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IcarusTorino 01 febbraio

Pioggia 

 

In un piccolo giardino

ci sono due alberi esili;

l’acqua ne fa

una parodia della campagna –

entrando fra i rami

che non hanno misteri;

innaffiando radici

dalla linfa malata;

correndo tra il fogliame

che legato con fili

pende dalle finestre

prosaico e malinconico;

e lavando piante malaticce

che un’attenta massaia

aveva disposto nei vasi

l’una accanto all’altra.

 

Pioggia, che i bambini

guardano divertiti

dentro una stanza calda,

e quanto più l’acqua aumenta

e quanto più cade fitta,

tanto più battono le mani saltando.

Pioggia, che i vecchi ascoltano

con cupa rassegnazione,

con tedio e insofferenza;

perché per istinto

hanno a sdegno le ombre

e la terra bagnata.

 

Pioggia, pioggia – la pioggia

continua a cadere a dirotto.

Ma ora non riesco più a vedere.

Tutta quest’acqua ha annebbiato il vetro della finestra.

Sulla sua superficie

scorrono, scivolano e si distendono

in un continuo saliscendi

gocce di pioggia sparse

sporcano

e appannano il vetro.

E ormai si vede appena

confusamente la strada

e nella brina acquosa s’intravedono

le carrozze e le case.

 

(Konstantinos Kavafis)

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Walking around

 

Sucede que me canso de ser hombre.
Sucede que entro en las sastrerías y en los cines
marchito, impenetrable, como un cisne de fieltro
Navegando en un agua de origen y ceniza.
El olor de las peluquerías me hace llorar a gritos.
Sólo quiero un descanso de piedras o de lana,
sólo quiero no ver establecimientos ni jardines,
ni mercaderías, ni anteojos, ni ascensores.
Sucede que me canso de mis pies y mis uñas
y mi pelo y mi sombra.
Sucede que me canso de ser hombre.
Sin embargo sería delicioso
asustar a un notario con un lirio cortado
o dar muerte a una monja con un golpe de oreja.
Sería bello
ir por las calles con un cuchillo verde
y dando gritos hasta morir de frío
No quiero seguir siendo raíz en las tinieblas,
vacilante, extendido, tiritando de sueño,
hacia abajo, en las tapias mojadas de la tierra,
absorbiendo y pensando, comiendo cada día.
No quiero para mí tantas desgracias.
No quiero continuar de raíz y de tumba,
de subterráneo solo, de bodega con muertos
ateridos, muriéndome de pena.
Por eso el día lunes arde como el petróleo
cuando me ve llegar con mi cara de cárcel,
y aúlla en su transcurso como una rueda herida,
y da pasos de sangre caliente hacia la noche.
Y me empuja a ciertos rincones, a ciertas casas húmedas,
a hospitales donde los huesos salen por la ventana,
a ciertas zapaterías con olor a vinagre,
a calles espantosas como grietas.
Hay pájaros de color de azufre y horribles intestinos
colgando de las puertas de las casas que odio,
hay dentaduras olvidadas en una cafetera,
hay espejos
que debieran haber llorado de vergüenza y espanto,
hay paraguas en todas partes, y venenos, y ombligos.
Yo paseo con calma, con ojos, con zapatos,
con furia, con olvido,
paso, cruzo oficinas y tiendas de ortopedia,
y patios donde hay ropas colgadas de un alambre:
calzoncillos, toallas y camisas que lloran
lentas lágrimas sucias.

 

(Pablo Neruda)

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Le jardin

 

Des milliers et des milliers d’années

ne sauraient suffire

pour dire

La petite seconde d’éternité

 

où tu m’as embrassé

où j’ai t’ai embrassée

un matin dans la lumière de l’hiver

au Parc Montsouris à Paris

a Paris

sur la terre

la terre qui est un astre.

 

(Jacques Prévert)

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Mi alzo con le palpebre infuocate.
La fanciullezza smorta nella barba
cresciuta nel sonno, nella carne
smagrita, si fissa con la luce
fusa nei miei occhi riarsi.
Finisco così nel buio incendio
di una giovinezza frastornata
dall’eternità; così mi brucio, è inutile
– pensando – essere altrimenti, imporre
limiti al disordine: mi trascina
sempre più frusto, con un viso secco
nella sua infanzia, verso un quieto e folle
ordine, il peso del mio giorno perso
in mute ore di gaiezza, in muti
istanti di terrore…

 

(Pierpaolo Pasolini)

 

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Sei comparsa al portone
in un vestito rosso
per dirmi che sei fuoco
che consuma e riaccende.

 

Una spina mi ha punto
delle tue rose rosse
perché succhiassi al dito,
come già tuo, il mio sangue.

 

Percorremmo la strada
che lacera il rigoglio
della selvaggia altura,
ma già da molto tempo
sapevo che soffrendo con temeraria fede,
l’età per vincere non conta.

 

Era di lunedì,
per stringerci le mani
e parlare felici
non si trovò rifugio
che in un giardino triste
della città convulsa.

 

(Giuseppe Ungaretti)

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Il vento che stasera suona attento
– ricorda un forte scotere di lame –
gli strumenti dei fitti alberi e spazza
l’orizzonte di rame
dove strisce di luce si protendono
come aquiloni al cielo che rimbomba
(Nuvole in viaggio, chiari
reami di lassù! D’altri Eldoradi
malchiuse porte!)
e il mare che scaglia a scaglia,
livido, muta colore
lancia a terra una tromba
di schiume intorte;
il vento che nasce e muore
nell’ora che lenta s’annera
suonasse te pure stasera
scordato strumento,
cuore.

 

(Eugenio Montale)

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Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.

Cosí li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla.
Per tutti la morte ha uno sguardo.

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.

 

(Cesare Pavese)

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Tu sei come una terra

che nessuno ha mai detto.

Tu non attendi nulla

se non la parola

che sgorgherà dal fondo

come un frutto tra i rami.

C’è un vento che ti giunge.

Cose secche e rimorte

t’ingombrano e vanno nel vento.

Membra e parole antiche.

Tu tremi nell’estate.

 

(Cesare Pavese)

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