La nostra speranza è in Cristo, in quella
Presenza che, per quanto distratti e smemorati, non riusciamo più
a togliere - non fino all’ultimo briciolo, almeno - dalla terra
del nostro cuore per tutta la tradizione dentro la quale Egli è
giunto fino a noi. È in Lui che io ho speranza, prima di avere
contato i miei errori e le mie virtù. Non c’entrano, qui, i conti
numerici. Nel rapporto con Lui il numero non c’entra, il peso
misurato e misurabile non c’entra, e tutta la possibilità di male
che in me può realizzarsi nel futuro, anche questa non c’entra,
non riesce ad usurpare il titolo primario che possiede davanti
agli occhi di Cristo il «sì» di Simone, da me ripetuto. Allora
viene un fiotto dal fondo di noi, come un respiro che salga dal
petto e inebrii tutta la persona e la faccia agire, le faccia
desiderare di agire in modo più giusto: scaturisce, scatta dal
fondo del cuore, il fiore del desiderio della giustizia,
dell’amore vero, autentico, della capacità di gratuità. Come
l’inizio di ogni nostra mossa non è un’analisi di ciò che gli
occhi vedono, ma un abbraccio di ciò che il cuore attende, così
la perfezione non è l’espletare delle leggi, ma l’adesione a una
Presenza.