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"Blue Moon, you saw me standing alone/Without a dream in my heart/Without a love of my own"

Margo Timmins risuonava leggera mentre Laura entrava nel bar. I suoi passi erano precisi ma lievi, come se la terra le appartenesse e al tempo stesso la lasciasse fluttuare. Indossava un vestito color malva, le gambe appena velate, i capelli mossi dal vento primaverile, una giacca chiara appena sfilata via dalle spalle e posata sull'avambraccio. Non chiedeva spazio, eppure lo riempiva senza fare rumore. Poi vide Giulia seduta al tavolo vicino alla vetrata, illuminandosi. L'amica si alzò e sorrise. Le braccia si chiusero l’una sull’altra, un abbraccio che non chiedeva altro se non di esserci. Vi fu un bacio sulle guance, leggero e sincero, un piccolo rituale che sapeva di casa. Laura si accomodò sospirando.

— "Hai una luce nuova e un’aria piena di storie, oggi," le disse Giulia, risedutasi con il mento appoggiato al palmo.

— "Il mio ex è passato a trovarmi."

— "Dimmi tutto."

— "Abbiamo parlato poco e… siamo stati molto vicini. Ma è stato come premere una mano calda contro una finestra fredda. È rimasta l’impronta, ma la trasparenza non c’era più."

Giulia annuiva lentamente.

— "Strano come il corpo a volte non basti."

— "O come dica la verità, se lo ascolti bene."

Poco dopo, un cameriere arrivò al tavolo, aveva un sorriso educato. — "Buonasera, cosa desiderate bere, signore?"

Aveva un viso cortese, il sorriso genuino su un bel volto .

Giulia guardò Laura e sorrise.

— "Un Bouvaladier per me."

Laura ci pensò un momento, poi rispose gentile.

— "Un Hugo, grazie."

Parlavano, sorridevano affiatate. In quell'attimo Laura si girò e scorse uno sguardo puntato su di lei. Le fece uno strano effetto.

Stavano parlando fitto quando poco dopo tornò il cameriere con i bicchieri. Il Bouvaladier era perfetto per Giulia, ambrato e sofisticato, con una fetta di arancia a decorare, e l'Hugo di Laura, verde brillante, con foglie di menta e una fettina di lime. Appena il giovane lo adagiò sul tavolo, ogni bolla che scivolò verso l’alto sembrò un piccolo respiro del cocktail, liberando un fruscìo sottile, appena percepibile quando l’effervescenza si dissolse nell’aria, lasciando una traccia di freschezza che sembrò pervadere l’ambiente vicino a loro.

Giulia prese il suo bicchiere, il colore rifletteva la luce soffusa del bar e dei suoi occhi, lo sollevò.

 — "Per nuove avventure," disse sorridendo.

Laura sorrise a sua volta, il suo bicchiere di Hugo scintillante tra le dita.

— "A saper vedere il bello, anche nelle piccole cose."

Brindarono.

Laura prese un sorso, gustandolo lentamente. Il fresco la avvolse, con una sensazione di leggerezza che si mescolava al calore della serata. Giulia sorseggiò il suo Bouvaladier, un sorriso sulle labbra, come se il mondo intorno fosse appena diventato un po’ più leggero.

Poi, come se avessero premuto il tasto reset, parlarono di viaggi. Di fughe. Di luoghi dove reinventarsi.

— "Io ho voglia di vedere l’Iran," disse Giulia. "La luce che attraversa le finestre a mosaico nelle moschee blu, i mercati pieni di tappeti e spezie, la poesia ovunque. Mi attrae la gentilezza forte, quella che resiste."

— "Aggiungiamoci il Giappone e l'hanami a marzo."

— "E l’Islanda, per perderci tra i vulcani, le balene e gli sconfinati silenzi."

— "E l’Argentina, per ballare ecchissenefra, pur senza sapere il passo.

— "Abbiamo bisogno di un anno sabbatico." Sorrisero.

Restarono un attimo in silenzio, ognuna assorta nei propri pensieri, eppure l'una vicina all'altra. Poi Laura aggiunse come ripensandoci bene.

