Il Nebbiolo di Carema
Quest’oggi, ricordi, fantasia e curiosità si sono contesi la scena mentre il passato si è mescolato al presente procurandomi una ridda di contrastanti sensazioni.
Non mi sento mai completamente preparato per affrontare una tale circostanza, eppure, essendone comunque ineluttabilmente attirato, mi ci sono poi tuffato dentro quasi senza esitazione alcuna!
La speranza che nutro nel profondo dell’anima rappresenta le aspettative alle quali affido l’innata curiosità per ciò che mi circonda.
Il sogno che ne deriva, forse l’illusione, di potermi spingere là dove l’utopia, spogliandosi dei condizionali, perviene finalmente alla certezza dell’essere è il promotore essenziale.
Quando mi si sono affacciati alla memoria i versi del poeta Temistocle Solera, ho ricevuto lo slancio ideale per tentare di rivestirla di nuovi assoluti!
“Va', pensiero, sull'ali dorate,
va' ti posa sui clivi, sui colli,”
Non avevo nozione di dove mi avesse trasportato quella mezza strofa né m’importava, al momento, saperlo. Ero nelle condizioni ideali di un perfetto osservatore inerziale. Ormai privo di accelerazione, esaurita nel superare le deformazioni spaziotemporali, lontano dalle lusinghe dello cyberspazio, ascoltavo soltanto il pulsare dell’universo.
E’ una sensazione senza uguali alla quale dovrei essere avezzo, invece, è come il canto delle sirene, sempre nuovo e suadente che, ne sono sicuro, mi porterebbe all’oblio se v’indugiassi a lungo.
Decido, quindi, di riavvicinarmi alla Terra, quel puntino azzurro laggiù appena visibile a occhio nudo, dove, oltre a sentirmi più a mio agio, riesco a percepire l’affanno delle anime dei suoi abitanti.
In questa commistione di sentimenti, poesia, sogno e realtà, per ottenere l’energia necessaria allo spostamento, declamo questi altri versi:
“ove olezzano libere e molli
l'aure dolci del suolo natal!”.
Mi ritrovo all’istante in mezzo alla spazzatura spaziale che circonda il nostro pianeta …
Da quassù, attraverso l’effetto lente dei vari strati atmosferici potenziato dallo sciame cosmico e dalle radiazioni solari, posso esaminare in trasparenza ogni anima che si agita sulla sua superficie.
Il mio interesse è rivolto ad una sorta di autoconsistenza manifestata da alcune persone verso le quali ho una grande ammirazione e non nascondo il desiderio d’interagire con qualcuna di esse specialmente quando palesano la loro autodeterministica volontà.
Tutto ciò mi mette addosso una certa euforia, molto pericolosa in questa circostanza perché mi devia dall’impulso iniziale dal quale ho tratto la forza per giungere si qua.
Senza perder tempo, recito altri versi:
“ Del Giordano le rive saluta,
di Sïonne le torri atterrate…”.
Lentamente ma inesorabilmente, inizio a perdere quota ma continuo a declamare:
“ Oh mia patria sì bella e perduta!
Oh membranza sì cara e fatal!”.
Mi sono convinto, forse perché io credo così, che l’anima partecipi attivamente al benessere del mondo permettendole di cogliere le idee migliori di ciascuno di noi per offrirle come pura conoscenza alla nostra consapevolezza ...
Purtroppo, estrapolare da quella moltitudine di segnali ciò che mi solletica lo spirito aggrava il mio già precario equilibrio gravitazionale.
Poi, mentre precipito senza controllo, grido, con grande sforzo:
“ Arpa d'ôr dei fatidici vati
perché muta dal salice pendi?
Le memorie nel petto raccendi,
ci favella del tempo che fu!”.
Il mio destino è segnato! La Terra che guardavo dall’alto ora s’ingrandisce sempre di più.
Il momento del cozzo si avvicina e non vorrei procurare danni alle anime amiche.
Questa possibilità mi sfiora per un istante poi la scaccio anche se mi resta ancora un senso di disagio.
Infatti, data la loro rarità sarebbe molto improbabile travolgere, nel mio imminente impatto, altre entità indipendenti …
Poi un pensiero s’insinua in me, cerca di farsi strada in quel poco di coscienza ancora sensibile,
per informarmi che forse sto vivendo in un sogno dove concretezza e apparenza fanno parte di un unico reale immaginario … ma non ne sono sicuro.
Faccio appello all’intimo convincimento dell’intrinseca necessità in un supremo tentativo di mantenermi in volo! Quindi, prestando la massima attenzione agli accenti tonici, spendo così gli ultimi versi a mia disposizione:
“O simìle di Sòlima ai fati
traggi un suono di crudo lamento,
o t'ispiri il signore un concento
che ne infonda al patire virtù!”
Non conservo più alcuna memoria della mia caduta sulla Terra.
Ricordo soltanto che, con infinita dolcezza, la mia Musa ispiratrice mi ha fatto riprendere coscienza ancora ben avvolto nelle coperte e comodamente disteso nel letto.
Quando, racchiuso tra le pareti domestiche mi sono sentito di nuovo pervaso dall’illusoria sicurezza della quotidianità, ricordando l’immediato “vissuto”, ho dovuto ammettere tra me e me che sarebbe stato meglio non bere quell’ultimo bicchiere di Nebbiolo, ieri sera, prima di coricarmi …
The Hatter