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Mi descrivo
....
Su di me
Situazione sentimentale
-
Lingue conosciute
-
I miei pregi
vivere con un po' di leggerezza
I miei difetti
-
Amo & Odio
Tre cose che amo
Chi sa apprezzare la lingerie, le calze, guepiere
Chi si fa aiutare in camerino nei lacci e bottoni
Guardare nell'uscio della tenda senza farmi vedere
Tre cose che odio
ossa, troppa magrezza
mancanza di femminilità
le ballerine - non intendo quelle che ballano!
I miei interessi
Vacanze Ok!
Vacanze Ko!
Passioni
Fotografia
Musica
Cucina
Libri
Narrativa
Erotici
Sport
Beach volley
Film
Libro preferito
l'uomo che guarda
Meta dei sogni
Film preferito
il marito della parrucchiera
Un racconto:
Ero uscito dall’ufficio poco prima delle dodici anticipando di gran
lunga il pranzo. Avevo imboccato una via secondaria per evitare la
tanta gente che popolava il sabato di Milano.
La temperatura autunnale di novembre era tiepida eppure mi ero
allentato la cravatta per un fastidioso caldo provocato forse dal
passo più svelto.
E’ stato ad un incrocio che l’ho vista passare.
Aveva un cappottino giallo che lasciava intravedere un tailleur
forse di colore verde scuro. Camminava con un passo intervallato,
su un decolté con un tacco che batteva il suono sull’asfalto. I
movimenti erano alternati da brevi pause o altre più prolungate che
la catturavano oltre le vetrine dei negozi. Aveva i fianchi
generosi, delle forme classiche, un cappello che le stava bene, non
era di certo una signora di una magra monotonia.
Non so da quanto una donna non mi avesse rubato così lo sguardo. E’
stato in quel momento che ho deciso di seguirla; i passi che
l’allontanavano mi trascinavano a lei come con una forza misteriosa
e attrattiva. Non sono state tante le donne che avevo deciso di
rincorrere con discrezione, lei era una di queste.
Per non dare sospetti, mi fermavo anche io di tanto in tanto a
guardare oltre una qualsiasi vetrina, ma nella maggior parte dei
casi il negozio non faceva per me: borse da donna, accessori,
articoli per fumatori, rischiavo con molta probabilità di lasciare
molti più dubbi di quanti ne volessi coprire. Mi veniva da
sorridere trattenendo un leggero imbarazzo.
Lei non si curava molto di ciò che la circondava attorno, sembrava
l’unico tono di colore in una fotografia di Milano in bianco e
nero. Avevo deciso di saltare il pranzo per dare ancora più tempo a
quel frangente, ma mai avrei potuto immaginare cosa mi sarebbe
capitato a breve nei minuti a seguire.
E’ stato un istante dopo che entrò in quel negozio.
Mentre camminavo sul marciapiede sullo stesso lato non riuscivo a
scorgere l’insegna e quali articoli merceologici si vendeva.
Comprendevo solo all’ingresso che si trattava di una boutique di
intimo, di un genere molto raffinato. Manichini slanciati nelle
vetrine indossavano tessuti succinti di uno stile retrò.
All’interno si potevano scorgere diversi indumenti figurati da
prosperose pin-up.
Una barriera a lama d’aria mi spettinava fastidiosamente mentre ero
fermo all’ingresso.
Dovevo decidermi se andare via o entrare. Mi decisi a seguito della
sciocca preoccupazione che avvertivo quando mi accorsi di averla
perduta tra gli scaffali. Entrai con un certo imbarazzo, ma
giustificavo il mio ingresso dal fatto che potevo essere lì anche
solo per fare un regalo, che male c’era? Certo ero l’unico
possibile acquirente uomo in quel momento.
Camminavo fingendomi incuriosito dagli articoli (molti di questi
davvero catturavano la mia attenzione) in realtà tentavo di
individuarla tra quelle persone che intravedevo precariamente
dietro a qualche espositore.
– Mi scusi un’informazione –
Quando mi sono sentito chiamare di spalle, non avrei mai pensato
che girandomi mi sarei trovato proprio lei davanti a me. In mano
teneva un capo che facevo fatica a distinguerne la tipologia. Ad un
passo da me era ancora più affascinante. Non so a che battiti il
cuore ormai pompava, ma era bella quell’emozione così improvvisa e
inaspettata per un uomo sempre imperturbabile e austero
com’ero.
