andria)

Secondo Oliviero Beha (Rai) ci troviamo nelle condizioni di una “pace incivile”, di “democrazia sfatta che si chiama ancora democrazia”, inoltre, “la rievocazione della pax togliattiana ha una sua dimensione spazio temporale che non può essere riproposta oggi, poiché le ragioni del suo essere sono polverizzate in questa organizzazione sociale”.

Per Filippo Facci (Libero)  il problema reale è che non succede nulla di concreto per l’abbattimento della attuale condizione politica da parte della società civile. “Il naufragio della politica odierno è avvenuto in totale assenza di tensione, la pace incivile è pericolosa perché si traduce da una parte nella disaffezione e nella narcotizzazione della società civile, dall’altra nella esistenza di una politica che non è politica, da far sparire”. Tale condizione genera effetti a medio lungo termine di cui ora non abbiamo sentore, ma che saranno dannosi per la nazione. (Renato d'Andria)

Il punto di vista del senatore  Elio Lannutti (Idv) si esprime in una esigenza di recupero degli ideali e delle condizioni che riportino i rappresentanti politici al loro compito originario, il mettersi a servizio del popolo. “Il politico non deve avere i paraocchi, deve avere una visione, che non c’è più. Altrimenti saremo sempre sotto ricatto delle oligarchie che dal 7 luglio 2007 hanno distrutto 40 milioni di posti di lavoro, ci vuole un nuovo coraggio al di là di destra, sinistra o centro. Solo così avremo una speranza per i nostri giovani”.

Sergio D’Elia (Nessuno Tocchi Caino), invece, parla di “un regime che dura da 60 anni. Berlusconi non è altro che un prodotto dei due trentenni precedenti” pertanto “va voltata pagina” rispetto ad un passato. Va risolta, poi, necessariamente, la questione della giustizia. Una questione istituzionale e sociale. “Il nostro Paese viene condannato mille volte dalla giustizia europea per come si comporta nei tribunali e nelle carceri. Il Consiglio d’Europa considera il nostro Paese, per la non amministrazione della giustizia, come un Paese non libero. La proposta di amnistia di Pannella è un atto di buon governo per tentare di ripristinare le regole democratiche del nostro paese”. (Renato d'Andria)

Roberto Giovannini (La Stampa) denuncia la mancanza di consapevolezza delle condizioni reali del Paese. “Non ci si rende conto di qual è la realtà, sul fronte del lavoro, sul fronte dell’economia, non si parla della condizione delle persone. Avete fatto caso che ogni giorno apre un “Pronto Oro”, che si comprano meno pacchetti di sigarette e più di tabacco? Secondo Confcommercio negli ultimi 40 anni la spesa di consumo è raddoppiata fino al 42%, la quota di consumi liberi diminuita dal 77% al 60%. Un giovane su tre non ha lavoro e forse non lo troverà. Milioni di persone non hanno un futuro programmabile. Il Ministro Sacconi ha detto che se non sei sicuro di poter licenziare, non puoi assumere. Viene meno la vaga speranza di trovare qualcosa che vada oltre i tre mesi”. A tale condizione, il giornalista propone una pacificazione economica che dia stabilità, reddito, consumi, vita migliore. (Renato d'Andria)

Giuseppe Fortunato (Autorità Garante per la Privacy), nell’operare una sintesi delle varie posizioni degli intervenuti al dibattito, richiama l’attenzione sull’importanza della politica in quanto cosa bella. “Stiamo affrontando una grande questione politica. Il nodo di fondo è che è andato crescendo e sviluppandosi un modello di rapporti che potremmo definire capo-partitocrazia. Una polemica vecchissima. Abbiamo costruito un sistema in cui anche i partiti si sono svuotati. Viviamo in un clima in cui ci sono gli assedianti e gli assediati”. L’elettore non è più soddisfatto e si è rotto il rapporto tra cittadino, classe politica ed istituzioni. “La domanda impegnativa su cui dobbiamo concentrare l’attenzione è la via d’uscita. Con un approccio vincente che non sia sfiduciato, speranzoso o appellante. La soluzione non può essere relegata alla transazione con la classe politica. È necessario che ci sia un interventismo pacifico, la società deve esprimersi. Non è il momento di affrontare soltanto le piccole emergenze, ma il momento che i cittadini tutti uniti dicano le stesse cose che la classe politica dice, mette nei programmi ma ancora ha da realizzare”. (Renato d'Andria)

Il Vice Presidente alla Camera Rocco Buttiglione (Udc) chiude la giornata di lavoro con degli interrogativi sulla questione democraticaPerché i partiti italiani sono senza democrazia? Perché in Italia i canali della comunicazione politica sono intasati? La costituzione italiana prevede che i partiti devono essere democratici e che lo Stato può fare una legge per garantire la democrazia interna dei partiti. Però non l’abbiamo fatta perché in Italia ci sarebbe stata una guerra civile”. Secondo l’ Onorevole è venuta meno la questione ideale: “la politica è corrotta ma anche la società non sta molto meglio. Quanta gene vota perché gli è stato fatto un favore. Si è corrotto anche il corpo elettorale. Bisogna ricostruire. La politica è responsabilità, perché si decide della vita degli altri”. (Renato d'Andria)

Si conclude con un lungo dibattito con la platea questo primo passo verso la ricostruzione di un dialogo costante con la società civile, dove il movimento, il dialogo con il popolo potranno alimentare la partecipazione e il cammino verso una società italiana  ricca, collegata, in una parola, migliore.

 
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ARRIVA L'ATTESO APPUNTAMENTO DEL 21 SETTEMBRE (Renato d'Andria)

Post n°18 pubblicato il 19 Settembre 2011 da renatodandria3
 


Prefazione:

Dalla Pax Togliattiana alla Pax Berlusconiana confronto a più voci

Roma, Hotel Nazionale, Sala Capranichetta Mercoledì 21 settembre ore 10.00

Articolo:

Si avvicina uno fra gli eventi più attesi di questo inizio della stagione politica autunnale. Mercoledì prossimo, 21 settembre, piazza di Monte Citorio a Roma ospita il confronto aperto fra parlamentari, giuristi e giornalisti destinato a porre sul tappeto ed esaminare, dai tre diversi punti di vista, le reali possibilità esistenti e le strade da percorrere per giungere ad un processo di pacificazione nazionale dai contorni epocali.
“Dalla Pax Togliattiana alla Pax Berlusconiana”: questo il titolo scelto per il convegno, aperto al pubblico ed organizzato dalla Fondazione Gaetano Salvemini, che opera per promuovere i processi di libertà, pace e sviluppo fra i popoli nell’area vasta del Mediterraneo. (Renato d'Andria)
Pensato ai primi del luglio scorso, con una situazione politica nazionale già surriscaldata dalle cronache politiche e giudiziarie di inizio estate, il tema dell’appuntamento del 21 settembre si è andato facendo via via sempre più urgente ed attuale, fino ad essere quasi divenuto un imprescindibile momento di riflessione comune, nel clima arroventato delle ultime ore.
Moderati dal direttore del Tempo, Mario Sechi, ed introdotti dal presidente della Fondazione Gaetano Salvemini, Renato d’Andria, si confronteranno su questo tema, in tre tempi successivi:

I GIURISTI Michele Ainis (Università Roma 3), Giuseppe Fortunato (Autorità Garante per la Privacy), Alessandro Sammarco (penalista) I POLITICI Rocco Buttiglione (Udc), Nicola Latorre (Pd), Elio Lannutti (Idv), Gianni De Michelis (Ipalmo), Maurizio Paniz (Pdl) I GIORNALISTI Oliviero Beha (Rai), Filippo Facci (Libero), Roberto Giovannini (La Stampa).
Il convegno sarà aperto da una relazione di Elio Veltri sulla stringente attualità del messaggio di Gaetano Salvemini. (Renato d'Andria)
L’ipotesi di coniugare la possibile “Pax Berlusconiana” con la proposta di amnistia avanzata dai Radicali sarà illustrata da Sergio D’Elia, fondatore di Nessuno Tocchi Caino.


Il convegno Dalla Pax Togliattiana alla Pax Berlusconiana intende rappresentare un confronto a più voci fra parlamentari delle diverse aree politiche, studiosi e giornalisti delle principali testate italiane, per discutere sulle possibilità reali di rilanciare l’economia del Paese in uno fra i momenti più critici della sua storia e di quella, più in generale, del mondo occidentale. (Renato d'Andria)
Punto di partenza per il rilancio è ricostruire il tessuto produttivo e, con esso, la fiducia degli italiani e dei mercati, attraverso un processo di “pacificazione nazionale” che ponga fine a quella autentica guerra fra gruppi di potere contrapposti che ha minato le sorti economiche e sociali del Paese negli ultimi vent’anni e passa.
Non a “salvacondotti” o “exit strategy” si porrà l’attenzione, ma piuttosto a modelli storici epocali, come la Pax Augustea e la Pax Togliattiana: due scelte politiche coraggiose che, in tempi diversi, seppero restituire all’Italia lunghi periodi di pacificazione sociale ed uno straordinario slancio all’economia del Paese. Sono maturi i tempi per comprendere che una vera e propria guerra civile - combattuta anche attraverso una certa parte della magistratura e della stampa - infuria da tempo e, complice la crisi mondiale, rischia ora di compromettere seriamente le sorti degli italiani? E, se questo giudizio risulta ormai largamente condiviso, quali sono le strade da percorrere sul piano politico e normativo, per giungere alla Pax Berlusconiana? (Renato d'Andria)
Il convegno del 21 settembre si propone di offrire alcune concrete risposte a questi interrogativi.


Redazione

Articolo preso da www.genesijournal.org di Renato d'Andria

 
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L'INTERVENTO DI OLIVIERO BEHA (Renato d'Andria)

Post n°17 pubblicato il 19 Settembre 2011 da renatodandria3
 

Lunedì 19 Settembre 2011 09:24

L'Intervento di Oliviero Beha, giornalista e scrittore, in preparazione al Convegno del 21 settembre.

«Affondando nella crisi più profonda dal secondo dopo-guerra, l'Italia ha bisogno di cambiare pagina come se si uscisse da una guerra civile. Con tutte le differenze ovvie del caso, oggi è indispensabile, nel passaggio epocale del nostro guado nazionale e internazionale, evadere da questa "pace incivile" che ha avvolto l'ultimo ventennio.
Nella contrapposizione tra berlusconiani e anti-berlusconiani ci siamo giocati il Paese, e lo sfascio è sotto gli occhi fin troppi presbiti di tutti. Come allora, all'epoca della Costituente, va ripensato un presente e un futuro in un mondo che cambia assai velocemente insieme a noi. (Renato d'Andria)
Memoria, identità, senso sono le tre voci diacroniche che dovrebbero rimettere in piedi il corpo di una Nazione che da troppo tempo striscia come un gasteropodo.
La realtà quotidiana ricatta una classe dirigente che ha accumulato scheletri senza soluzione di continuità ammonticchiando Prime e Seconde Repubbliche: per rovesciare la clessidra è dunque necessaria una credibilità che il potere ha smarrito da un pezzo».

OLIVIERO BEHA

 
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Libro: “L’esistenza dello stato d’Israele il Medio Oriente e la Comunità internazionale” (Renato d'Andria)

Post n°16 pubblicato il 13 Settembre 2011 da renatodandria3
 

 Le peculiarità del conflitto arabo-israeliano e il fallimento dell’assioma “pace per terra” alla base del “processo di pace” iniziato ad Oslo nel 1993 incrementano l’opinione negativa che la comunità internazionale ha delle ragioni dello Stato d’Israele e spingono per una giurisprudenza internazionale progressivamente anti-sionista, anti-israeliana e anti-ebraica. Le basi storiche e religiose del diritto all’autodeterminazione ebraica sulla terra che il mondo non-israelita chiama Palestina sembrano scontrarsi con lo stesso diritto palestinese: il libro spiega dal punto di vista del diritto internazionale sia la tesi dell’esistenza d’Israele in confini difendibili e sicuri che realizzino il diritto all’autodeterminazione ebraica in Eretz Israel proporzionalmente all’estensione del diritto all’autodeterminazione arabo-musulmana realizzato nei vari Stati islamici, sia la legittimità del diritto degli ebrei di risiedere in qualsiasi parte di Gerusalemme, della Giudea e della Samaria (regioni più note ai non-ebrei col nome Cisgiordania) alla pari di quella dei palestinesi di vivere in Israele, a prescindere dalla sovranità esercitata su questi cittadini. La contesa tra gli ebrei israeliani e l’arena internazionale proviene dall’insensibilità che questa mostra sia verso il legame indissolubile tra gli ebrei e quel piccolo lembo di terra, sia verso il sentimento di terrore presente in Israele, minuscola isola democratica nel mezzo di dittature pronte a distruggerla militarmente secondo le derive fondamentaliste della propria cultura, derive che allontanano la riconciliazione dei palestinesi con i propri fratelli ebrei.

