… non mi è possibile separarmi dalla passacaglia in do minore
senza tentare di condividerne la mia interpretazione personale,
che nel corso degli anni, di studio e di pratica appassionata, ho
elaborato gradatamente lungo un percorso fatto di molti errori,
ripensamenti, rifacimenti, dubbi ed infine giunto ad una
maturazione definitiva, che è quella che considero ormai l’unica
per me vera e soddisfacente. Allo stato attuale della mia
esperienza di musicista non vedo ulteriori possibilità di
evoluzione nella ricerca del significato autentico di questa
composizione, anche perché ho la convinzione di aver intuito
l’origine dell’ispirazione che mosse Bach a scriverla;
affermazione, questa, che potrebbe sembrare pretenziosa, ma che
in realtà non lo è affatto, considerando che un interprete non si
limita a dar vita ad uno spartito: egli, al contrario, lo sceglie
e lo interiorizza in virtù di una sua propria intuizione,
speculare e gemella di quella dell’autore. Si instaura un dialogo
tra i due soggetti, ed è questa collaborazione che rivela la
natura più intima dell’opera d’arte, intesa come comunicazione
fra il primo ed il secondo, che successivamente si amplia, nel
caso della musica, al pubblico degli ascoltatori, cosicché ognuno
ne sia partecipe e nessuno ne resti escluso. Ovviamente il
livello di utenza non è lo stesso per tutti; chi ascolta la
passacaglia per la prima volta difficilmente potrà coglierne
tutta la complessità strutturale, mentre chi la conosce già da
molto tempo sarà più incline a considerarne le soluzioni tecniche
adottate da Bach in punti specifici; in ogni caso, però, resta
comune a tutti, penso, il desiderio di non abbandonarla e, anzi,
di farne oggetto di studio e contemplazione, essendo una
inesauribile fonte di bellezza e arricchimento spirituale. Ora,
la mia ricerca è iniziata col porre a me stesso un quesito ben
preciso: per quale motivo un autore come Bach abbia scelto di
scrivere un brano per organo utilizzando la forma musicale della
passacaglia, che in passato era una danza, cioè musica da ballo,
dall’andamento solenne e grave; certamente alla base della
passacaglia c’è un concetto chiaramente definito, vale a dire
l’esposizione di un tema che può essere utilizzato sia come linea
di basso sia come linea di canto, cioè come melodia.
L’elaborazione di un tema in mille varianti è caratteristica
saliente dell’opera di Bach, autore eccelso nel trattare la fuga,
la più complessa ed articolata delle forme musicali di tutti i
tempi, e quindi non c’è nulla di strano nel fatto che la
struttura concettuale della passacaglia abbia costituito motivo
di interesse per il suo genio artistico; ma oltre all’aspetto
strettamente tecnico e compositivo, a mio avviso, è possibile
ipotizzare un’altra ragione per la quale l’autore ha operato la
sua scelta, e questa è la possibilità di esprimere un sentimento,
di dar sfogo ad uno stato d’animo. Il tema fondamentale, esposto
all’inizio del brano ed affidato ai registri di pedaliera, è
composto da una frase di quindici note; questa ritorna poi nel
corso di tutta la composizione sia al canto sia nelle voci
mediane, ripresa più volte o come esposta in origine o con
varianti. Essa serve a marcare un incedere lento e grave, solenne
ed austero, ma soprattutto permette all’autore di imporre
all’esecutore un ritmo molto stringente, il quale lo vincola non
solo nei suoi movimenti fisici, ma anche e primariamente nel suo
pensare e nel suo respirare. Questa è, per il mio sentire, la
chiave di volta e di lettura di tutta la composizione: bisogna
adeguare i movimenti ed il respiro, nel caso dell’esecutore, o il
respiro ed il pensiero, nel caso dell’ascoltatore, secondo i
tempi stabiliti dall’autore; ecco il primo degli elementi messi a
disposizione per ricostruire il senso del pezzo. Bach fa
chiaramente capire di voler comunicare qualcosa e ci dispone
nella condizione migliore per accogliere il suo contenuto
artistico, in pratica ci mette sull’attenti come soldati in
attesa di ordini davanti ad un ufficiale, facendo leva sulla più
vitale delle funzioni di un essere umano: il respiro. Respirando
secondo il tempo dato dalla successione delle note del tema, in
