Un momento delicato ...
Credo ci siano delle circostanze particolari nella mia vita che si preparano ad essere vissute a mia insaputa. Sono quelle sorprese che il presente mi riserva per mettere forse alla prova la mia capacità di reazione all’imprevisto dove, ad esempio, un semplice alito di vento alimenta ricordi e sensazioni tali in grado di sostenere forti emozioni.
Quella mattina, dunque, non potevo immaginare ciò che il caso mi avrebbe riservato di li a breve . Intendevo esplorare il monte Cuccio, geologicamente triassico, e, mentre guidavo, ritornavo mentalmente a ciò che avevo appena appreso su di esso … : “ Il dilavamento meteorico di questo monte, alle spalle di Palermo, ha prodotto nel tempo una serie di accumuli di dolomia particolarmente pura chiamata “ terra di Baida ” dal nome dell’omonimo casale saraceno “ Al Bayda “ , la bianca. Questa terra magnesiaca, farinosa e pura, per diversi secoli venne indicata nella farmacopea ufficiale come panacea universale con i nomi di elixir vitae, polvere magistrale e polvere cattolica. Tutto questo durò sino a quando la farmacologia moderna ne decretò l’obsolescenza “.
In quel periodo ero un frequentatore di via Venezia, a Palermo. Una via situata quasi di fronte alla Vucciria, posta tra gli altri mercati storici di Porta Carini, una delle porte più antiche della città, e del Capo, a nord dell'antico quartiere Seralcadio. Amavo osservare l’eterogeneo affollamento di persone che li animava, le merci esposte, l’intenso brusio delle contrattazioni e i sonori richiami dei venditori sulle qualità dei loro prodotti. In via Venezia, chiaccherando con i putiari (negozianti) seduti davanti alle loro botteghe, venni a sapere di Baida e, così, “mi venne u spinnu” di visitarla.
Intanto, immerso in quei pensieri, avevo già superato Boccadifalco e, percorse le ultime curve della stretta strada immersa nel verde, già apparivano i primi edifici ...
Quando giunsi sulla piazza principale di Baida un profumo di pane appena sfornato aleggiava nell’aria. Feci subito amicizia con un simpatico ed anziano signore del posto che molto gentilmente accettò di soddisfare alcune mie curiosità. Mentre mi illustrava, a modo suo, la storia del luogo si unirono a noi altri suoi conoscenti i quali, saputo l’argomento, vollero poi aggiungere “la loro”. C’era chi affermava di essersi curato con questa specialità locale ottenendo guarigioni miracolose . Calli, calvizie, unghie incarnite, balbuzie, imperfezioni della pelle, dolori alle ossa, ed altri “ morbi “ di varia natura … Altri assicuravano effetti di gran lunga più importanti a patto che l’assunzione fosse accompagnata da appelli ai Santi. Intanto si era alzata una leggera brezza ed io respiravo quell’aria con una sorta di beatitudine senza quasi accorgermi che nel frattempo, intorno a me, il capannello di persone desiderose di raccontare la propria esperienza si era trasformato in un incontro conviviale a base di arancini e birra. La panetteria, infatti, sfornava di tutto a quell’ora …
Nonostante il mio accento da “polentone” ero stato accettato come uno di loro. Parlavano un dialetto particolarmente familiare e li ascoltavo con piacevole interesse . Qualcuno si mise a raccontare e mimare le gesta dei cavalieri Nixo e Gabriele che si uccisero a vicenda in una cruenta battaglia per la bellissima ninfa Baida e del loro sangue che si tramutò nelle omonime fonti così come la ninfa contesa. La sorgente della ninfa pare alimenti ancora la fontana sita nel convento benedettino costruito da Manfredi Chiaramonte intorno all’anno 1377. Queste fonti sono ritenute da secoli, al pari della terra bianca, detentrici di grandi poteri taumaturgici.
Ad un certo punto, un contadino del luogo ci propose di accompagnarlo al suo podere dove ci avrebbe mostrato una delle sorgenti di quell’acqua miracolosa. Nonostante avesse l’aria furbacchiona accettammo l’invito di buon grado. Percorremmo a piedi alcune centinaia di metri su una strada asfaltata che si inerpicava sul monte con curve strettissime . Poi ci inoltrammo per un sentiero lastricato di pietre grezze e spigolose che si apriva tra due bianche collinette sino a raggiungere una lunga stalla imbiancata con calce, dal tetto basso ricoperto da una congerie di materiali più diversi. Si sentiva l’odore dei maiali ed il loro grufolare all’interno. Il contadino, lo chiamavano zù Totò, si fermò all’inizio della costruzione e, indicandoci un tubetto di ferro infilato a forza nella roccia da cui sgorgava un esile filo d’acqua, ci disse, tra il serio ed il faceto, invitandoci a bere : ” ecco quello che resta della fonte Gabriele” . Uno alla volta, sebbene un po’ dubbiosi, bevemmo con le mani raccolte a coppa. L’acqua era freschissima e il sapore magnesiaco. Zu Totò non bevve ma io, come tutti gli altri, ne approfittai più di una volta … Tra una “ babbiata “ e l’altra ormai si era fatta l’ora di pranzo e zù Totò che conosceva la zona ci propose di tornare in piazza passando per i ruderi del vecchio ospedale quindi ci incamminammo tutti sul sentiero del ritorno. Non lo sapevamo ancora ma, per noi, fu una vera fortuna … Arrivati in vista del vecchio ospedale venni colto da un terribile mal di pancia. Anche gli altri della compagnia erano nelle mie condizioni. Ci mettemmo a correre. Il tempo pareva scorrere troppo velocemente e, ormai, non ce n'era più. E’ fin troppo facile, nella tranquillità delle mura domestiche, lasciarsi trasportare ai limiti dell’universo dalle fantasie di turno. Qua, invece, nel mondo reale è più facile che si debba cedere all’imprevisto. Si sa cosa ci sarebbe da fare nell’immediato ma si rimanda sino al limite del possibile perché la pudicizia vuole altrimenti.
Finalmente, al riparo delle vecchie mura cadenti, crollato il senso della vergogna, chi qua e chi là, ci calammo i calzoni per assecondare quell’imperativo assoluto … quella necessità fisiologica alimentata dal sangue degli eroi e dalla sua meravigliosa ninfa. Di quel tragico ma liberatorio momento conservo ancora un vivido ricordo. Alcuni contadini che lavoravano in un campo di meloni ci avevano visti correre verso i ruderi e , incuriositi, chiesero gridando al nostro accompagnatore che ci aspettava a distanza di sicurezza: “Oè, dunnistannuiennu ? “ e lo udii rispondere ridendo:” Tutti darreri u spitalettu … stannuiennu a cacari! “.
Nel chiedere venia ... The_Hatter