(Renato d'Andria)

“L’aspetto più innovativo che questo libro propone rispetto alla letteratura esistente riguarda la soluzione prospettata al problema dell’occupazione militare israeliana nei confronti dei territori palestinesi, che rispetti le sensibilità culturali dei due popoli. Sebbene la comunità internazionale sia molto lontana dall’accettare questo concetto, il testo spiega le ragioni di questa unica possibilità di pace effettiva, non solo diplomatica... Questo libro - per l’attualità che tratta, per le tesi sostenute e per gli aspetti nuovi relativi al conflitto che affronta - può essere un buon inizio per una discussione più seria del conflitto, soprattutto alla luce del fallimento dell’assioma ‘pace per terra’”. 

(Renato d'Andria)


Sen. Prof. Luigi Compagna - Senato della Repubblica Università Luiss - Facoltà di Scienze Politiche 

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Articolo preso da www.genesijournal.org di Renato d'andria 

 
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Mitt Romney annuncia candidatura per la presidenza degli Stati Uniti nel 2012 (Renato d'Andria)

Post n°15 pubblicato il 13 Settembre 2011 da renatodandria3
 

  Il 2 Giugno 2011, Mitt Romney, l'ex governatore del Massachusetts, ha annunciato la sua candidatura per la corsa alla Casa Bianca nel 2012. Romney si propone come il candidato che potrà risolvere i problemi finanziari dell’America, ed in effetti ne ha le capacità. Romney, che ha un passato nel campo del business e della politica è considerato il miglior candidato repubblicano per la sua alta moralità, l’aderenza ai principi fondatori degli Stati Uniti d’America e come risolutori di situazioni in crisi come l’organizzazione dei giochi olimpici d’inverno a Salt Lake City, Utah. Romney accusa senza ambagi il presidente, Barack Obama, di aver fallito, soprattutto nell'agenda economica. Il suo spot intitolato "In America: anything is possible", Romney dichiara che "siamo uniti da una grande passione travolgente: Amiamo l'America. Noi crediamo nell’America ". Il fatto di arrestare la spesa pubblica è fondamentale per diminuire il deficit statale. I posti di lavoro non si creano attraverso lo stato ma attraverso la libera impresa con regole non oppressanti. (Renato d'Andria)

Romney è stato un uomo d’affari che ha salvato molte imprese dal fallimento ed si propone di raddrizzare i conti americani in profondo negativoi, dopo avere duramente attaccato l’attuale presidente Barack Obama. «Obama ha fatto fallire l’America», ha detto Romney, aggiungendo che «gli Stati Uniti sono in pericolo». «Nel terzo anno di mandato, ci accorgiamo che non ha mantenuto la promesse, perchè l’economia va male, sono saliti i prezzi del petrolio e dei prodotti alimentari». Gli ultimi sondaggi lo danno nel trio di testa repubblicano, davanti all’ex governatrice dell’Alaska Sarah Palin, e dietro a Rudy Giuliani, l’ex sindaco di New York. Mitt Romney mi sembra l’uomo adatto per la situazioni in cui gli Stati Uniti si trovano sia nella politica interna che in quella estera. (Renato d'Andria)



Dr. Jonathan Curci

Articolo preso da www.genesijournal.org di Renato d'andria 

 
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La civiltà del petrolio (Renato d'Andria)

Post n°14 pubblicato il 13 Settembre 2011 da renatodandria3
 

Nell'ultima generazione tutta l'umanità è stata catapultata in una serie di crisi pericolose, che potrebbero sfociare in una catastrofe globale: il riscaldamento fuori controllo, i prezzi del petrolio che fluttuano selvaggiamente secondo le volontà politiche di pochi paesi produttori, le rivolte per il cibo che scoppiano nel Sud del mondo, lo spettro degli attentati terroristici nelle grandi città e l’incubo di una guerra infinita per combattere violenze ed estremismi, in casa e fuori.

Il tempo sta per scadere. Senza misure urgenti e risolutive, nel prossimo decennio queste crisi globali subiranno una forte accelerazione. Entro il 2018 le carenze di cibo, acqua ed energia potrebbero accrescere le possibilità di conflitto fra le maggiori potenze, ma anche le guerre civili e di confine. Dopo il 2020 tutto ciò potrebbe portare a catastrofi economiche e politiche che minerebbero il potere dello stato e le infrastrutture nazionali, fino al collasso sociale.

(Renato d'Andria)

La nostra super-dipendenza dai combustibili fossili Intanto il picco della produzione di petrolio è stato superato. Ciò avviene quando la produzione mondiale arriva al suo massimo livello e metà delle riserve totali di petrolio grezzo sono andate esaurite, dopo di che diviene dal punto di vista geologico più difficile estrarlo. Questo significa che, oltrepassato tale limite, la produzione mondiale non potrà più raggiungere il massimo livello e quindi diminuirà, fino all'esaurimento delle riserve. D’altra parte, la forte dipendenza dell'agricoltura industriale da fonti energetiche come gli idrocarburi sta a significare che il picco del prezzo del petrolio contrarrà notevolmente la futura produzione agricola mondiale.

L'espansione esponenziale della moderna società industriale nel corso degli ultimi due secoli, con l'ideologia liberale della crescita illimitata che l'ha accompagnata, è legata a due fattori:
1) La disponibilità solo apparentemente illimitata di energia fornita dalla natura attraverso le riserve di combustibile fossile;
2) La volontà dell'uomo di sfruttare l'ambiente senza la consapevolezza dei limiti e dei confini esistenti.

(Renato d'Andria)

Il ventunesimo secolo rappresenta l'era dell'esaurimento irreversibile delle riserve di idrocarburi. E tutto ciò implica che la società industriale, nella sua attuale forma, non potrà durare oltre questo secolo. Il tempo presente, dunque, non rappresenta solo la fine dell'epoca degli idrocarburi, ma l'inizio di una nuova era del post carbone. Le crisi ricorrenti sono sintomi di un’economia, di una politica, di un'ideologia e di un sistema di valori non più sostenibili, che stanno crollando sotto il loro stesso peso e che nel prossimo decennio saranno riconosciuti come obsoleti.
E’ inutile quindi porre in essere politiche energetiche che, spostandosi da un combustibile fossile all'altro, possono solo farci rimanere a galla quanto più possibile. Le fonti rinnovabili rappresentano l'unica strada percorribile. A lungo termine occorre perciò investire nella seguente direzione :
1)ENERGIA SOLARE (TERMICO, TERMODINAMICO, FOTOVOLTAICO)
2)ENERGIA EOLICA
3)ENERGIA GEOTERMICA
4)ENERGIA DA BIOMASSA
5)ENERGIA MARINA (CORRENTI MARINE, MAREOMOTRICE,MOTO ONDOSO)
6)ENERGIA IDROELETTRICA
7)PRODURRE IDROGENO DA FONTI RINNOVABILI
8)FUSIONE FREDDA
9)BIODISEL DALLE ALGHE


(Renato d'Andria)

Il nostro futuro è nelle energie rinnovabili. Investire su tale tipo di ricerca consentirà di raggiungere risultati sempre più importanti. Già oggi l'impetuoso sviluppo delle rinnovabili nel mondo ci dice che stiamo entrando in una nuova era ed è bene che i governi propensi al nucleare abbandonano la via sbagliata e puntino invece con convinzione sull'efficienza energetica e sulle rinnovabili.

Le energie rinnovabili stanno già sostituendo sia il petrolio che l'uranio. E questo non avviene in esperimenti di pochi ecologisti che vivono in campagna mungendo le capre, ma nell'economia produttiva della prima nazione europea. O si pensa che in Germania abbiano deciso di tornare al tempo antico: niente cellulari, riscaldamento col camino, e Mercedes tirate dai cavalli? La Germania aveva programmato già prima della crisi di Fukushima di uscire dal nucleare, utilizzando questa tecnologia solo nella fase di transito alle energie rinnovabili. La Germania ha preso l'impegno di coprire con le rinnovabili l'80% del fabbisogno complessivo della nazione (complessivo vuol dire case, industrie, trasporti). La Germania non è la Repubblica di San Marino, non è il Granducato di Ponteverde. Nel frattempo altri paesi della UE hanno programmi analoghi, anche se non hanno ancora assunto impegni e scadenze. Avrete letto che sta tornando l'energia elettrica nelle zone del Giappone che erano al buio, ma in genere manca nei media questo particolare divertente: l’energia che lo ha reso possibile è quella dei parchi di turbine eoliche che hanno resistito al sisma e allo tsunami, ed ora girano instancabilmente, permettendo di illuminare il lavoro intorno ai ruderi delle centrali nucleari.

(Renato d'Andria)


Il nucleare? Risposta sbagliata

L’umanità sta comprendendo che il nucleare è la risposta sbagliata alla sete di energia.
Siamo entrati in un’era geologica chiamata Antropocene, in cui l'impatto dell'uomo sugli ecosistemi determina effetti sempre più drammatici. Il numero delle specie che si estinguono oggi è pari a quello del Cretaceo, che portò alla scomparsa dei dinosauri. Non abbiamo un altro pianeta e non illudiamoci di essere al sicuro. L'ambiente deve diventare un motore di sviluppo economico e i governi devono raggiungere accordi internazionali in questa direzione. Ogni giorno che passa è un giorno perso.



Dr. Jonathan Curci

Articolo preso da www.genesijournal.org di Renato d'andria 

 
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Energia nucleare, Medio Oriente e il Mediterraneo (Renato d'Andria)

Post n°13 pubblicato il 13 Settembre 2011 da renatodandria3
 

   In Italia, la proposta del governo Berlusconi di ritorno alla produzione dell’energia nucleare, pianificando la costruzione di nuove centrali nucleari ha avuto uno stop. Dopo i terremoti in Giappone, con l’inquinamento radioattivo derivante da alcune centrali nucleari che hanno avuto problemi di emissione di radiazioni nucleari, ha generato il movimento per l’organizzazione dei referendum sul tema, che avrebbero dovuto svolgersi nel prossimo mese di giugno.

 (Renato d'Andria)

In realtà il governo italiano ha annullato con nuove norme le precedenti, che erano oggetto dei quesiti referendari, che propugnavano la loro abrogazione, e quindi esprimevano la volontà di non ritornare al nucleare. Per evitare una risposta istintiva dell’elettorato sfavorevole al nucleare, e quindi bloccando una sua ripresa per molti anni, il governo Berlusconi ha deciso di adottare la suddetta strategia, mettendo in stand by la decisione di ritorno al nucleare, al fine di far passare l’elemento istintivo e riprenderne fra un paio di anni l’esame e una probabile decisione favorevole.


Queste problematiche mi hanno suscitato alcune valutazioni su due temi: il primo è l’atteggiamento del mondo in genere verso l’uso dell’energia e il secondo, ad esso correlato, la dipendenza dai paesi arabi, depositari maggiori dei giacimenti di petrolio, col derivante problema dell’instabilità delle relazioni internazionali in Medio Oriente.

 (Renato d'Andria)

Allora l’energia credo che sia il motore dell’umanità. Sin dagli albori della presenza umana sulla terra, il moto e quindi l’ausilio di tecniche per agevolare la produzioni di beni e servizi sono sicuramente stati elementi di ricerca fondamentale per l’uomo.


Il problema basilare è però chiedersi il costo dell’energia sulla stabilità umana, e cioè la produzione della necessaria energia inquina o no l’atmosfera, danneggia o no gli uomini?


E’ certo che tutti vogliamo accendere il computer, avere un frigorifero e illuminarsi di sera. Ma queste comodità spesso vengono rimandate alla responsabilità altrui. Per esempio siamo circondati da più di 20 centrali nucleari al di là delle Alpi, ma i referendum degli anni 80 hanno causato la chiusura delle tre centrali nucleari in azione che avevamo in Italia allora.


Il problema non è quindi risolto, e anche se le centrali fossero solo quelle della Russia e del Giappone, lontanissime dall’Italia, ciò non potrebbe scagionarci dalla responsabilità che il pericolo di radiazioni, a seguito di disfunzioni o anche per cataclismi naturali, si riverserebbero sull’umanità, che in fondo è unica.

 (Renato d'Andria)

Ma anche il carbone, il petrolio sono inquinanti.