breve ci si rende conto di quanto sia facile ritrovarsi in preda
all’affanno; non potendo respirare secondo le necessità di
ossigeno del momento, l’organismo reagisce con un segnale di
allarme, che allerta la coscienza. E in questo varco si insinua
la passacaglia con il suo portato artistico: dopo aver condotto
alla consapevolezza di sé, Bach prepara l’uditorio a recepire il
suo messaggio, il quale è tecnicamente affidato allo svolgersi
parallelo delle varie voci melodiche, intrecciate e continuamente
sciolte nel lento fluire del discorso musicale. Ogni linea
melodica, ogni voce, rappresenta un’entità ben precisa: un
pensiero, che può essere, a tratti, o piano e lineare o contorto
e frastagliato, e nel complesso ne risulta un groviglio
estremamente interessante ma anche molto difficile da
comprendere. Quindi emerge un’immagine ormai ben definita, ovvero
quella della descrizione, in musica, di uno stato d’animo di
profonda angoscia, in cui una massa di pensieri che attraversano
la mente, accavallandosi e prevaricandosi a vicenda o anche
sviluppandosi convergenti fino ad unirsi per poi nuovamente
separarsi, genera un crescendo di contrasti interiori allo
spirito umano, implacabilmente scandito dal procedere pesante del
respiro affannato e chiuso, costretto nel limite rigido sancito
dalla impossibilità di espandersi a pieno. L’intera passacaglia
è, dall’inizio alla fine, il racconto di un’esperienza umana
vissuta intensamente e drammaticamente, qual è quella di un’anima
che, senza potervisi opporre, precipita in un vortice di
disperazione caotica e irrazionale fino al punto più basso, e
poi, dopo un momento di sosta silenziosa, ne riemerge quasi di
colpo, sollevata dalla forza della grazia divina che al tempo
stesso la salva e la redime. L’alone religioso che avvolge tutta
la produzione artistica di Bach non deve essere ignorato: è noto
che il grande maestro di Eisenach apponeva ai suoi manoscritti
autografi il motto “Soli Deo Gloria”, riconoscendo, in tal modo,
l’origine divina del dono di cui era stato scelto come
depositario, il suo grande talento, ma anche intendendo
manifestare chiaramente la sua intenzione di adoperarlo per
l’elevazione spirituale dei fedeli, cioè di metterlo a
disposizione della causa evangelica, e non della sua gloria
personale. Un grande atto di umiltà, senza dubbio, il
riconoscersi strumento del genio affidatogli piuttosto che suo
unico e capriccioso proprietario, difficilmente riscontrabile in
altri protagonisti della storia della musica, più propensi ad
esaltare sé stessi e la propria fama. Ma anche volendo
prescindere dalla connotazione religiosa originaria, il
sopravvenire della liberazione dall’angoscia è ugualmente
visibile nel finale, articolato e maestoso, con cui termina la
composizione: dopo la pausa, che crea l’aspettativa della
risoluzione ultima, c’è la ripresa potente e piena del discorso
musicale, pensata come grande ripieno sonoro che impiega tutte le
risorse disponibili dello strumento, fino alla sua conclusione in
tonalità maggiore, con ben sei voci parallele in un unico grande
accordo di cadenza. E’ una metafora dell’esistenza umana: il suo
nascere già segnato dalla sofferenza e dal dolore, il suo
svolgimento travagliato e combattuto, l’approssimarsi alla morte,
inesorabilmente certa, e la scelta consapevole e personalissima
tra la salvezza e la dannazione eterna. Ovviamente Bach risolve
il dilemma nel senso della salvezza, anzi la celebra e ne
riconosce l’origine nella misericordia divina; tuttavia la pausa
prima della ripresa è eloquente: se non vi fosse possibilità,
anche remota di dannazione, non ci sarebbe stata necessità di
fermare lo svolgimento del discorso musicale. Invece la pausa è
stata prevista, e non a caso: un esito diverso è possibile, e di
ciò bisogna tenere conto. Per questo mi è stata suggerita dalla
mia fantasia l’immagine del mastodonte, creatura dalla fisionomia
gigantesca e pesantissima, lenta nel muoversi ma definitiva nei
suoi gesti irrevocabili, i quali hanno bisogno per esplicarsi di
un impulso di azionamento cui segue un moto d’inerzia: e la
passacaglia si svolge proprio secondo questo schema, acquistando
vigore ed potenza man mano che si procede verso la conclusione.
