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Kalos_kai_agathos_6

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Devo molto
a quelli che non amo.

Il sollievo con cui accetto
che siano più vicini a un altro.

La gioia di non essere io
il lupo dei loro agnelli.

Mi sento in pace con loro
e in libertà con loro,
e questo l'amore non può darlo,
né riesce a toglierlo.

Non li aspetto
dalla porta alla finestra.
Paziente
quasi come una meridiana,
capisco
ciò che l'amore non capisce,
perdono
ciò che l'amore mai perdonerebbe.

Da un incontro a una lettera
passa non un'eternità,
ma solo qualche giorno o settimana.

I viaggi con loro vanno sempre bene,
i concerti sono ascoltati fino in fondo,
le cattedrali visitate,
i paesaggi nitidi.

E quando ci separano
sette monti e fiumi,
sono monti e fiumi
che trovi sui ogni atlante.

È merito loro
se vivo in tre dimensioni,
in uno spazio non lirico e non retorico,
con un orizzonte vero, perché mobile.

Loro stessi non sanno
quanto portano nelle mani vuote.

W. S.

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"Tu ed io
siamo pari.
Non vale la pena di citare
le offese
i dolori
e i torti reciproci.
Guarda com’è pacifico il mondo.
La notte
ha imposto al cielo
un tributo stellato.
È in ore come questa
che si sorge
e si parla ai secoli,
alla storia,
alla creazione"

 

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"Qualcosa qui non comincia
alla solita ora.
Qualcosa qui non accade
come dovrebbe.
Qui c'era qualcuno, c'era, 
poi d'un tratto è scomparso
e si ostina a non esserci." 

 

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"Se qualcuno mi avesse veduto
nel cuore, vi avrebbe trovato una
struggente tenerezza di quella vita
e i silenzi, gli sguardi, le risate, gli
incontri - un entusiasmo di speranza -
e al centro un vuoto, uno sgomento,
un’angoscia" 

 

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"E se non puoi la vita che desideri
cerca almeno questo
per quanto sta in te: non sciuparla
nel troppo commercio con la gente
con troppe parole in un viavai frenetico.
Non sciuparla portandola in giro
in balìa del quotidiano
gioco balordo degli incontri
e degli inviti,
fino a farne una stucchevole estranea."

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Nulla è cambiato.
Tranne il corso dei fiumi,
la linea dei boschi, del litorale, di deserti e ghiacciai.
Tra questi paesaggi l’anima vaga,
sparisce, ritorna, si avvicina, si allontana,
a se stessa estranea, inafferrabile,
ora certa, ora incerta della propria esistenza,
mentre il corpo c’è
e non trova riparo.

Wislawa Szymborska

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A quel tempo avevo vent’anni
ed ero pazzo.
Avevo perso un paese
ma guadagnato un sogno.
E se avevo quel sogno
il resto non importava.
Né lavorare né pregare
né studiare all’alba
insieme ai cani romantici.
E il sogno viveva nel vuoto del mio spirito.
Una stanza di legno,
in penombra,
in uno dei polmoni dei tropici.
E a volte mi guardavo dentro
e visitavo il sogno: statua immortalata
in pensieri liquidi,
un verme bianco che si contorce
nell’amore.
Un amore sfrenato.
Un sogno dentro un altro sogno.
E l’incubo mi diceva: crescerai.
Ti lascerai alle spalle le immagini del dolore e del labirinto
e dimenticherai.
Ma a quel tempo crescere sarebbe stato un delitto.
Sono qui, dissi, con i cani romantici
e qui resterò.

Roberto Bolaño, I cani romantici.

 

 

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Non è facile dire il cambiamento che operasti.
Se adesso sono viva, allora ero morta
anche se, come una pietra, non me ne curavo
e me ne stavo dov'ero per abitudine.
Tu non ti limitasti a spingermi un po' col piede, no
e a lasciare che rivolgersi il mio piccolo occhio nudo
di nuovo verso il cielo, senza speranza, è ovvio,
di comprendere l'azzurro, o le stelle.
Non fu questo.
Diciamo che ho dormito: un serpente
mascherato da sasso nero tra i sassi neri
nel bianco iato dell'inverno
come i miei vicini, senza trarre alcun piacere
dai milioni di guance perfettamente cesellate
che si posavano a ogni istante per sciogliere
la mia guancia di basalto.
Si mutavano in lacrime,
angeli piangenti su nature spente,
ma non mi convincevano.
Quelle lacrime gelavano.
Ogni testa morta aveva una visiera di ghiaccio.
E io continuavo a dormire come un dito ripiegato.
La prima cosa che vidi fu l'aria, aria trasparente,
e le gocce prigioniere che si levavano in rugiada
limpide come spiriti.
Tutt'intorno giacevano molte
pietre stolide e inespressive.
Io guardavo e non capivo.
Con un brillio di scaglie di mica, mi svolsi
per riversarmi fuori come un liquido
tra le zampe d'uccello e gli steli delle piante.
Non m'ingannai. Ti riconobbi all'istante.
Albero e pietra scintillavano, senz'ombra.
La mia breve lunghezza diventò lucente come vetro.
Comincia a germogliare come un rametto di marzo:
un braccio e una gamba, un braccio, una gamba.
Da pietra a nuvola, e così salii in alto.
Ora assomiglio a una specie di Dio
e fluttuò per l' aria nella mia veste d'anima
pura come una lastra di ghiaccio.
È un dono.

Sylvia Plath

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