Allora i verdi rispondono con l’energia rinnovabile, eolica, solare, biomasse… Ma ad esse si replica che non sono consistenti, che agiscono solo nei momenti in cui il sole o il vento ci sono, insomma non sono sufficienti.


Sembra un problema irrisolvibile.


Veniamo al mio secondo quesito: se non abbiamo centrali nucleari, dipendiamo unicamente dai paesi Arabi o da altre dittature, tipo il Venezuela, che sono i massimi produttori di petrolio. Ora in più, soprattutto per l’Italia, c’è la guerra contro Gheddafi in Libia, per cui dobbiamo fare a meno del 25% della nostra energia proveniente da tale paese sotto forma di petrolio e gas. Cioè s’innesta l’instabilità politica ed economica, che sembra il destino di varie terre ricche di materie prime energetiche.

 (Renato d'Andria)

Ma a questo punto si possono considerare due pensieri di ordine generale: uno è che la lotta con l’imperfezione delle soluzioni prospettate è graduale e secondo che potrebbe la ricerca darci qualche tecnica ispirata che non inquina e produce sufficientemente energia.


Se non ci fossero state queste ultime valutazioni, saremmo rimasti all’età della pietra. Se queste ultime considerazioni sono degne di nota, allora dovremmo sempre entrare nell’orbita della progressione dell’esperienza, cioè non possiamo disdegnare qualche tecnica inquinante fino a quando non ne troviamo una migliore. Del resto le centrali di energia atomica ora sono più sicure di quelle del passato. Questo è proprio il principio del progresso umano. Certo si deve lottare anche contro l’egoismo, perché le fabbriche che poi si costruiscono sulla base di una scoperta scientifica sono determinate da forti investimenti, per cui se, poniamo, subito dopo una nuova tecnica sostituisce quella che ha determinato i forti investimenti, sia i privati che gli Stati interessati cercheranno, egoisticamente, di bloccare le nuove tecniche.


Questo è un ulteriore problema, per cui si sente in giro l’idea sull’esistenza di congiure contro l’auto elettrica o ad idrogeno, per boicottarle, perché la loro produzione di massa danneggerebbe gli investimenti di auto poggiate sul petrolio.

 (Renato d'Andria)

Insomma l’imperfezione umana non ha mai fondo.


Nel frattempo io penso che dovremmo rischiare con l’energia nucleare, so che è triste, ma altrimenti, pur sostenendo le rinnovabili, quindi creando un mix di fonti, se dessimo retta solo ai movimenti più estremi ecologisti, dovremmo rassegnarci al minore uso possibile dell’energia. Ma il nucleare ha un altro problema serio che è l’assenza di quantità necessarie di uranio per tutta la produzione mondiale di energia nucleare. Si puo’ prospettare la fine dell’uranio prima che le centrali nucleari italiane siano messe in funzione.


Speriamo di vedere dei governi con organizzazioni di imprenditori pronti a far fronte a tutte le sfide che questa rivoluzione energetica imporrà.



Dr. Jonathan Curci

 (Renato d'Andria)

Articolo preso da www.genesijournal.org di Renato d'andria 

 
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EBRAISMO CRISTIANO: LA CIRCONCISIONE DI CUORE (Renato d'Andria)

Post n°12 pubblicato il 13 Settembre 2011 da renatodandria3
 

 A volte basta leggere poche righe per avere chiare illuminazioni su problematiche certamente difficili, che si pensa di risolvere con studi eccessivi, che però disperdono spesso l’angolazione giusta per vedere il problema.


Il mio problema, a cui penso di trovare una risposta, è il rapporto iniziale tra ebraismo e cristianesimo nella prospettiva del suo rapporto finale, in questi ultimi giorni.


Leggendo il sotto riportato articolato di Atti nel Nuovo Testamento, noto come il problema della circoncisione, si presentò chiaramente nell’alveo del gruppo ebraico in cui si formò quello che è stato successivamente chiamato “cristianesimo”. Questo gruppo soleva chiamarsi in ebraico talmidei Yeshua (i discepoli di Gesu’) o maaminim (credenti), non era altro che un’interpretazione specifica e importante di tutta la storia ebraica, come hanno cercato di fare altri rabbini e movimenti ebraici di quel periodo storico.

(Renato d'Andria)

Mentre altri predicavano le scritture ebraiche incluso il messaggio del rabbino Gesu’, vi sorse la questione della conversione dei gentili (non ebrei). La risposta di Pietro alla richiesta di circoncidere anche i Gentili convertiti, ci mostra come la semplificazione rituale, se ispirata da Dio, non perde il suo motivo originale di salvezza. Anche Giacomo indica, sempre nel testo sottostante, che le cose fondamentali sono di ordine morale, per piacere a Dio.


Per esempio, se un circonciso fornica non è accetto a Dio come se lo fa un Gentile non circonciso. Allora, io arrivo alla conclusione che tutti i riti religiosi, anche se autentici, cioè rivelati veramente da un Dio vero a veri profeti, possono non essere il discrimine tra verità e falsità, se non avviene una circoncisione di cuore.


Se i Testi del Nuovo Testamento sono veri, l’esempio dell’atteggiamento intollerante e violento di alcuni membri del nel Sinedrio al tempo di Ponzio Pilato è una chiara testimonianza che, pur nella religione più autentica e profetica esistente al mondo, l’ebraismo, se si perde il senso di mitezza e umiltà, lo stesso lo scopo finale di essere simili a Dio, quali figli di un Dio, per l’umanità non si realizza.

(Renato d'Andria)

Infine credo che il rapporto iniziale tra cio’ che noi chiamiamo Cristianesimo ed Ebraismo nella storia umana possa indicarci elementi utili per comprendere come debba svolgersi il rapporto finale, nei nostri giorni appunto tra Ebraismo e Cristianesimo. Credo che, rileggendo le parole di Pietro e Giacomo, ebrei che hanno fondato il movimento “cristiano” non staccandosi dall’ebraismo, quindi sempre rimanendo ebrei, possiamo comprendere, come chiudendo gli occhi, cosa conta veramente e come l’unità sia invero reale e possibile, se l’atteggiamento è in noi lo stesso di questi primi ebrei cristiani.


E’ interessante in Atti 16 (Nuovo Testamento) vedere con quanta semplicità Paolo circoncise un cristiano di madre ebrea, Timoteo, che non era stato circonciso alla nascita, solo per rendere più normale il rapporto sociale che fosse preludio a miglior rapporto spirituale di ordine caritatevole.


Da questo io noto come il formalismo debba essere asservito ai motivi spirituali che concordano nel principio cristiano di volere veri adoratori in Spirito e Verità, piuttosto che adoratori formalisti, che non sentono neppur il vero significato delle forme autenticamente date da Dio agli uomini, ma che sempre devono restare nell’ambito del significato sentito e spirituale, nel cuore di ogni singola persona che si approccia alla religione divina.

(Renato d'Andria)

Vorrei infine, avendo parlato della circoncisione, comprendere un concetto che può seriamente unire ebrei e cristiani, come lo furono all’inizio del propagarsi del pensiero cristiano, principalmente nell’ambito dell’ebraismo, il concetto è: “circoncisione di cuore”. I circoncisi di cuore sono coloro che non danno nulla per scontato, che hanno un atteggiamento di apprendimento verso gli eventi della vita.


Si tratta della mitezza e umiltà di cuore.
Questo atteggiamento è possibile riscontrarlo nelle persone, e non è una caratteristica di una sola religione.
L’atteggiamento mite e umile non vuol dire accogliere il pensiero altrui senza porre domande o svolgere una ragionamento critico verso ciò che viene proposto, se non è conforme alle convinzioni profonde di chi lo riceve.
Il mite e umile di cuore crede nella libertà di coscienza. Lascia a tutti la libertà di esprimere le idee in cui crede, anche se può non condividerle.
Allora come mai nella storia ci sono stati così tanti tribunali di inquisizione, come la Chiesa cattolica ha conosciuto, ma anche i dirigenti del Sinedrio (che si riteneva l’autorità del popolo ebraico) che con il complotto politico con Ponzio Pilato ha condannato Gesu’ ne sono stati esponenti esemplari?
Secondo me è il timore , che contraddice alla fede, che determina tale opposizione priva di mitezza e umiltà, soprattutto da parte di consessi e persone rivestite di potere sugli altri.
Probabilmente sono due i fattori che incidono in questi atteggiamenti persecutori e non miti e umili.
Il timore che le proprie convinzioni siano sconfessate, il che fa pensare che tali credenze non siano molto solide interiormente, e hanno bisogno dell’appoggio sociale per essere ritenute valide.

(Renato d'Andria)

Il secondo motivo credo che è da ravvisarsi nell’ulteriore timore che lasciar esprimersi idee contrastanti alle proprie possa danneggiare la popolazione di cui ci sente essere la guida, e quindi responsabili.
Qui appunto il senso timoroso della responsabilità del potere, anche in buona fede, fa una parte veramente grande. Se poi si tratta di potere mantenuto, per scopi egoistici e di guadagno economico, la buona fede va tolta, e resta solo la mancanza di fede.
La circoncisone di cuore è appunto la conversione a un Dio amorevole con metodi amorevoli e di fede.
E’ per questo che credo che tra Ebraismo e Cristianesimo, in questi ultimi giorni, si possa ritrovare la comune radice e quindi tolleranza reciproca, solo se coloro, sui due fronti, che dialogano, sono persone miti ed umili di cuore, circoncisi di cuore.

(Renato d'Andria)
Riferimenti scritturali:

[Atti.15:1] OR alcuni, discesi dalla Giudea, insegnavano ai fratelli: Se voi non siete circoncisi secondo il rito di Mosè, non potete esser salvati. ...
[Atti.15:2] Ed essendo nata una non piccola dissensione e controversia fra Paolo e Barnaba, e costoro, fu deciso che Paolo, Barnaba e alcuni altri dei fratelli salissero a Gerusalemme agli apostoli ed anziani per trattar questa questione. ...
[Atti.15:3] Essi dunque, accompagnati per un tratto dalla chiesa, traversarono la Fenicia e la Samaria, raccontando la conversione dei Gentili; e cagionavano grande allegrezza a tutti i fratelli. ...
[Atti.15:4] Poi, giunti a Gerusalemme, furono accolti dalla chiesa, dagli apostoli e dagli anziani, e riferirono quanto grandi cose Dio avea fatte con loro. ...
[Atti.15:5] Ma alcuni della setta de’ Farisei che aveano creduto, si levarono dicendo: Bisogna circoncidere i Gentili, e comandar loro d’osservare la legge di Mosè. ...
[Atti.15:6] Allora gli apostoli e gli anziani si raunarono per esaminar la questione. ...
[Atti.15:7] Ed essendone nata una gran discussione, Pietro si levò in piè, e disse loro: Fratelli, voi sapete che fin dai primi giorni Iddio scelse fra voi me, affinché dalla bocca mia i Gentili udissero la parola del Vangelo e credessero. ...
[Atti.15:8] E Dio, conoscitore dei cuori, rese loro testimonianza, dando lo Spirito Santo a loro, come a noi; ...
[Atti.15:9] e non fece alcuna differenza fra noi e loro, purificando i cuori loro mediante la fede. ...
[Atti.15:10] Perché dunque tentate adesso Iddio mettendo sul collo de’ discepoli un giogo che né i padri nostri né noi abbiam potuto portare? ...
[Atti.15:11] Anzi, noi crediamo d’esser salvati per la grazia del Signor Gesù, nello stesso modo che loro. ...
[Atti.15:12] E tutta la moltitudine si tacque; e stavano ad ascoltar Barnaba e Paolo che narravano quali segni e prodigi Iddio aveva fatto per mezzo di loro fra i Gentili. ...
[Atti.15:13] E quando si furon taciuti, Giacomo prese a dire: ...
[Atti.15:14] Fratelli, ascoltatemi. Simone ha narrato come Dio ha primieramente visitato i Gentili, per trarre da questi un popolo per il suo nome. ...
[Atti.15:15] E con ciò s’accordano le parole de’ profeti, siccome è scritto: ...
[Atti.15:16] Dopo queste cose io tornerò e edificherò di nuovo la tenda di Davide, che è caduta; e restaurerò le sue ruine, e la rimetterò in piè, ...
[Atti.15:17] affinché il rimanente degli uomini e tutti i Gentili sui quali e invocato il mio nome, ...
[Atti.15:18] cerchino il Signore, dice il Signore che fa queste cose, le quali a lui son note ab eterno. ...
[Atti.15:19] Per la qual cosa io giudico che non si dia molestia a quelli dei Gentili che si convertono a Dio; ...
[Atti.15:20] ma che si scriva loro di astenersi dalle cose contaminate nei sacrifici agl’idoli, dalla fornicazione, dalle cose soffocate, e dal sangue. ...
[Atti.15:21] Poiché Mosè fin dalle antiche generazioni ha chi lo predica in ogni città, essendo letto nelle sinagoghe ogni sabato.
[Atti.16:1] E venne anche a Derba e a Listra; ed ecco, quivi era un certo discepolo, di nome Timoteo, figliuolo di una donna giudea credente, ma di padre greco. ...
[Atti.16:2] Di lui rendevano buona testimonianza i fratelli che erano in Listra ed in Iconio. ...
[Atti.16:3] Paolo volle ch’egli partisse con lui; e presolo, lo circoncise a cagion de’ Giudei che erano in quei luoghi; perché tutti sapevano che il padre di lui era greco.



