(1) La telefonata
A volte mi libro esitante nella leggera brezza del vento quando mi si insinua tra i capelli e le sue malie accendono quelle sensazioni che svelano all’anima ciò che ancora giace sopito.
In altre parole, mi è impossibile esplicitare un’impressione quando gli avvenimenti che la generano restano al di fuori della mia consapevolezza però, alla fine, ne comprendo le ragioni.
Ancora una volta sono incappato in una di quelle vicissitudini della vita che hanno il potere di rimettere in competizione quegli elementi di certezza ai quali mi aggrappo, a volte, pensandoli sicuri e inamovibili. Mi sento ostaggio di un malessere dalla cui morsa devo liberarmi in fretta.
Mi sarebbe difficile descriverne i particolari con quella dovizia che li renderebbero comprensibili a tutti né, d’altra parte, sarebbe corretto esporli pubblicamente.
Posso soltanto dire che sono tornato a casa mia per tentare di ritrovare l’equilibrio di un tempo, anche un poco di libertà assoluta, e cercare, forse, una nuova conciliazione con l’altra metà del cielo.
La necessità di riflettere su me stesso senz’alcun altro obbligo è diventata, ormai, un imperativo assoluto! Già due settimane sono trascorse nel vuoto più assoluto ma, dal mio subcosciente non è ancora venuto a galla nulla! Mi sto crogiolando, addirittura, in quest’ozio fisico e mentale quasi con vero lenitivo piacere… anzi, ho persino ceduto al significato profondo della locuzione per cucinarmi un piatto di gnocchi.
Ad onor del vero, le due settimane non sono state completamente vuote. Mi sono sentito regolarmente con la mia ragazza lontana, ci sono state le amiche con cui mi incontro regolarmente tutte le mattine, nel nostro bar preferito, ed un altra signora di una regione confinante, vedova novella, che, seppur garbatamente, persevera nei suoi malcelati propositi di concupirmi ...
Per dirla tutta, ho trascinato la mia esistenza da una trattoria all’altra girovagando per i borghi della Tuscia attendendo la sera per osservare la vita degli altri nel mio cogitarium preferito dal nome altisonante : “I sette vizi capitali”, un Pub del centro. Sentivo, però, la mia anima ridursi lentamente ad uno straccio! Che stessi gradualmente trasformandomi in un barbone?
Temevo, ormai, di trovarmi nell’indolente situazione mentale di chi, pur consapevole del proprio stato, non è capace di sormontarlo e volgere a proprio favore le necessità contingenti quando ricevetti l’inaspettata videochiamata di un’incantevole amica che non incontravo da diverso tempo.
Ci eravamo conosciuti dopo alcuni mesi dalle sue nozze con un ex collega di lavoro che risiedeva in una località dell’Alta Savoia a pochi chilometri dalla mia città natale. Ci frequentavamo in un delicato equilibrio tra la pura amicizia e il desiderio reciproco, quando le circostanze del mio lavoro lo permettevano, e ci siamo sempre tenuti in contatto.
All’epoca giravo per l’Europa come una trottola per esaudire le necessità dei clienti di una importante industria americana e le occasioni per vederci erano rare. Tra noi perdura tuttora un’empatia che ha saputo resistere alla barriera del tempo. Da circa sei mesi, Clairette, ha perso il marito. Mi ha informato che ha ancora una gran voglia di vivere e, guardandosi intorno, non ha visto nessuno che possa anche lontanamente paragonare alla mia persona. Che ci crediate o no il grigiore della mia vita si è trasformato di botto in un sole splendente e mi sono anche sentito lusingato (evidentemente ho le mie debolezze). Ho appena accettato la sua proposta di saggiare la possibilità d’infondere nuova linfa a quelle emozioni rimaste a lungo sopite, e, domani, mi farà sapere quando potrà giungere alla stazione ferroviaria di Roma Termini dove la riceverò.
(continuerà, forse ...)
The_Hatter