L’ho amata perché non c’era alcun motivo per farlo.
Perché non si preoccupava minimamente di piacermi.
Perché fare uno sforzo per compiacere il mondo sembrava non rientrare nelle sue intenzioni.
L’ho amata perché aveva una tristezza nascosta in fondo all’anima.
Dev’essere nata così, anche lei, con quella nostalgia cucita ai polsi.
L’ho amata perché i suoi occhi osservavano tutto,
ma non si legavano a niente.
Perché sapeva di libertà.
Eppure era prigioniera.
Perché sulle sue labbra c’era un po’ di amarezza…
e tanta tenerezza.
Un amore che aveva pianto,
e il desiderio vivo della passione.
L’ho amata perché parlava poco.
Ma quando lo faceva… io volevo ascoltare.
Non ho mai amato le parole che traboccano come acqua.
Lei era nuda anche se completamente vestita.
Pudica nel corpo e nell’anima.
A guardarla bene,
ho subito sospettato che non si amasse granché.
E allora l’ho amata io, al posto suo.
Avevo spazio nel cuore.
C’era, in fondo al suo sguardo,
una cosa antica, smarrita, spaurita.
E io volevo aiutarla a ritrovarla.
Sorrideva poco.
Eppure, era luce.
Mi faceva ridere senza mai provarci.
Non credo che chi cerca di essere divertente mi abbia mai davvero fatto ridere.
Lei sì.
Mi faceva venir voglia di scoppiare a ridere,
perché si prendeva in giro mentre rideva del mondo.
L’ho amata perché era falsamente distante,
fragile, sensibile, aggressiva ribelle e disarmata.
E faceva di tutto per nasconderlo.
L’ho amata perché nessuno se lo aspettava.
E l’ho scritto.
Per dimenticare.
Ma non ci sono mai riuscito.