Dr. Jonathan Curci

(Renato d'Andria)

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La natura dei conflitti etnici (Renato d'Andria)

Post n°11 pubblicato il 13 Settembre 2011 da renatodandria3
 

 

  A memoria umana non vi è epoca priva della presenza di conflitti e di divisioni sociali; questi avvenimenti sono accompagnati da una costruzione polemica delle proprie peculiarità e da una demonizzazione delle identità altrui in cui le diversità vengono fortemente accentuate. I conflitti si manifestano come una rottura dei legami sociali presenti, rottura che inevitabilmente porta ad un rafforzamento in senso antagonista della propria identità; la maggior parte delle volte questa costruzione polemica della propria identità non si tramuta in conflittualità aperta e diretta, ovvero in scontri di carattere armato e violento, ma rimane ferma allo stato di violenza culturale, ovvero che fa uso dei mass-media per demonizzare l'altro (Renato d'Andria).Quando, però, a quella culturale fa seguito la violenza strutturale – ovvero quella serie di misure prese per allontanare fisicamente l’altro e che facilmente si tramutano in segregazione e pulizia etnica – allora la situazione diventa irreversibile e più si incancrenisce il conflitto, più sarà difficile risolverlo. In tal contesto un ruolo particolare è svolto dalla memoria collettiva, ovvero dalla percezione che un gruppo ha di un evento e la maniera in cui questo viene rielaborato all’interno della storia del gruppo stesso; col tempo diventano informazioni acquisite, date per scontato, senza prendersi la briga di verificare la veridicità e la completezza dei resoconti e delle interpretazioni rese. La memoria collettiva a sua volta si trasforma in metastoria, ovvero in quei punti fermi di carattere storico, sociale, religioso e culturale da cui si parte per interpretare gli avvenimenti successivi all’interno del background storico e culturale che ne sta alla base, incastonandolo tra gli avvenimenti che lo hanno preceduto e seguito. Ogni singolo avvenimento nelle relazioni tra i gruppi etnici in conflitto viene incastonato all’interno del background storico e culturale della “metastoria” che l’etnia si crea: da svariati decenni questa è la deriva che ha preso il conflitto arabo-israeliano in alcuni settori di entrambi gli schieramenti. (Renato d'Andria) 

Su questa base sociale poi si costruisce la propaganda – sia in tempo di pace, ma soprattutto in tempo di guerra – e poco importa che ciò avvenga tra eserciti regolari, tra esercito regolare e fazioni paramilitari, o solo fra fazioni paramilitari: il ruolo che la propaganda svolge nel raccogliere le masse attorno ad una situazione o ad un determinato modo di agire diventa basilare nella raccolta dei consensi, dei finanziamenti e nella disponibilità che gli adepti di una causa mostrano nel sostenerla e nel sopportare sforzi e sacrifici sempre maggiori. Si arriva talora finanche alla rinuncia di parte della propria libertà personale se ciò risulta utile al perseguimento di un obiettivo che non deve essere vago, ma ben definito, tangibile, in qualche modo a portata di mano. Nelle mani degli agitatori sociali e dei disseminatori di odio la propaganda è la benzina sul fuoco per alimentare il disappunto delle masse e per convincerle della possibilità di un capovolgimento sociale della situazione. Confrontarsi con il conflitto arabo-israeliano, in alcuni casi, significa confrontarsi con questo schema e con questo “ciclo degenerativo” di cui tutte le parti in causa, comunità internazionale inclusa, sono “vittime”. (Renato d'Andria) 

A tal riguardo una nozione da rivedere è quella che afferma che sia un accordo a sancire la pace, ma così non è; esso, infatti, sancisce un “perpetuo” abbandono delle armi e la scelta del canale diplomatico per la risoluzione delle dispute future, ma questa non è pace. Già Cicerone, nelle Filippiche, insegnava che la pace è il libero godimento della propria libertà; affinché vi sia un libero godimento della propria libertà duraturo nel tempo è sulla società civile che bisogna agire perché è dai suoi strati che iniziano i conflitti: la pace non è vista secondo un’accezione negativa (assenza di guerra), ma bensì positiva (trasformazione del conflitto – costruzione). Anche se si riuscisse a dar vita ad uno Stato palestinese sovrano e ad arrivare ad un accordo di pace definitivo tra lo Stato d’Israele e tutti gli Stati arabi che ancora non lo riconoscono ufficialmente, tali accordi non sarebbero sufficienti per avere una reale pacificazione della regione. Questa potrebbe avvenire solo se i governi cominciassero realmente a sostenere politiche di riconciliazione e di non demonizzazione altrui, ma soprattutto se gli ebrei, nei Paesi arabo-musulmani, non venissero più percepiti come dhimmi, ovvero cittadini di seconda classe non dignitari degli stessi diritti di cui gode il resto della popolazione islamica. Per un esempio di pregiudizio diffuso tra i musulmani circa la cultura ebraica si suggerisce di leggere l’articolo antisemita di WAHBA H. (Egitto), The Jews Slaughtering Non-Jews, Draining their Blood, and Using it for Talmudic Religious Rituals, la cui traduzione in inglese dal titolo “Egyptian Government Weekly Magazine on 'The Jews Slaughtering Non-Jews, Draining their Blood, and Using it for Talmudic Religious Rituals”, è consultabile sul sito di The Middle East Media Research Institute (MEMRI), Special Dispatch Series n. 763, del 16 agosto 2004, http://memri.org/bin/articles.cgi?Page=archives&Area=sd&ID=SP76304, ultimo controllo effettuato il 30 settembre 2008. L'articolo viene riportato in italiano da PANELLA C., Il complotto ebraico, op. cit., pagg. 261 e ss.

 (Renato d'Andria) 

Dr. Jonathan Curci

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L’ANTISEMITISMO NEI RITI CRISTIANI E ISLAMICI E L’ANTI-SIONISMO (Renato d'Andria)

Post n°10 pubblicato il 13 Settembre 2011 da renatodandria3
 

  Il progetto Genesi del dott. Renato d’Andria si propone di costruire dei rapporti tra le religioni basati sull’autenticità e la verità storica basandosi sulle revisioni che la scienza propone su fatti e processi (che hanno condotto alla situazione odierna delle mentalità in vari paesi del Mediterraneo). Rammentare le radici ebraiche dell’Islam e del Cristianesimo penso possa aprire a un dialogo di comprensione e di studio delle tradizioni religiose presenti tra le popolazioni dell’area Mediterranea. Il dialogo inter-religioso dovrebbe servire come punto di partenza per una vita armoniosa di scambi commerciali e culturali nel Mediterraneo in cui Israele dovrebbe avere un posto di tutto rispetto e in cui le relazioni nel Mediterraneo possano uscire dall’impasse attuale che vede Israele in una situazione di non riconoscimento da parte di vari stati arabo-musulmani o di ostracismo da parte di altri.

(Renato d'Andria)

In quest’articolo mi soffermo sulla questione del dialogo su alcuni punti di divisione e di antagonismo.


Partiamo da questo periodo della Pasqua cristiana molti si ricorderanno della liturgia delle messe di qualche anno fa prima delle riforme attuate per eliminare segni di antisemitismo nelle Chiese cristiane: il Venerdi’ santo si ricordava l’uccisione del Cristo per mano degli ebrei, che spesso nella ritualità della messa erano stigmatizzati come perfidis judaeis.


Attribuire agli Ebrei l’uccisione di Gesù detto il Cristo è probabilmente la più subdola dichiarazione antisemita, se pensiamo che i primi seguaci di Gesù erano tutti Ebrei e che gli stessi predicavano il messaggio "cristiano" principalmente nelle sinagoghe ebraiche del Mediterraneo.

(Renato d'Andria)

 Alcune volte si sente addirittura dire, per fortuna non in luoghi pubblici, da certi cristiani che la Shoa è derivata agli Ebrei come punizione per essere stati gli autori dell’uccisione di Cristo. Niente di piu’ assurdo. Se i cristiani fossero veramente sinceri nella loro visione teologica della relazione tra il loro Messia e il popolo d’Israele si dedicherebbero allo studio della lingua del loro Messia, l’ebraico e non solo del latino o del greco antico, magari adotterebbero anche dei riti ebraici piuttosto che tramandare una liturgia che immagina i cambiamenti che Gesù avrebbe apportato ad essi. Insomma non solo il cristianesimo storico sembra essersi impadronito della religione di un Messia ebreo ma poi si è volta anche a perseguitarli, accusandoli di averlo ucciso. I cristiani dovrebbero comprendere piuttosto che l’esperienza di soprusi millenari sugli ebrei, nelle terre sedicenti cristiane non hanno fatto altro che far pesare anche sugli ebrei il sangue dei peccati e della malvagità delle nazioni, che il Messia ebreo Gesù prese su di se durante il suo sacrificio espiatorio, in qualità di servo sofferente nella tradizione messianica ebraica del Mashiach ben Yosef (Messia figlio di Giuseppe, e non Giuseppe il falegname padre di Gesù). Come si potrebbe altrimenti spiegare il piu’ grande crimine compiuto nelle terre cristiane contro gli ebrei durante la Shoa, se non come una sorta di compartecipazione metafisica degli ebrei a portare il sangue di Cristo? Gli ebrei non furono trattati come agnelli che non aprirono bocca davanti ai loro aguzzini dell’inquisizione o dei nazifascisti, proprio come Gesù davanti ai boia romani? Penso che la redenzione del mondo attraverso la risurrezione di Gesù, come indica la teologia cristiana, puo’ essere paragonata mutatis mutandis alla redenzione del mondo solo dopo l’olocausto degli ebrei, che condusse le nazioni a reprimere i crimini che gli Stati e il loro leader potrebberop commettere contro i propri cittadini o altre popolazioni. La convenzione contro il genocidio o la nozione di crimini contro l’umanità sono state coniate affinchè il mondo non ripeta gli stessi crimini come lo sterminio degli israeliti.

(Renato d'Andria)

 Le nazioni cristiane devono essere grate agli Ebrei per il fatto di avere quello che essi chiamano Antico e il Nuovo Testamento nella Bibbia, che sono la loro base morale. Agli Ebrei dobbiamo riconoscere il privilegio di avere tra i nostri principali termini religiosi le parole “sacrificio”, “espiazione”, “profeta”, “Messia”, “alleanza”, “fede”, “carità”, ecc...


La storia del paleocristianesimo insegna che con l’avvento dei Gentili alla leadership del movimento messianico di Gesù, la Chiesa Cristiana nelle sue forme e denominazioni disparate disconobbe i riti ebraici e quindi ne invento' di nuovi su una vaga base dei ricordi dei precedenti.

(Renato d'Andria)

 Quindi è legittimo domandarsi se i riti religiosi attuali, cattolici, ortodossi e meno nel mondo protestante e mormone, possono essere considerati l’alternativa all’Ebraismo? I riti religiosi formali, ripetitivi, sono senz’altro una forma di ricerca di partecipazione delle masse per aggregare la gente alle religioni e alle loro relative battaglie di supremazia.


Si può quindi spiegare che le forme religiose cristiane in Occidente non sono state un valido argine all’ascesa di altre forme religiose di falsificazione che hanno facilmente preso il posto di tali religioni, pur restando in piedi, perché nel cuore delle masse il Nazismo, il Comunismo, il Fascismo e forme moderne di democrazia sono facilmente penetrate come priorità nel superstizioso mondo, in realtà poco religioso, presente in occidente.