Nella trepidazione e nel leggero impaccio sono riuscito a
risponderle: – mi dica, come posso aiutarla? –
– Stavo cercando modelli simili a otto giarrettiere, ne avete? –
Capivo solo in quel momento dell’equivoco che si stava venendo a
creare. Forse era la giacca e la cravatta che consentivano di
confondermi per il commesso del negozio. C’era poco tempo per
decidere come replicare, ma non ero più capace di ritrarmi da
quell’utilità del ruolo che mi era stato conferito dalla
casualità.
Avrei dovuto comunque essere all’altezza di rispondere alla domanda
comprendendo quanto potessi essere ignorante sull’argomento,
diversamente lei ne era piuttosto competente. Dovevo farmi trovare
pronto quindi esclamai un ‘no’ secco che le fece cambiare
espressione del viso assumendo un profilo di delusione molto
evidente. Il suo sguardo era poco chino sull’indumento che teneva
in mano, pensieroso su cosa fare.
– Che stupido – mi dicevo tra me e me, e sentivo di voler in
qualche modo rimediare con una rassicurazione: – Mi dia comunque il
tempo per verificare a catalogo –
Lo dicevo con un leggero sorriso che contagiò anche il suo. Gli
occhi ripresero ad illuminarsi e compresi che era soddisfatta della
risposta e della speranza riposta.
– Entro in camerino a provare qualcosa nel frattempo –
Il camerino era proprio lì a pochi passi. La vidi aprire la
tenda, appoggiare la cruccia sul gancetto, sfilarsi di dosso il
cappottino giallo che finalmente lasciava intravedere il tailleur
che indossava.
Dovevo allontanarmi per fare finta di verificare quanto mi aveva
chiesto. Avevo anche pensato di inoltrare la richiesta alla
commessa vicino la cassa, ma ero dubbioso su quanto stessi
domandando e soprattutto avevo il timore che potesse chiedermi
altri dettagli che assolutamente non conoscevo. Feci quindi solo un
giro attorno agli espositori mirando di tanto in tanto verso il
camerino chiuso dalla tenda.
Da lontano si poteva scorgere bene il movimento delle gambe
slanciate sulle scarpe alte, i movimenti che alzavano una gamba e
poi l’altra per scavalcare la gonna caduta a terra. Ogni gesto era
in equilibrio sulle scarpe che non sfilava mai per nessun motivo,
forse per non far toccare il piede a terra o forse perché le faceva
piacere provare gli indumenti indosso senza privarsi di
quell’artifizio così femminile.
Da un altro indumento a terra avevo compreso che stava indossabdo
delle sottovesti di pizzo nero. Provai ad avvicinarmi, un poco
rassicurato dal mio nuovo ruolo, ma in realtà ero catturato da
quella leggera fessura che si era creata tra la tenda e la parete
del camerino.
Mi sentivo molto voyeur, sapevo che non era una cosa moralmente
corretta, ma per ogni passo indietro che facevo, tre mi portavano
poi più avanti. Alla fine raggiunsi un punto ideale per i miei
occhi.
Lo spacco della tenda da muro, ancora più aperto da un suo
involontario movimento, permetteva di vederla bene in déshabillé.
Indossava delle calze fermate da un reggicalze che non doveva aver
scelto in negozio. Intuivo che era una habitué di quel genere di
abbigliamento erotico. Mentre una bretella saltava liberando la
calza, delicatamente alzava la gamba fermandola sull’orlo dello
sgabello per ricomporre il delicato nylon nella sua abituale
posizione; infilava le unghie rosse in modo delicato all’interno
del tessuto, per afferrarne il ricamo e delicatamente riportarlo al
livello dell’inguine dove lo imprigionava con una abile pressione
al fermo. Le giarrettiere segnavano delicatamente la pelle chiara
sui rosei glutei. Indossava quell’abbigliamento come fosse
un’armatura, come a prepararsi ad una battaglia passionale.
Per un attimo mi sembrò che nel riflesso dello specchio si accorse
della mia presenza, ero indubbio se mi fossi confuso o se veramente
si fosse accorta che la stessi spiando.
Il dubbio era ancor più enfatizzato dalla sua non curanza; non la
notavo affatto sorpresa.
Quella stessa non curanza poteva anche essere legata a quanto
poteva essere naturale mostrarsi così davanti ad un commesso?
Oppure iniziai a pensare che avesse intuito che non ero quello che
sembravo. Allora potevamo essere complici ad un gioco del vedo non
vedo? Un gioco di intenti, di sguardi, abilmente creato dal caso e
enfatizzato dalle nostre volontà.
Pensavo che le piaceva avere i miei occhi addosso, che le correvano
lungo le forme generose, che si soffermavano attenti tra i dettagli
e sulle movenze che rappresentava per me.
Troppi pensieri e troppi dubbi.
L’unica certezza, l’unica realtà era quella che potevo
osservare.