Questa Bacheca è ancora vuota. Invita REGINA_DISTELLE a scrivere un Post!
Mi descrivo
NON ACCETTO INVITI DA SCONOSCIUTI.
Su di me
Situazione sentimentale
sposato/a
Lingue conosciute
Tedesco, Inglese, Francese
I miei pregi
Regina del mio spazio.
I miei difetti
mai avuti,li lascio agli insicuri.
Amo & Odio
Tre cose che amo
me
me
me
Tre cose che odio
chi manda
messaggi
da sporcaccione.
I miei interessi
Vacanze Ok!
Vacanze Ko!
Passioni
Arte
Cinema
Fotografia
Musica
Alternative
Cucina
Piatti italiani
Libri
Gialli
Sport
Sci
Surf
Film
Fantasy
Libro preferito
Meta dei sogni
Film preferito
Modulo Denuncia Molestie subite :
Costretti a rendere noto,la diffamazione,il prelievo dei nostri
Alias-oppure noti come nick-per lasciarsi delle note moleste su
post di un iscritto in questa Comunità più volte segnalato e
oscurato come persona molesta.
Abbiamo segnalato cosa avviene al gestore di libero,mentre i nick
dei nostri amici aumentano su quel blog,con note diffamatorie e
non idonee al nostro pensiero di anni ospiti su internet vissuti
con correttezza e Giustizia
Quel blog stranamente è ancora presente in questa Comunità
addirittura in 3 copie con diverse immagini.
Ci hanno risposto che ?
Noi invece Vi ricordiamo che?
Se i nostri nick possono essere prelevati da chiunque,c’e un
sistema tecnico informatico a cui dovete provvedere a rendere più
sicuro per i nostri dati-il nostro nick ci rappresenta nel web in
molti casi è il nostro documento per farci riconoscere,qualcuno
deve ????
QUALI AZIONI COMPIERE NEI CONFRONTI DI UN PROFILO FALSO
?
Chi crea profili falsi sui social network si rende quindi
responsabile nella maggioranza dei casi di due
reati : quello di sostituzione di persona e quello
di diffamazione aggravata. Circa il primo, integra il reato di
sostituzione di persona (art. 494 cod. pen.) la condotta di colui
che crea ed utilizza un “profilo” sui social network con
l’immagine di una persona che ne è del tutto inconsapevole con lo
scopo di appropriarsi dell’identità altrui e far cadere gli altri
in inganno (evidenzia sia il fine di vantaggio, consistente
nell’agevolazione delle comunicazioni e degli scambi di contenuti
in rete, sia il fine di danno per il terzo, di cui è abusivamente
utilizzata l’immagine). Per il secondo, la condotta del
ricorrente, oltre al reato previsto dall’articolo 494 del codice
penale, integra anche la diffamazione aggravata ai sensi
dell’articolo 595, comma 3 dello stesso codice, sotto l’aspetto
dell’offesa arrecata «con qualsiasi altro mezzo di pubblicità»
diverso dalla stampa. Per approfondimenti in tema di
diffamazione sui social [ click qui ]. (*) Il Dispositivo
dell’art. 494 del Codice penale recita che: “Chiunque, al fine di
procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un
danno, induce taluno in errore, sostituendo illegittimamente la
propria all’altrui persona, o attribuendo a sé o ad altri un
falso nome, o un falso stato, ovvero una qualità a cui la legge
attribuisce effetti giuridici, è punito, se il fatto non
costituisce un altro delitto contro la fede pubblica, con la
reclusione fino ad un anno.”
Le violazioni agli Standard della community includono:
Atti di bullismo o intimidazioni: contenuti
intenzionalmente diretti a una persona allo scopo di
umiliarla o metterla in imbarazzo; reiterati tentativi di
contatto nonostante la persona abbia manifestato chiaramente
la volontà di non essere contattata.
Minacce dirette: minacce reali alla sicurezza pubblica
e personale, minacce credibili di danni fisici, specifiche
minacce di furto, atti di vandalismo o altri danni economici.
Violenza e sfruttamento sessuale: contenuti che
minacciano o promuovono violenza o sfruttamento sessuale,
incluse le richieste di materiale a sfondo sessuale,
qualsiasi contenuto sessuale riguardante minorenni, minacce
di condivisione di cose intime che desideri mantenere private
(come immagini o video) e la proposta di prestazioni sessuali
Il gestore di un sito web risponde per i contributi diffamatori
pubblicati da altri, anche non anonimi, purché ne sia a
conoscenza. Così sembra aver stabilito la quinta sezione penale
della Corte di cassazione, con sentenza n. 54946 depositata il 27
dicembre 2016.
In breve, la vicenda, per quanto si riesce a comprendere dalla
sintesi che ne fa la Corte: nell’agosto del 2009 un lettore
pubblicava su un sito internet un commento offensivo nei
confronti di un soggetto che stava per ricoprire una carica
importante a livello nazionale e ne allegava il certificato
penale. A distanza di pochi giorni, lo stesso lettore inviava per
e-mail lo stesso certificato penale al gestore del sito.
Quest’ultimo – a quanto pare – si limitava a non cancellare il
giudizio offensivo, fino a quando non veniva disposto il
sequestro preventivo della pagina.
La Corte d’Appello, riformando la sentenza di primo grado,
condannava il gestore per concorso nel reato di diffamazione a
mezzo internet, riconoscendo altresì un elevato risarcimento.