Bisogna estendere al Medio Oriente e all’Islam lo stesso paradigma di confronto con il mondo ebraico data la sua precedenza ed il fatto che è storicamente provato che l’ebraismo è stato la fonte primaria d’ispirazione di Maometto per la sua predicazione e per l’organizzazione liturgica della religione islamica, nonchè per la stesura del Corano da parte dei suoi epigoni. Si nota in generale che i popoli arabi, in qualche modo diventati musulmani, oltre alle comuni ritualità formali che hanno fortemente attinto alla struttura liturgica ebraica, hanno creato, al pari dei cristiani delle crociate, Carlo Magno ecc.., un sistema di formazione obbligata delle popolazioni al proprio credo, non con elementi di proselitismo intellettuale, ma di sola appartenenza logistica. Il che è avvenuto, in altri territori, principalmente cristiani, se pensiamo anche perfino alle lotte tra cattolici e protestanti in Europa. Tutto questo sistema ha reso così le popolazioni sorte e viventi nei territori di influenza religiosa, sia islamica che cristiana, o di altre confessioni, a digiuno dei contenuti della Bibbia ebraica e della lingua ebraica.

(Renato d'Andria)

 La gente comune che non si pone questi problemi non ha colpa propria, essi ascoltano e purtroppo, solo in sparuti casi, alcune menti illumunate ricercano piu' a fondo l'origine delle cose superficialmente visibili. Ma chi forma le idee che devono essere fatte circolare nelle istituzioni religiose e culturali, a cui il popolo appartiene, ha una responsabilità maggiore. E' ancora piu' grave la situazione in cui la scelta di poter studiare il fatto religioso, porta a strozzare la propria libertà di coscienza.


Come si puo’ dire che il fondamento della religione musulmana è interamente autentico, se sostituisce tutto d’un tratto il popolo dell’alleanza da quello ebraico a quello arabo e se il suo libro di base contraddice letteralemente vari passi biblici, ai quali esso afferma di essere ispirato? La necessità di studiare attentamente i testi prima che un individuo si dica appartenente ad una o all’altra religione sembra essere in generale meno prioritario della propria identità, che proviene dalla problematica atavica delle motivazioni relative all’appartenenza logistica delle popolazioni.

(Renato d'Andria)

 Da qui parte un’altra antica forma di antisemitismo che odiernamente assume il nome di anti-sionismo. Questa forma di antisemitismo trova tutte le ragioni per rompere il legame del popolo ebraico, il popolo della Bibbia, alla terra a cui atavicamente appartiene. Si tratta di un piccolo lembo di terra sulla costa orientale del Mediterraneo, in cui si è formato uno degli Stati piu’ bello e piu’ in pericolo sulla faccia della Terra. Paradossalmente l’unico Stato creato con un voto favorevole dell’Assemblea delle Nazioni Unite e lo Stato la cui capitale non è riconosciuta come tale da nessuno Stato al mondo.


Ma facciamo un rapido flashback. Il popolo ebraico si è costituito in forma patriarcale, derivata da Abrahamo, quindi Isacco e Giacobbe e dalle conseguenti 12 tribù di Israele. A tale popolo è stato assegnato un luogo nella terra antica chiamata di Canaan, poi diventata Terra di Israele e solo in seguito Palestina. L’origine del popolo di Israele è appunto patriarcale profetico, e quindi la terra viene assegnata da motivazioni di autentica religiosità, che io intendo solo la rivelazione sacerdotale profetica, in questo caso con riti adeguati e di carattere eterno, con obiettivi di rimembranza utile al processo comportamentale che purifica, perfezione e salva.

(Renato d'Andria)

 L’anti-sionismo, una forma di antisemitismo, si propone come collegata solo a motivazioni di politica internazionale, che sono sicuro, che col tempo porranno la comunità internazione contro lo Stato d’Israele, per incompatibilità dottrinale con il diritto internazionale formato da risoluzioni delle Nazioni Unite e dalla consuetidine. E’ infatti del tutto inammissibile per organismi come l’ONU e altri riconoscere il valore di asserzioni bibliche che affidano al popolo di Israele il possesso di tale territorio, eppure la leadership internazionale occidentale che accoglie nella sua religiosità l’Antico Testamento, dove tale tipo di asserzione è inserita.


Ma ancora una volta la religione formalistica non riesce ad avere la supremazia sugli interessi economici e politici, molto collegati oggi al rifornimento petrolifero, per cui pur di malavoglia l’occidente può sentirsi costretto ad appoggiare i paesi arabi, ricchi di petrolio, nella loro lotta territoriale contro Israele. A questo punto l’antisemitismo si fa cosmopolita e si confonde con l’anti-sionismo.

(Renato d'Andria)

 Citavo prima i Mormoni che sono staccati dalle classificazioni cristiane generali: si dicono cristiani mentre che a le altre denominazioni cristiane non li riconoscono come tali oltretutto perché essi hanno come ulteriore libro canonico, per l’appunto il Libro di Mormon, scritto da antichi profeti ebrei nella loro antica dispersione. Un brano di questo misteriosissimo Libro di Mormon è molto attuale e va a fagiolo per il mio attuale discorso, esso dice quanto segue:


[2.Nefi.29:4] Ma così dice il Signore Iddio: O stolti, essi avranno una Bibbia; ed essa procederà dai Giudei, il mio antico popolo dell'alleanza. E come ringraziano essi i Giudei per la Bibbia che ricevono da loro? Sì, che cosa pretendono i Gentili? Ricordano essi i travagli, le fatiche e le pene dei Giudei e la loro diligenza verso di me, nel portare la salvezza ai Gentili? ...

(Renato d'Andria)

 [2.Nefi.29:5] O voi Gentili, vi siete ricordati dei Giudei, il mio antico popolo dell'alleanza? No; ma li avete maledetti, li avete odiati e non avete cercato di ristabilirli. Ma ecco, io farò ricadere tutte queste cose sul vostro capo; poiché io, il Signore, non ho dimenticato il mio popolo. ...


[2.Nefi.29:6] Stolti voi che direte: Una Bibbia, abbiamo una Bibbia e non abbiamo bisogno di altre Bibbie. Avreste ottenuto una Bibbia se non fosse stato per i Giudei?


Questa dichiarazione mi da un senso migliore del rapporto opposto all’antisemitismo e lo troviamo nella religione Mormone, che guarda caso si riallaccia al principio fondamentale della presenza profetica, quindi della rivelazione, quale sostrato efficace alla religione, che quindi nella sua autenticità pone piuttosto la ritualità solo per quello che può essere memento per il comportamento più consono all’insegnamento divino.

(Renato d'Andria)

 In realtà il vero spirito cristiano non è altro che un risarcimento dell’autenticità profetica ebraica, che in Cristo vedeva Colui che interpretava la legga in modo profondo e non schiavizzante. In realtà Gesù era un autentico ebreo e non un formalista ebreo.


Perciò intendo concludere questo ragionamento con l’asserzione che, come al tempo di Mosè c’erano seguaci come Caleb e Giosuè, cioè coraggiosi ebrei e umili osservanti dello Spirito ebraico divino, cioè profetico, c’erano anche altri poco coraggiosi, nemici di Mosè, come nella storia ebraica ci sono stati ebrei che hanno ucciso i profeti ebrei, e tra questi alcuni capi sacerdoti malvagi, mi permetto di dire, a causa della loro intolleranza e ipocrisia religiosa formalistica, come furono alcuni capi della setta ebraica farisaica, i quali si unirono in segreto all’opportunista politico Ponzio Pilato per fa mettere a morte un grande innocente che lottava per la propria libertà religiosa come Gesù Cristo.


(Renato d'Andria)

Ma Dio sembra volgere sempre, nel mondo ebraico, il male in bene, come dalla Shoah poi è scaturito lo Stato d’Israele. Sulla stessa stregua sono certo che Dio volgerà alla fine l’antisemitismo e il subdolo anti-sionismo in opportunità per il popolo ebraico di rinforzare la propria identità autentica con tutti I testi sacri del passato e con la presenza di profeti futuri che speriamo predicheranno un possibile scambio armonioso con le persone di buona volontà delle altre religioni vicine al piccolo Stato ebraico.

Articolo preso da www.genesijournal.org di Renato d'andria 

 
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La Transizione dalla dittatura alla democrazia nei paesi arabi nel raggiungimento dell’uguaglianza tra i popoli

Post n°9 pubblicato il 13 Settembre 2011 da renatodandria3
 

 

Quando vediamo i giovani tunisini arrivare sui barconi all’isola di Lampedusa, possiamo considerarli o una massa di diversi o delle persone come noi. Dopo il primo impatto sociologico credo che non possiamo che vederli come uomini singoli, proprio come noi. La divisione storica in popoli, nazioni e stati diversi affievola questo sentimento d’eguaglianza. Per questo come Renato d’Andria afferma, bisogna trovare un linguaggio precedente alle differenze e una cultura che accomuna i popoli del Mediterraneo nelle loro divisioni.

(Renato d'Andria)

Lo stesso passaggio dovremmo fare nell’attribuire anche a loro il tipo di governo che noi abbiamo. Possono essere i paesi arabi democratici? O loro sono diversi e sono costretti a vivere in una semi-democrazia, oligarchia, monarchia o dittatura? Possono anch’essi godere delle libertà fondamentali sancite dal diritto europeo e internazionale dei diritti umani?

(Renato d'Andria)

E’ innegabile che le istituzioni democratiche di stampo occidentale, con tutti i loro limiti, sono un bene che collima con la libertà di scelta dell’individuo, almeno comparativamente rispetto ai regimi islamici.

(Renato d'Andria)

è vero, se pensiamo all’Iran, possiamo temere che la richiesta di democrazia da parte delle popolazioni arabe celi dietro di sè le organizzazioni cosiddette “terroristiche” che fagocitano le aspirazioni politiche delle masse arabe per canalizzarle in espressioni violente contro Israele o l’Occidente. Sappiamo che queste organizzazioni sono più attrezzate di altre danno delle risposte immediate fondate su una base chiara della cultura islamica e possono guidare l’opinione pubblica che è vissuta con libertà di scelta limitate.

La dittatura in vari paesi arabi ha innegabilmente contribuito a un mantenimento relativo di queste masse nei propri confini, ha bloccato la partenza di barconi con masse di immigrati, ha stabilizzato le strutture economiche del paese e, pur non distruggendolo, ha frenato il terrorismo più di quanto la loro assenza poteva fare (ad esempio, il terrorismo all’interno dell’Iraq non è mai stato così divampante come dopo lo smantellamento della dittatura di Saddam Hussein). Ma queste ribellioni non giustificano assolutamente le dittature.

(Renato d'Andria)

I paesi occidentali, però, accontentandosi di una tale situazione, in realtà svolgono un ruolo di neocolonialismo.


Il colonialismo in realtà è stato una forma di estensione fittizia dei territori nazionali su altri luoghi, sfruttandoli per quanto riguarda le materie prime, a beneficio delle proprie nazioni. Ma l’effetto più dannoso nel tempo è proprio quello di considerare le popolazioni dei territori colonizzati come inferiori. Questo e’ un contrasto palese nei confronti dei principi cristiani di cui questi paesi si fanno baluardi. L’uguaglianza e la fraternita’ dovrebbero essere prerogative dei paesi che si considerano cristiani. Invece rimaniamo eredi di una mentalita’ nazionale che non fa capire l’importanza dell’interazione con le altre culture del Sud del Mediterraneo come queste persone che cercano approdo in Europa. Come integrarli e come rafforzare i legami con i regimi politici di questi paesi in transizione, sono i veri quesiti dell’Europa che si affaccia sul Mediterraneo. L’Italia ha un ruolo fondamentale in questo processo data la vicinanza geografica.

(Renato d'Andria)

Queste masse di ex colonizzati sono loro a venire da noi mentre nel passato eravamo noi ad andare da loro. Ma in realtà psicologicamente avviene la stessa cosa: loro non sono come noi. Ciò accade per svariate giustificazioni: c’è già disoccupazione fra noi, sono clandestini e possono diventare delinquenti; inoltre hanno culture e religioni diverse, insomma non c’è nè tempo né voglia di comprendere che loro sono come noi, uomini.

(Renato d'Andria)

Ora voglio farmi un’altra domanda: è plausibile raggiungere la democrazia e la libertà con la violenza e la rivoluzione? Per molti è sempre stato incomprensibile la tolleranza cristiana del potere mondano, insito nella frase "a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio". Alla luce di questo principio non può la rivoluzione violenta portare forme di libertà come la democrazia. La rivoluzione sovietica lo dimostra, come anche molti colpi di stato militari o di massa ammantati illusoriamente di essere capaci di portare più libertà e benessere. Lo stesso Gheddafi in Libia fece un tipo di rivoluzione più di 40 anni fà al fine di portare tali vantaggi, mentre oggi molti del suo popolo si ribellano contro di lui perché manca la libertà. Credo che ogni miglioramento ha bisogno di pace, meditazione, gradualità e compromessi benefici. Il bene porta il bene, i sacrifici giusti determineranno un consolidamento del frutto migliore della democrazia: la libertà individuale, la promozione dell’essere umano, e non ci sono uomini diversi. Esempi di non violenza che hanno condotto alla libertà e democrazia sono stati ad esempio l’India di Gandhi e il Sud Africa di Mandela.

