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Witchrensie

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Witchrensie 23 ottobre

 

Abbiate cura della fragilità altrui. E se proprio non ci riuscite, almeno rispettatela. Come si rispetta un semaforo, la fila al supermercato, l'ordine esatto delle parole nelle preghiere. Accettatela. Come gli occhi blu, neri, castani, quelli gialli dei gatti. Come la bellezza, l'intelligenza, la dolcezza, la riservatezza. Chi è fragile non è debole. Forse è addirittura più forte. Perché è abituato a sopportare il peso delle proprie insicurezze oltre a quello delle quotidiane difficoltà, nelle salite della vita. E vive ben due mondi. Quello dentro di sé, sconfinato e incerto, e quello fuori , che stuzzica i punti deboli  e urla forte in faccia. 
Abbiate cura della fragilità  altrui. È una  rosa d'inverno. È capace di grandi cose  come il mignolino, il dito più piccolo di una mano, che riesce , da solo, a far riappacificare. È una lucina che,  ormai padrona del buio, sa persino abbagliare.

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Witchrensie 09 ottobre

 

'La scema del villaggio". Così la chiamavano, in paese. Ma Elsa non era affatto scema. Amava leggere, amava scrivere. Aveva avuto solo la sfortuna di innamorarsi di un uomo sposato. La sfortuna e il coraggio. La sfortuna delle donne buone e il coraggio delle donne acerbe. Per Elsa, infatti, Alfio, era stato il primo amore. Per lui aveva imparato  a mettersi il rossetto  e a indossare il reggiseno nero con il pizzo, ad amare solo di notte, ad essere accomodante, a non chiedere niente. Si sentiva la donna più bella del mondo, desiderabile, insostituibile.
Per Alfio, lei era meravigliosamente inesperta, addomesticabile,  una sfida irresistibile.  
Poi, però, Elsa era diventata un impiccio, un pupazzo che all'improvviso parla e disturba troppo, un fastidioso ronzio nella vita ovattata e sporcamente quieta di un uomo con la cravatta al collo e la maschera sul cuore.
Si sa, i segreti d'amore corrodono tanto quanto l'eccitazione, ad un certo punto, si consuma. Elsa si fidava di Alfio. E dopo il suo abbandono, impazzì. O , almeno, così si disse. Cominciò a parlare ai cani della piazza, a sorridere sempre, a chiedere cibo per strada, a piangere sotto la pioggia, a regalare le sue poesie, scritte su fogli rosa, ai passanti. 

"La scema del villaggio". Così chiamavano Elsa.

 

Chissà se amare troppo, crederci troppo, sentire troppo, sia davvero da sciocchi. 

 

Chissà se ignorare ciò che scrive un matto, sia cosa davvero ragionevole. 

 

Una sua poesia diceva : " Recito follia, mio perduto amore. Tu, cravatta sul collo e maschera sul cuore".

 

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