Il crescendo grandioso termina nel vuoto sonoro della pausa,
ultima occasione di riprendere fiato prima della manifestazione
completa della sua forza: in questo finale, dove tutte le voci
convergono lentamente fino a disporsi su binari paralleli, ho
scorto una visione primordiale: il pedale di basso evoca un
movimento sismico, un terremoto che scuote il suolo, mentre le
canne dell’organo paiono tanti piccoli crateri vulcanici, dai
quali viene espulso il magma incandescente della materia sonora,
componendo il quadro di una nuova creazione, di una rinascita o
risurrezione in altra forma. E’ chiaro che un animo eccitato può
dare libero sfogo a tutte le sue elucubrazioni ed in effetti un
contenuto artistico permette ogni sorta di libera
interpretazione, anche molto distante dal pensiero dell’autore,
del tutto legittima e personale, accettabile sul piano della
critica come contributo all’approfondimento della conoscenza,
purché priva della pretesa di imporsi come l’unica universalmente
valida. Molte volte ho confrontato le mie opinioni e sensazioni
con quelle di altri appassionati di musica, per lo più dilettanti
ma anche professionisti affermati, e spesso ho notato che più il
livello di conoscenza è elevato più i giudizi sono concordanti e
simili fra loro; in conclusione, la passacaglia in do minore è
stata per me, e lo sarà sempre, un’opportunità per trasfigurare
la mia angoscia nella forma perfetta creata da Bach, viverla fino
in fondo ed esserne poi sgravato e riportato alla serenità
necessaria a condurre l’esistenza in modo almeno sopportabile.
Questa è la sua utilità concreta e pratica per la vita di tutti i
giorni; diventa quindi impossibile rinunciarvi, una volta che la
si è conosciuta, così come accade per ogni vera opera d’arte;
esse aiutano a reggere il peso che ognuno bene o male deve
portare e ci consolano nei momenti più tristi e difficili, e
tanto più sono ricche di contenuto tanto meglio adempiono alla
loro funzione. Ecco perché non è possibile equiparare le opere
che hanno fatto la storia della musica, ed in parte anche quella
della cultura umana nella sua totalità, con quelle destinate ad
un uso commerciale, che esistevano ovviamente anche nel passato e
che ci sono state tramandate in grande quantità. Non è tutto oro
quello che luccica, oggi come ieri, e non tutti gli artisti,
ovvero i praticanti un’arte, sono dei maestri, anzi; è raro
trovare chi resiste alla prova del tempo e della critica. Il
problema di fondo è quello di educare il gusto, di avere il
desiderio dell’arte e prima ancora della conoscenza; “ignoti
nulla cupido”, si diceva un tempo. In conclusione, la passacaglia
è una medicina spirituale, un rimedio per affrontare e vincere i
momenti più bui e difficili, inevitabili per ogni essere umano;
ed è sempre efficace, non si corre con essa il rischio della
assuefazione. Vale dunque la pena di imparare a conoscerla, anche
se ciò costa, inizialmente, una discreta fatica, e di tenerla poi
sempre a disposizione, per ogni evenienza ...