-Anche se, forse, a volte troverai piuttosto sconcertante il
modo di esprimersi del mio amico. Otake-san parla di ogni cosa in
termini di Go. Tutta la vita, per lui, è un paradigma
semplificato di questo gioco.
-Da come lei lo descrive, signore, penso proprio che mi
piacerà.
-Ne sono sicuro. È un uomo che ha tutto il mio rispetto.
Possiede una sorta di... come dire?... di shibumi.
-Shibumi, signore? In che senso usa questa parola signore?
-Oh, vagamente. E scorrettamente sospetto. Un goffo tentativo
di descrivere una qualità ineffabile. Come sai, shibumi
allude a una grande raffinatezza sotto apparenze comuni. È
un’affermazione così precisa che non ha bisogno di essere ardita,
così acuta che non dev’essere bella, così vera che non deve
essere reale. Shibumi è comprensione più che conoscenza.
Silenzio eloquente. Nel modo di comportarsi, è modestia senza
pruderie. Nell’arte, dove lo spirito di shibumi prende la
forma di sabi, è elegante semplicità, articolata brevità.
Nella filosofia, dove shibumi emerge come wabi, è
una serenità spirituale non passiva; l’essere senza l’angoscia
del divenire. E nella personalità di un uomo, è... come dire?
Autorità senza dominio? Qualcosa del genere.
-Come si raggiunge questo shibumi, signore?
-Non lo si raggiunge, lo si... scopre. E solo pochi uomini
d’infinita raffinatezza arrivano a scoprirlo. Uomini come il mio
amico Otake-san.