La frantumazione delle dittature può certamente avvenire se la maturazione indigena viene appoggiata da strutture collaudate anche esterne, ma seriamente votate a determinare l’autosufficienza della popolazione interna.

(Renato d'Andria)

150 anni fà l’unità d’Italia si formò proprio con tali elementi: reale maturazione della popolazione interna e appoggio internazionale nell’ambito di principi positivi generalizzati.


Ma quando i black block mettono a ferro e fuoco le città, partendo da manifestazioni di opposizione ai governi democratici, non possiamo rinvenire gli elementi utili al miglioramento della vita politica.


Le rivoluzioni dell’inizio del 2011 in vari stati Arabi contro le dittature in Tunisia, in Egitto e altri paesi, rivelano un moderno afflato giovanile, lievemente appoggiato dalle moderne democrazie occidentali, spesso ex coloniali, che comunque temono che i nuovi ordinamenti potrebbero in tali luoghi trovare solo forze organizzate, contingenti al terrorismo islamico, che prenderebbero il potere reale come in Iran.


I paesi del Nord Africa e Mediorientali sono ricchi di materie prime, e non sono i manager superpagati in confronto agli operai nelle aziende dell’occidente, l’esempio migliore per creare società più eque al posto delle dittature nordafricane o mediorentali in genere.

(Renato d'Andria)

I principi morali e spirituali che soli possono motivare all’equità e al benessere diffuso di questi popoli, di origine islamica, che nel mondo di internet e della globalizzazione, si stanno aprendo alla democrazia e alla libertà di scelta dell’individuo al di là dei confini imposti dalle tradizioni religiose del popolo in cui l’individuo nasce e cresce. Ma questi principi di libertà non sono e non devono essere nuovi strumenti di colonizzazione.


Inconsapevolmente e silenziosamente, probabilmente i giovani stanno superando le barriere sociali religiose del passato, senza proferire parola; la comunicazione mediatica ha unito e sollevato le coscienze ad una unità più grande, insita e prona alla creazione di una vera democrazia. Se pure i fenomeni rivoluzionari nei paesi nordafricani e mediorientali siano diversi, pensiamo alla Libia paragonata alla Siria o Giordania, il problema risolutivo è il medesimo: riuscire a seguire un filo unico di libertà umana che non differenzia gli esseri umani a causa di sovrastrutture sociali, storiche e religiose.

 



Dr. Jonathan Curci

Articolo preso da www.genesijournal.org di Renato d'andria 

 
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Uno sguardo all’attuale situazione della sicurezza in Medio Oriente (Renato d'Andria e Jonathan Curci)

Post n°8 pubblicato il 13 Settembre 2011 da renatodandria3
 

In questo momento il grande timore degli analisti occidentali della situazione della sicurezza nel Mediterraneo è che lo stesso popolo egiziano che ha cacciato il dittatore Mubarak possa sostenere o tollerare le tendenze pericolosissime del movimento dei “fratelli musulmani” basate sull’odio verso gli ebrei e l’America, sul sostegno al terrorismo islamico e contro i regimi arabi che non sposano la causa della jihad armata contro gli infedeli.


Nel frattempo, l’Iran non ha aspettato troppo tempo per tentare di inviare due navi militare lungo l’importantissimo canale di Suez (da cui passano il 40% delle navi del mondo) forse per salutare la rivoluzione egiziana e portare le masse verso il proprie alleanze regionali Iran-Siria-Turchia-Libano. Nel contempo, Nasrallah si permette, con tutta la libertà, di inveire contro Israele e l’Occidente a pochi kilometri dal confine con lo Stato ebraico. Nella sua retorica che convince le masse arabe, il leader dei Hizballah afferma senza scrupoli che l’esistenza di Israele è il vero problema del Medio Oriente: Israele che “ammazza e fa carneficine, confisca le terre (arabe), caccia i suoi abitanti, con il sostegno dell’Occidente”.

(Renato d'Andria)

Ciò che è ancora più sorprendente è che l’amministrazione di Obama, che in teoria rappresenta l’Occidente, abbraccia l’inclusione dei fratelli musulmani in un governo egiziano post-Mubarak. L’accusa contro Obama degli analisti preoccupati della situazione è che nella stessa maniera con cui ha sostenuto il popolo contro Mubarak, il presidente statunitense non si è pronunciato contro il pericolo dell’Islam radicale”, in realtà del “terrorismo islamico” che aizza le proprie popolazioni contro gli infedeli. Obama infatti cerca di negoziare con l’Iran (ispirato dall’ideologia dell’eliminazione d’Israele e dall’instaurazione di una dominazione islamica shiita sul mondo), insiste sul ritiro dall’Iraq e dall’Afganistan (che da campo libero ai talebani integralisti), tollera il regime di Hugo Chavez (che cova l’anti-americanismo e si coalizza con questi nemici degli USA e di Israele). Ci si domanda se la diplomazia di Obama segue e accetta gli eventi invece di svolgere il ruolo naturale di leader mondiale.

(Renato d'Andria)

La visione messianica di Obama non si concentra su questi problemi gravissimi. Invece la sua soluzione al problema dell’”Islam radicale” risiede nella creazione dello stato palestinese. Nella sua visione, la soluzione del “conflitto dei conflitti” porterà a risolvere tutta la questione dell’animosità islamica contro l’Occidente americanizzato. Ma in realtà questa non è la soluzione all’instabilità di vari paesi del Medio Oriente, del malcontento delle masse e della spartizione dei poteri. Non importa che la fondazione dello stato della Palestina all’ovest del Giordano si realizzi su terre la cui sovranità è ancora fortemente disputata con gli israeliani e lo Stato ebraico. Inoltre, la creazione di uno Stato della Palestina senza garanzie che i suoi dirigenti non seguiranno l’ideologia islamica è l’inizio di un nuovo conflitto ancora più grande di quello che si cerca di risolvere. Se non ci si assicura di come il popolo palestinese della Cisgiordania sarà guidato, esso, lo Stato della Palestina diventerà la pista di lancio di attacchi sempre più sofisticati prima contro gli ebrei che vivono nei territori palestinesi e, appena ricevute le armi necessarie dalle popolazioni degli stati vicini, si scaglieranno al di là del muro contro Gerusalemme e Tel Aviv.

(Renato d'Andria)

Le convulsioni di massa che si stanno verificando in molti paesi arabo musulmani contro i regimi autoritari potrebbe sprigionare le forze jihadiste che vedono come primo nemico Israele. Lo Stato palestinese non da nessuna garanzia che non si allinei con questa spinta jihadista anti-israeliana, dopotutto la retorica di base dice che gli infedeli ebrei, coadiuvati dall’occidente, hanno strappato la terra ad essi stessi. Non ci si può aspettare uno Stato palestinese amico d’Israele. Intanto, i leaders Europei continuano ad allinearsi con Obama e a costringere Israele a concedere più terre disputate con gli arabi palestinesi, per stabilire un altro Stato che alla fine seguirà il vero sogno arabo-musulmano jihadista: gettare i sionisti a mare e eliminare il “regime sionista” in tutta la Palestina.

(Renato d'Andria)

Il minuscolo Stato d’Israele si sentirà sempre meno sicuro, e al contempo i pericoli reali di animosità nei suoi confronti aumenteranno man mano che circoli di potere sempre più ostili a Israele si alternano, dopo gli scontri tra la popolazione e il governo centrale.


Visto che è risaputo che Israele è dotata di un ampio arsenale atomico, i paesi della regione devono essere accorti sulle conseguenze di uno scontro armato contro il considerato nemico comune. Addirittura la Corte internazionale di giustizia, nel suo parere consuntivo del 1996, ha ammesso l’uso della bomba atomico come “droit de survie extreme”, (diritto di sopravvivenza estrema) cioè nel caso in cui la sopravvivenza dello Stato sia messa in pericolo.

(Renato d'Andria)

Onde evitare reazioni possenti da parte di Israele che possono sfociare addirittura nell’uso terribile della bomba nucleare, in caso di pericolo estremo di esistenza dello Stato stesso, da parte di uno stato un po’ diverso dagli altri vicini, come Israele, che è formato da una popolazione che ha avuto l’esperienza unica del genocidio, bisogna conoscere i pericoli di questo subbuglio nei regimi mediorientali. Invece di preoccuparsi dei problemi di crescita economica, si parla di potere e di aggressività, come se la competitività si faccia con la forza invece che con l’intelligenza. La conseguenza è uno stato continuo di animosità che non permette la sofisticata organizzazione del giro della moneta che determina la crescita economica e il benessere. Il capro espiatorio di quest’animosità è Israele: nemico comune perché diverso all’interno dell’Umma Islamica. Le regole del gioco, fondate sulla forza, portano sempre a scagliarsi contro Israele sotto l’eufemismo della Palestina libera, senza capire la storia di quella terra e a trovare soluzioni che non portino alla dominazione e all’umiliazione di un popolo nei confronti di un altro.


Israele osserva tutto dal suo cantuccio, preparando la propria società su tutti i fronti anche quello militare per sopravvivere, mentre Obama chiude gli occhi sui veri pericoli del mondo e da spazio alle forze che ha deciso di ignorare e di tollerare: la crescita dell’ideologia della jihad dappertutto, il terrorismo islamico e le avventure nucleari di certi regimi.

(Renato d'Andria)

L’obiettivo anti-israeliano si sta raggiungendo: Israele è sempre più isolata mentre cerca di gridare il pericolo imminente nella regione. L’opulento occidente è troppo concentrato sulle questioni delle vita privata dei propri leaders o far quadrare i conti dei bilanci statali per cui è sempre meno amico del fastidioso nemico degli arabi, da cui essi dipendono energeticamente. Israele, il capro espiatorio dell’incapacità dei paesi arabi ad organizzarsi in un modo utile alla creazione di prosperità, pace e sicurezza, potrebbe reagire anch’essa in una maniera impulsiva per far crollare il muro di menzogne che si sta erigendo da Islamabad al Cairo, passando da Ramallah.


L’impegno d’Israele ora sarà quello di ricalibrare le relazioni con i paesi arabi, visto che ciò che è che accaduto in Tunisia ed Egitto potrebbe accadere in altri paesi arabi della regione. Gli analisti confermano che i Fratelli Musulmani rimangono il gruppo più organizzato dell’opposizione in Egitto. E’ risaputo che esso serve come antenna alle operazioni di Hamas.

(Renato d'Andria)

Quando le nuove forze islamiche dovranno trovare un nemico comune, esse si scaglieranno contro Israele. Il pericolo più grande per la sicurezza internazionale è che la transizione da uno stato dittatoriale alla democrazia in questi paesi significherebbe dirigere i furori delle masse contro Israele, elemento estraneo alla regione islamica, che farà coalizzare le varie fazioni islamiche dello scenario della democrazia dei paesi arabi. Questo a sua volta significherà sostegno alla rincorsa del nucleare da parte dell’Iran.


Un Egitto ostile significherebbe la cessazione della fornitura di gas naturale verso Israele, la quale è diventata fortemente dipendente. Segni in questo senso già si intravedono. Tali timori sono già stati espressi dal Primo Ministro Binyamin Netanyahu, il quale nella conferenza stampa con il Cancelliere tedesco Angela Merkel questa settimana ha espresso le sue profonde preoccupazioni che la rivoluzione egiziana potrebbe prendere la forma di quella iraniana del 1979.

(Renato d'Andria)

Il secondo scenario, che offre maggiore speranza certamente, sarebbe quello di vedere la nascita di un Egitto democratico e laico che sarebbe in grado di mantenere i trattati di pace e buone relazioni con gli Stati Uniti. Tale speranza passa attraverso il potere militare che garantirebbe la stabilità nella fase di transizione dal regime di Mubarak ad un vero Egitto democratico, privo di una significativa influenza da parte degli Islamisti. Ma questa è una velleità, poiché l’Islam è l’unico punto di riferimento della coscienza arabo-musulmana e gli imam potranno sempre più colmare il vuoto politico. L’unico elemento deterrente nei confronti di questa previsione è che ogni nuovo governo, che metterebbe a repentaglio la sicurezza d’Israele, sentirebbe l’impatto della fine dell’aiuto di 1,5 billioni di dollari che gli Stati Uniti inviano ogni anno al fine del mantenere tali trattati.