L’imputato proponeva ricorso per cassazione, rilevando tra
l’altro di non aver contribuito alla pubblicazione e di aver
avuto conoscenza della sua presenza in rete solo con
l’applicazione della misura cautelare.
Nel rigettare l’impugnazione, la Cassazione individua in capo al
gestore una responsabilità a titolo di concorso in diffamazione
per il sol fatto che egli avrebbe «mantenuto consapevolmente
l’articolo sul sito, consentendo che lo stesso esercitasse
l’efficacia diffamatoria» fino a quando non è stato coattivamente
rimosso. A tale conclusione, se si è ben compreso, la Corte
giunge valorizzando due accadimenti: la ricezione della e-mail
dall’autore del commento “incriminato” e la pubblicazione di un
altro articolo, questa volta a firma dell’imputato, ove vi era un
espresso riferimento al precedente scritto a firma del lettore.
In sostanza, il principio che sembra esprimere la Corte è che il
titolare di un sito web può essere ritenuto direttamente
responsabile di diffamazione se non si attiva per impedire che
uno scritto diffamatorio, pubblicato e firmato da un soggetto
terzo, permanga online in quanto, così facendo, consente
l’aggravamento delle conseguenze del reato.
Per quanto riguarda la strada penale, il
reato ipotizzabile è quello di sostituzione di persona, punito
dall’articolo 494 del codice penale con la reclusione fino ad un
anno, procedibile d’ufficio. La giurisprudenza ha ammesso che il
reato possa commettersi a mezzo internet, attribuendosi
falsamente le generalità di un altro soggetto, inducendo in
errore gli altri fruitori della rete, procurandosi i vantaggi
derivanti dall’attribuzione di una diversa identità, anche
semplicemente l’intrattenimento di rapporti con altre persone o
anche il soddisfacimento della propria vanità, ledendo così
l’immagine della persona offesa. Accanto a questo reato, che è
contro la fede pubblica, ci possono essere anche altri illeciti
penali che si intersecano, come frodi informatiche (l’art. 640
ter recentemente introdotto nel nostro ordinamento indica
espressamente “il furto o indebito utilizzo dell’identità
digitale in danno di uno o più soggetti”).
Sul piano civilistico, in questo caso
sarebbe applicabile l’articolo 17 del decreto legislativo 70/2003
in recepimento della direttiva 2000/31/CE) che prevede la
responsabilità del prestatore del servizio a informare l’autorità
giudiziaria o quella amministrativa qualora sia a conoscenza di
presunte attività o informazioni illecite riguardanti un suo
destinatario del servizio. Quanto accaduto costituisce
inoltre una violazione evidente del suo diritto al nome (art. 6
del codice civile). È poi applicabile il GDPR (general data
protection regulation – regolamento UE 679/2016) che prevede
proprio la sua applicabilità ai social provider esponendoli ad
azioni dirette da parte degli interessati e anche a sanzioni
applicabili nei loro confronti: si arriva sino a 20 milioni di
euro o al 4% del fatturato mondiale annuo se la sanzione massima
dei 20 milioni è troppo bassa in relazione alle dimensioni
dell’impresa.
Quindi, la terza strada è quella del Garante della
protezione dei dati personali. Lo strumento è azionabile
inoltrando tramite raccomandata a/r (o PEC) una richiesta di
accesso ai propri dati personali direttamente alla sede europea
del social network, specificando la richiesta di tutti i dati che
lo riguardano, informazioni, fotografie, profili aperti a suo
nome e di conseguenza la cancellazione e il blocco del falso
account e dei dati illecitamente inseriti. Il diritto è previsto
dall’art. 7 del D.lgs 196/2003 e rafforzato dal nuovo Regolamento
UE 679/2016, direttamente applicabile dal prossimo 25 maggio. In
caso di mancato riscontro si può agire direttamente avanti
all’Authority di protezione dei dati personali.
Le responsabilità dei social provider sono dunque precise, il
problema subentra nella celerità di vedere applicato il proprio
diritto. “Forse dovremmo cominciare a pensare che la dimensione
che si trova sui social non è solo privatistica” dice Lisi,
“Tutti questi servizi che ci vengono offerti stanno diventando
servizi essenziali della nostra vita. Non c’è separazione netta
tra digitale e reale. I social dovrebbero essere identificati
come prestatori di beni essenziali. L’Unione europea dovrebbe
cominciare a disciplinare questi rapporti facendo evolvere la
loro connotazione giuridica privatistica verso una connotazione
di natura pubblicistica”.
Quella voce interiore,
quella sensazione che prende il sopravvento sul nostro stomaco.
La coscienza è ciò che facciamo
quando ci mettiamo nei panni dell'altro,
quando pensiamo a cosa può ferire un'altra persona,
quando sappiamo che possiamo
fare qualcosa di più per il benessere di un'altra persona.
La coscienza è sapere in ogni momento
che le nostre azioni possono avere ripercussioni su altre
persone
e agire nel modo più nobile possibile.
La coscienza è
quel piccolo pepito di cricket
che alcuni di noi ascoltano più di altri.
La morte di Marilyn Monroe, avvenuta tra la notte del 4-5 agosto
1962, suscitò clamore e interesse nell'opinione pubblica
statunitense e mondiale.
Il giorno del decesso l'attrice venne trovata nel letto della sua
abitazione al 12305 di Fifth Helena Drive, dove viveva da sola
con la sua governante Eunice Murray. Era stata visitata dai suoi
vari medici.