Le persone sole si riconoscono dagli occhi che non emanano luce.
Da quell’incedere incerto nella strada, fatto di passi silenziosi dietro un guinzaglio
di un cane mansueto.
Si riconoscono dal quel modo lento di sfogliare le pagine di un volume in una libreria,
dallo quello sguardo sempre un po’ sfuggente, a volte perso verso un punto
dove l’immaginazione proietta una fantasia innocente oppure un piccolo sogno.
Come le foglie scosse dal vento planano dall’albero, loro sembrano angeli caduti, spinti da qualche soffio gelido che la vita a volte, infidamente, getta sulle persone, facendole sembrare, appunto, come foglie che vagano in attesa di un riparo o un oscuro destino.
Forse hanno nel cuore le ferite di un amore che ha portato via fiato e sogni.
Ma, senza dirlo nemmeno a loro stesse, sperano che quella cicatrice diventi invisibile,
almeno per un po’, il tempo di provare a ritrovare una speranza che sembra ormai perduta.
La tristezza, a volte rabbiosa, è un veleno che amareggia il cuore e porta a rinunciare
ad accogliere anche uno sguardo casuale, un sorriso gentile.
Ma solo loro sanno la differenza che c’è tra la solitudine ed il sentirsi soli,
tra lo scegliere di mettersi ai margini della scena dal percepirsi quasi come esseri invisibili,
ciechi e sordi in un mondo frenetico e senza gentilezza,
soprattutto per chi ne ha davvero bisogno.