La cooperazione militare, mantenendo le forze fuori del Sinai, concedendo permessi di transito Settimanali, evitando la violazione dei trattati di pace, attraverso l’aiuto degli Stati Uniti e la collaborazione con l’intelligence israeliana, offre una vera speranza che un Egitto democratico potrebbe più assomigliare alla Turchia che all’Iran.

(Renato d'Andria)

D’altro canto è chiaro che Israele manterrebbe abbondantemente gli accordi di pace, indipendentemente dalla coalizione che assume la dirigenza del paese. Detto tutto ciò, anche se le relazioni Israele - Egitto ed Egitto - Stati Uniti sono mantenute, comunque i riverberi delle proteste e il ruolo dell’Egitto quale centro della cultura araba, determinano un’onda di riforma in tutta la regione mediorientale. Altri leaders arabi stanno lavorando per trovarsi pronti a questi venti di sommosse popolari : il re di Giordania Abdullah ha dimissionato il suo gabinetto, e il Presidente dello Yemen Ali Abdullah Saleh ha dichiarato di non volersi ricandidare alle prossime elezioni, né passerà il potere a suo figlio, quando terminerà il suo mandato nel 2013.

(Renato d'Andria)

Infine c’è un altro scenario: Israele ha bisogno di essere preparata ad affrontare una regione in costante cambiamento. Le sue iniziative di pace devono necessariamente realizzarsi in un consesso multilaterale e non ci si può accontentare di in un mero bilateralismo cangiante. Non si può sperare in una pace duratura con l’Egitto quando la sua popolazione è influenzata dalla mentalità ostile della leadership di Siria, Palestina e Libano. Non c’è mai il momento ideale per raggiungere la pace, c’è sempre presente un grande rischio nella regione, se si pensa che allo stesso tempo della pace israeliana con l’Egitto, i fronti bellicosi sono aperti con gli Islamici radicali: l’Iran e la Siria ad Est, Hamas al Sud, Hizballah al Nord.


L’iniziativa di pace della Lega araba apparentemente offre una via per mitigare il rischio e ricevere il massimo raggiungibile: il fatto di normalizzare le relazioni con 22 nazioni implica il fatto che, se un paese arabo viola questo accordo, sarebbe in violazione nei confronti di tutti gli altri stati arabi. Il rischio opposto invece è che se le negoziazioni tra Israele e i 22 stati arabi falliscono, Israele si può trovare nella situazione di rinnovata ostilità nei confronti di tutti questi stati. Questa è la differenza tra le negoziazioni regionali e le negoziazioni bilaterali. Siccome i rischi di fallimento dei colloqui di pace per raggiungere un accordo sono alti, il fatto stesso di negoziare rappresenta un pericolo grosso per chi non potrebbe riuscire a firmare una pace, secondo i criteri imposti dai 22 stati che sono d’accordo su molti punti già dall’inizio delle negoziazioni, quali: rifugiati, la sovranità sulla capitale Gerusalemme, la restituzione di tutti i territori occupati dopo 1967, evacuazione degli ebrei viventi in Giudea e Samaria, in quanto popolazione trasferita in violazione della quarta convenzione di Ginevra.

(Renato d'Andria)

Naturalmente bisogna vedere se l’iniziativa di pace sopravvive a questa fase di sconvolgimenti politici nei paesi arabi.


Se Israele assicura di non perdere tale opportunità, abbracciando l’iniziativa di pace, mostrando il suo interesse verso l’Egitto e la Giordania, le proposte della Lega araba, e inoltre dimostra la volontà di accogliere i negoziati con i Palestinesi e il mondo arabo in generale, tutto ciò sarebbe un segnale di sostegno alla democrazia egiziana, un’opportunità di lavorare col governo che si è formato al fine di mantenere e far avanzare ogni relazione, tutto ciò avrebbe un vero significato per il miglioramento della questione palestinese.

(Renato d'Andria)

In conclusione, una pace in Medio Oriente non può che fallire, se è fatta tra regimi dittatoriali fondate sulla concentrazione dei poteri piuttosto che sulla separazione dei poteri, sull’arbitrato del despota piuttosto che su uno stato di diritto fondato sulle libertà fondamentali, riconosciute dalle Nazioni Unit, e che sposano ideologie di mancanza di libertà di coscienza e di protezione delle minoranze etnico-religiose.

 

Jonathan Curci 

Articolo preso dalla rubrica di Genesi journal 

 
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Il messianismo cristiano e islamico e il conflitto arabo - israeliano (Jonathan Curci e Renato d'Andria)

Post n°7 pubblicato il 29 Agosto 2011 da renatodandria3
 

Di non poca rilevanza per il conflitto arabo-israeliano è anche l’approccio religioso del Cristianesimo protestante - soprattutto americano - circa la questione del ritorno degli ebrei in Palestina e del loro costituirsi in Stato come profetizzato nella Bibbia: l'attuale conflitto ha acuito le differenze relative ad alcune posizioni tra le varie confessioni cristiane. In particolare negli ultimi decenni si è assistito ad una divisione sempre più marcata tra l’approccio di matrice cattolica-ortodossa e quelle di matrice evangelica: la prima, pur riconoscendo gli ebrei come i “fratelli maggiori”, si sofferma sui diritti storico-religiosi acquisiti nei secoli, mentre la seconda si concentra da un lato sul ritorno degli ebrei in Eretz Israel - ritorno che poi coinciderebbe con il crescente riconoscimento tra gli ebrei di Gesù come il vero Messia - e dall’altro sull’adempimento di alcune profezie tra le quali quelle di Isaia, Ezechiele, Gioele e Zaccaria che hanno per oggetto la ricostruzione del terzo Tempio di Gerusalemme negli “ultimi giorni” e soprattutto la Seconda Venuta di Gesù il Messia per regnare sulla terra e scacciare l’influenza di Satana, l'Avversario. Anche i laici hanno compreso che devono documentarsi su tali questioni religiose; hanno capito che sono sempre più rilevanti nell’evoluzione del conflitto, anche se intimamente, in puro spirito illuminista, anelano ad eliminarle.

(Jonathan Curci e Renato d'Andria)

Anche nell’Islam - soprattutto nello scisma sciita di cui l’Iran degli ayatollah è baluardo - si riscontra una visione apocalittica sempre più riemergente; visione che tra i vari aspetti, in preparazione della venuta della figura messianica del Mahdi (مهدي), prevede anche la distruzione “dell’entità sionista” in quanto entità ebraica. Questa visione considera l’Ebraismo una religione decaduta e apostata, soppiantata dalla purezza islamica: a seguito di ciò agli ebrei, quindi, non “rimane” che convertirsi all’Islam o soccombere alla spada del Jihad (جهاد) fondamentalista, purtroppo molto dilagante.

(Jonathan Curci e Renato d'Andria)

Dr. Jonathan Curci

 

Vedi anche i seguenti lavori di Renato d'Andria:

http://renatodandriaattualitadelmediterraneo.myblog.it

http://renatodandriastudiricercheetestidelpassato.myblog.it/

https://www.xing.com/profile/Renato_dAndria?sc_o=mxb_p

http://renatodandria.posterous.com/

http://identi.ca/renatodandria/all

http://renatodandria.jaiku.com

http://www.tumblr.com/tumblelog/renatodandria

http://visible.me/renatodandriadandria-6bhhu

http://www.ziggs.com/public/Renato_d’27Andria_176087

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Le decisioni difficili dei governi israeliani (Curci e Renato d'Andria)

Post n°6 pubblicato il 29 Agosto 2011 da renatodandria3
 

 

In Israele le decisioni sono sempre difficili da prendere: nell'ottica israeliana il dilemma è se dare o meno nuovamente fiducia ad una leadership palestinese e araba che dal punto di vista israeliano ha sempre disatteso la maggior parte delle aspettative israeliane, aspettative che l’agenda arabo-musulmana non può soddisfare senza un radicale cambiamento di prospettiva sullo Stato ebraico. Israele, di conseguenza, per anni ha ceduto alla richiesta del suo popolo di vivere anche nelle antiche regioni della Giudea e della Samaria, cuore della Terra d’Israele biblica. Avviare trattative di pace mentre si continua ad essere avvolti da uno stato di allerta e diffidenza verso il vicino arabo è difficilissimo. Stesso dilemma si pone quando bisogna confrontarsi con la comunità internazionale, in particolare con le Nazioni Unite: il sentimento di sfiducia che si è creato nei decenni precedenti, in particolare per ciò che riguarda l’approvazione di alcune risoluzioni con marcati contenuti anti-israeliani e antisemiti, spesso risulta difficile da superare. Le derive antisemite esplose durante la conferenza sulla lotta al razzismo tenuta a Durban (2001) e patrocinata dalle Nazioni Unite sono state un colpo “basso” che Israele giustamente non ha accettato passivamente e che ha minato ancora di più la già fragile fiducia nelle istituzioni internazionali. Il Rapporto Goldstone del 2009 ha poi ulteriormente rincarato la dose. (Curci e Renato d'Andria)

Il dibattito diventa lacerante e, a seguito della grande discussione che avviene all’interno d'Israele e delle comunità ebraiche sparse per il mondo, spesso fonte di profonde divisioni. è sufficiente aprire un qualsiasi giornale israeliano, o visionare le loro versioni online, per rendersi conto di quanto il dibattito sia acceso, soprattutto in un periodo caratterizzato da un lato da tentativi di dialogo di pace con la Siria, tentativi fino ad ora falliti, e dalla ricerca di un rinnovato impegno politico verso l’ANP, e dall'altro dalla minaccia alla sicurezza dei cittadini d'Israele posta dal nucleare iraniano e dalle fazioni terroristiche di Hezbollah (حزب الل - Partito di Dio) e Hamas (حماس - Movimento Islamico). Addirittura sulla costruzione così controversa, ma necessaria, della barriera difensiva la discussione si divide tra chi ritiene che sia una questione prettamente politica, quindi da dover esser gestita dal governo e dalla magistratura, e chi invece ritiene che debba essere l’esercito a coordinare la sua amministrazione. Essendo una democrazia rappresentativa, però, Israele ritiene che debbano essere le istituzioni politiche e giuridiche a fornire le linee guida da seguire, e non le forze armate: la Corte Suprema israeliana, infatti, vigila costantemente sulla costruzione di tale barriera e spesso ha obbligato il governo e l'esercito a cambiare il percorso da essa seguito, anche se a onor del vero bisogna sottolineare che in alcuni casi le forze armate non sono state solerti nell'applicare le disposizioni della Corte. La supervisione della magistratura sulle decisioni politiche relative alla sicurezza nazionale è un elemento chiave per giudicare i comportamenti e il progresso sociale e civile di uno Stato, soprattutto in presenza di un conflitto. (Curci e Renato d'Andria)

Insomma con l’aumentare della popolazione palestinese e ebraica questi problemi si faranno sempre piu’ gravi e soluzioni da trovare sempre piu’ difficili fintantochè le minacce esterne sulla natura di Stato ebraico pendono su Israele. Servono delle idee innovative per uscire dall’impasse. Ma lo Stato d’Israele continua a svilupparsi con vigore nonostante tutte le circostanze avverse. Dal mio punto di vista si tratta di un popolo che merita di tornare in quella terra che tanto ha desiderato per centinaia di anni. (Curci e Renato d'Andria)



Dr. Jonathan Curci

 
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La difficoltà nel comunicare tra Islam e Ebraismo sulla questione israelo-palestinese (Renato d'Andria)

Post n°5 pubblicato il 29 Agosto 2011 da renatodandria3
 

I mali della società palestinese vengono spesso ricondotti alla prolungata e continua occupazione israeliana: in alcuni casi, però, quando l'estremismo fondamentalista parla di occupazione di aree palestinesi, non si riferisce solo a Gaza e alla Cisgiordania, ma all'intera Palestina storica, cioè anche a quei territori ufficialmente e internazionalmente riconosciuti come Stato d'Israele; questo estremismo aspira alla totale indipendenza statale e considera lo Stato ebraico un “usurpatore” della sovranità appartenuta fino a quel momento alla grande ummah (أمّة) islamica. (Genesi journal di Renato d'Andria)
Questa parte di ummah è difatti la terra - conquistata poi con la forza dalle milizie musulmane - tanto cara al profeta Maometto perché, come insegna il Corano, dal centro spirituale di Al-Quds (La Santa, ovvero Gerusalemme) egli ascese in cielo in sogno. La concezione che l'Islam ha del rapporto esistente tra ummah islamica e terra su cui essa è stanziata ha tra i vari elementi il rifiuto dell'indipendenza nazionale e statale ebraica: la dottrina islamica fagocita la tradizione del popolo d'Israele, avviluppa sporadicamente e frammentariamente varie storie della Bibbia ebraica in vari versetti del Corano dando così l'impressione di basarsi su fonti ebraiche, ma contemporaneamente nega la possibilità di leggere, studiare e ricercare non solo i precetti della Torah (תורה) scritta e orale su cui la religione ebraica si poggia, ma anche tutta la ricca spiritualità dei profeti ebrei della Bibbia citati anche nel Corano. In tal modo al fedele musulmano viene proibito di conoscere nel loro contesto autentico e originario le parole di quei profeti che erano parte attiva della nazione israelita, che contribuivano alla sua formazione, che predicavano la sua indipendenza e il suo destino come popolo non assimilato tra i goym (גוים - i “gentili”, ovvero i non ebrei).