— "Io andrei in Nuova Guinea."

— "Davvero? Cosa c'è lì?"

Laura si accese piano, con enfasi. — "Foreste così fitte che la luce si arrende. Farfalle enormi, dai colori metallici. Uccelli del paradiso che danzano come se nessuno guardasse. Fiumi color smeraldo, vulcani attivi che non fanno paura. E villaggi dove il tempo è dilatato, diverso."

— "Sembra un altro pianeta."

Laura sorrise, abbassò appena la voce. — "E poi… lì la terra emette un suono. Un battito ad essere precisi, ogni ventisei secondi. Un’onda sismica lentissima che si propaga sotto gli oceani, rilevata solo dai sismografi. È come se la terra avesse un respiro sommerso, che nessuno sente ma che non smette ma. Colpa forse dell'attività delle onde oceaniche, dei vulcani sottomarini o delle placche tettoniche. Di chi è il merito e chi lo sa?!"

Giulia fu rapita.

— "E che effetto ti fa pensarlo?"

— "Mi fa sentire minuscola. Come se il mio cuore potesse smettere, e quello del pianeta continuerebbe a battere. Un’eco infinita, e io lì, col mio petto che si solleva appena. È una vertigine bellissima."

Ridevano, parlavano e la musica continuava. Ma Laura sapeva che da quando era entrata, un uomo in fondo alla saletta del bar la guardava, con un’attenzione che non invadeva ma c'era e l'ascoltava. Ed era bello, nel modo discreto di chi non aveva bisogno di mostrarsi. Gli notò la camicia chiara, lo sguardo intenso, pulito.

— "Ti sta guardando," sussurrò Giulia, seguendo i suoi occhi.

— "Lo so. Da quando sono entrata."

Arrivò l'ora di alzarsi. Il giorno seguente si lavorava. Giulia infilò il trench, Laura la sua giacca mentre lenta si voltava ancora.

— "Vai tu. Io ho dimenticato lo scontrino."

Era leggera Laura e stava sorridendo. Andò esattamente verso quel tavolo in fondo alla sala. Lui era seduto e la stava guardando incuriosito. Alto persino da seduto, bell’uomo, uno sguardo calmo che le restò addosso. 

Laura reggeva tra le dita laccate uno scontrino, estrasse una penna e poggiata al tavolo di lui senza nemmeno guardarlo, scrisse qualcosa. Piegò il biglietto, lo guardò negli occhi e sorride, lieve. Femminile. Intatta. Audace e silenziosa.

Lui la guardò assorto, lento, godendosi il suo viso. Stringeva un bicchiere di scotch liscio tra le dita, il liquido ambrato oscillò appena tra le sue dita. Non rispose, sorrise per tutto quel tempo breve.

Laura uscì nel vento fresco, dove Giulia l’aspettava. Non serviva dire altro. Camminarono nella sera, tra i lampioni, le promesse di viaggio, le risate, il loro volersi bene.

L'uomo allora aprì il biglietto.

Ebbe un tuffo al cuore repentino.

 

“Io credo negli sguardi che restano. Se ci credi anche tu, usalo!” 

 

Sorrise davanti a quelle parole dalla grafia elegante e piena, e a quel numero di cellulare in calce.

E intanto, poggiato allo schienale, finché le fu visibile dalle larghe vetrate, lungo la strada, la guardava diventare piccola...

Nell'aria rarefatta del bar, ancora Margo: 

All, all the poets studied rows of verse/And those ladies, they rolled their eyes.” cantava.

 

 

 

 

 

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Mi descrivo

...Mi avvalgo di una consecutio temporum affascinante...

Su di me

Situazione sentimentale

-

Lingue conosciute

-

I miei pregi

caparbia e consapevole

I miei difetti

laconica e schietta

Amo & Odio

Tre cose che amo

  1. nessuna
  2. le anime preziose
  3. nessuna

Tre cose che odio

  1. nessuna
  2. la mediocrità imbellettata
  3. nessuna
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