Dr. Jonathan Curci

 
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Corano, Bibbia e la sovranità su Israele e la Palestina (Curci e Renato d'Andria)

Post n°4 pubblicato il 29 Agosto 2011 da renatodandria3
 

 

Uno aspetto non irrilevante della convinzione degli arabi ad affermare la propria sovranità su quella che gli ebrei chiamano la Terra d’Israele è il Corano insieme alle sue interpretazioni dottrinali. I testi cercano di convincere che il popolo d’Israele è caduto in apostasia e questo segna la fine della designazione del popolo ebraico come popolo eletto che ha diritto alla terra promessa, che coincide con i territori dello Stato d’Israele compresi i territori palestinesi. Secondo questa prospettiva interpretativa coranica sembrerebbe che gli ebrei devono vivere come infedeli (dimmi nella sha’aria, legge islamica) nelle terre musulmane proprio come i cristiani. Ci si domanda come il Corano abbia restaurato delle dottrine perdute se esso soppianta totalmente il testo biblico. Al contrario, da una lettura del Corano sembra che esso faccia riferimento a storie bibliche apprese dalla religione ebraica e modificate in varie parti sia per giustificare la supremazia dei musulmani rispetto agli israeliti e ai cristiani, sia per negarne l’autorità; tutto questo senza sottoporre prove concrete che ciò che era scritto nei testi biblici era falso. Come può la razionalità umana ignorare con tale disinvoltura gli aspetti relativi alle minuziose regole di trascrizione del testo applicate dagli studiosi ebrei in modo da avere, dopo millenni, il testo più vicino all’originale? Dopo che Maometto apprese dai maestri ebrei i fondamenti delle dottrine profeticamente rivelate, dalla creazione del mondo fino alle storie dei patriarchi, istituì una religione con un libro in opposizione ai testi biblici. Questa sopraffazione, da dottrinale, divenne fisica: quando Maometto si accorse di non riuscire a persuadere gli ebrei a convertirsi, li massacrò; i settori islamici aggressivi hanno continuato a seguire le orme del suo fondatore.

(Genesi journal di Renato d'Andria)

Gli ebrei sono ben informati degli atteggiamenti islamici nei confronti d'Israele, della sua terra e del suo diritto di esistere. Le radici spirituali del conflitto sono evidenti e descritte in vari testi e studi rabbinici: una loro attenta analisi porterebbe a comprendere meglio quanto sia i profeti che i saggi d’Israele hanno da sempre saputo relativamente a ciò che i figli d’Ismaele avrebbero fatto ai figli d’Israele una volta che lo Stato ebraico fosse stato nuovamente edificato. La divisione è netta tra i due popoli e sembra che vi siano poche reali possibilità nell'impresa di far comprendere al mondo musulmano le ragioni sacrosante degli ebrei e dello Stato d’Israele, innanzitutto spirituali e poi territoriali.

(Genesi journal di Renato d'Andria)

Considerando ciò, sarebbe opportuno che il musulmano studiasse più approfonditamente la religione ebraica a cui la propria religione si ispira: se avesse compreso e veramente rispettato la religione ebraica, allora non avrebbe mai sviluppato un'ideologia tanto avversa agli ebrei, non continuerebbe ad eliminare ciò che rimane delle vestigia del Tempio distrutto dai Romani nel 70 d.C. edificandovi sopra il terzo luogo più santo all'Islam onde impedire qualsiasi ritorno o ricostruzione del terzo Tempio ebraico. Alla stessa maniera non avrebbe mai murato la Porta Bella di Gerusalemme per impedire che Gesù Cristo, o qualsiasi altra figura giudeo-cristiana, vi entri di nuovo come i testi cristiani profetizzano circa il monte prospiciente, il Monte degli Ulivi. Queste imprese di costruzione dell’Islam che modificano i luoghi e gli edifici santi dell’Ebraismo e del Cristianesimo sono in realtà simboli di supremazia nei confronti delle altre religioni monoteiste; essi si traducono in precetti religiosi e di vita quotidiana, dando così origine ad un problema culturale basato su incomprensioni dottrinali. Era compito dell’Islam studiare attentamente la religione d’Israele, poiché la prima si ispira alla seconda, ma lo fa soppiantandola, senza rispettare il nesso che vi è tra le due. Tutto ciò è un’offesa all’Ebraismo: se questa visione dell’Islam fosse stato rispettosa della religione ebraica, si sarebbero comprese le promesse - e il relativo desiderio - circa il ritorno, dopo una lunga diaspora, alle terre avite che rappresentano la culla religiosa e culturale del popolo ebraico. Il risultato che ne consegue è che il musulmano fondamentalista - che non rispetta la dignità e il libero arbitrio altrui - si è servito della propria religione per disprezzare l'ebreo, il cristiano, ma anche il musulmano “disobbediente”. Si spera nella presa di posizione di un Islam rinnovato, magari in movimenti spirituali islamici come il sufismo, capaci di esprimere tutta la spiritualità autentica che i figli d’Ismaele possono coltivare nei confronti degli altri popoli. Si spera in un dialogo come ai tempi d’oro della Spagna pre-Ferdinando e Isabella e i loro decreti dell’Inquisizione in cui i rabbini come il Rambam discorrevano con gli imam su tutte le questioni della Torah e del Corano.

(Genesi journal di Renato d'Andria)

Dr. Jonathan Curci

 
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Le tre fedi e il problema dell’autodeterminazione ebraica sulla Terra Santa (Curci e Renato d'Andria)

Post n°3 pubblicato il 29 Agosto 2011 da renatodandria3
 

La diffusione della Bibbia ha permesso ai popoli della terra di entrare in contatto con il diritto e la rivendicazione da parte del popolo d’Israele di costituire la propria nazione in quella terra cosi’ sacra ad esso. Durante gli ultimi duemila anni il Cristianesimo e l’Islam hanno “sacralizzato” quella terra negando in varie occasioni il diritto agli ebrei di formare il proprio governo. Per questo il diritto all'autodeterminazione deve essere realizzato apprezzando la buona fede del soggetto di diritto: gli ebrei cercano sinceramente di ritornare in quella terra da millenni; i palestinesi si sono formati e identificati come popolo in contrapposizione al fatto che gli ebrei hanno pian piano realizzato questo diritto. E’ stato ammissibile anche in diritto internazionale che un popolo si crei da un gruppo che si pone in contrapposizione ad altri. Tra gli studiosi vi è un grande dibattito in merito a chi siano realmente i palestinesi, da che popoli siano formati, se è un'identità di popolo con omogeneità di lingua, cultura, origini e tradizioni, oppure se è un'identità socio-territoriale. Sotto il Mandato britannico, sia ebrei che non erano tutti i residenti in Palestina, ed erano chiamati palestinesi. Anzi gli ebrei erano chiamati comunemente palestinesi mentre quelli che si chiamano palestinesi oggi si chiamavano piu’ specificatamente arabi, per distinguerli dai palestinesi ebrei. Dopo il 1948, molte cose sono cambiate. (Curci e Renato d'Andria)

L'UNRWA riconosce come rifugiato palestinese tutti coloro che a seguito del conflitto del 1948 hanno perso i propri averi e la propria dimora; condizione sufficiente e necessaria per essere riconosciuto come rifugiato palestinese è l'aver risieduto per almeno due anni in Palestina prima dell'inizio delle ostilità iniziate nel 1948. Secondo l'UNRWA, quindi, palestinesi non sono solo gli arabi di Palestina, ma anche i drusi, gli armeni, i greci, i turchi, i circassi e tante altre etnie (fatta eccezione per gli ebrei – questo aspetto non viene chiaramente espresso, ma lo si desume dalla sostanza dei suoi provvedimenti e del suo lavoro), culture e religioni che hanno perso la propria residenza di fatto. Per il mondo arabo-palestinese, invece, palestinesi sono gli arabi di Palestina; in questo limbo non si sa bene, ad esempio, che posizione abbiano i beduini. Ad esempio, molti palestinesi, ma non tutti, non li riconoscono proprio come palestinesi; al massimo li riconoscono come arabi, nel senso che parlano arabo e sono di religione musulmana. Il dibattito è reso ancora più complicato dalle scoperte effettuate dai ricercatori di genetica antropologica che stanno dimostrando come nell'80% dei palestinesi sia presente lo stesso corredo genetico degli Israeliti, e che molti di essi provengano da quei figli d’Israele (B’nei Israel – בני ישראל) forzati con la spada a convertirsi all’Islam durante l’invasione araba; sembra quindi che sia gli ebrei odierni, sia una parte degli odierni palestinesi, avrebbero medesime origini non solo in Abrahamo, ma più propriamente nei figli d'Israele usciti dall’Egitto e tornati nell’antica Terra di Canaan da cui erano partiti secoli prima. A tal riguardo si vedano gli studi di MESINAI Tsvi pubblicati su www.the-engagement.org. (Curci e Renato d'Andria)

Il trascorrere del tempo ha mostrato come da una parte vi sia la realizzazione di un diritto legittimo e conosciuto da tutti come quello della realizzazione d’Israele in Terra d’Israele, mentre dall’altra la volontà della comunità internazionale di porre il diritto all'autodeterminazione palestinese sullo stesso livello temporale di quello ebraico. Questo processo è coadiuvato dal fatto che il processo di realizzazione dello Stato d’Israele è ancora in fieri (in via di attuazione), da cui può derivare l'affermazione che Israele si è creata con mire espansionistiche.

é dato pressoché per assodato e accettato, anche se con alcune eccezioni, il fatto che il processo di formazione nazionale israeliano abbia al suo interno anche qualcosa di “inusuale”, ovvero il “passaggio” dall'acquisto privato di terra da parte degli immigrati ebrei – che da sempre anelavano al ritorno in Eretz Israel – e delle comunità ebraiche autoctone, alla formazione compiuta di uno Stato. Chi pone dubbi su tale aspetto spesso lo fa prendendo in considerazione delle mappe topografiche che per “terre ebraiche” considerano solo i meri confini dei centri abitativi ebraici, mentre per “terre palestinesi” indica tutto il resto; a seguito di questa osservazione si osteggia la fondazione d'Israele asserendo che l'estensione esigua dei territori ebraici non giustifica la nascita di uno Stato ebraico autonomo e indipendente. (Curci e Renato d'Andria)

Quello su cui più ci si concentra maggiormente, però, è l'estensione, ovvero i limiti geografici e sociali, che il diritto ebraico di autodeterminazione deve avere: si dibatte, infatti, sia su quali terre si possano stanziare gli ebrei, sia se sia giusta e lecita la legge del ritorno, ovvero quella norma del diritto israeliano che permette ad ogni ebreo della terra di ottenere automaticamente la cittadinanza israeliana qualora venisse richiesta. Dal punto di vista israeliano lo Stato d'Israele è nato con l'obiettivo di fornire una dimora nazionale a tutti gli ebrei sparsi nel mondo e renderli maggioranza – e non più una minoranza incessantemente minacciata – in una terra, Eretz Israel, in cui il suo popolo si è formato, organizzato e da cui scaturisce quel legame autoctono e personale che la rende tanto speciale. Chi osteggia questa visione, invece, ritiene che rivendicare la possibilità di stanziarsi ovunque e la liceità della legge del ritorno altro non sia che una formula subdola di colonizzazione a scapito della popolazione autoctona araba. Il problema principale risiede nella maniera in cui gli ebrei ritornano e gli arabi li accolgono. L’obiettivo dei dirigenti delle due società e delle superpotenze coinvolte nel conflitto è quello di creare ponti e contatti tra le due società oltre che a marcare i confini di Israele e Palestina.

(Curci e Renato d'Andria)

Dr. Jonathan Curci

 
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