Matsuo Basho
È primavera:
tenue nebbia
su una montagna senza nome
Matsuo Basho
È primavera:
tenue nebbia
su una montagna senza nome
Giorgio Manganelli
Ecco, diciamo che sta piovendo. Non fa freddo. L’acqua vi circonda con cura, non aggressiva, ma pervasiva. Una buona pioggia, professionale, seria. Il paesaggio è morbido, lene, pensoso. Pascoli, campi di avena, qualche boschetto dipinto dei colori giusti. Sotto la pioggia, mucche senza ombrello, tranquille, irrestringibili. Potrete anche vedere maiali che brucano.
nota apodittica
questo è un poeta ed è questa poesia.
far sì che si sentano gocce fresche di pioggia scorrere addosso
in questa siccità, meteorologica e umana.
tra spleen e saudade si celebri pure questo equinozio.
"Devono, tutti, andarsene e chiudere la porta e vivere isolati come fanno gli scrittori solitari, in una cella insonorizzata, creando i loro personaggi con le parole e poi suggerendo che questi personaggi di parole siano più vicini alla realtà delle persone vere che ogni giorno noi mutiliamo con la nostra ignoranza? Rimane il fatto che, in ogni modo, capire bene la gente non è vivere. Vivere è capirla male, capirla male e male e male e poi male e, dopo un attento riesame, ancora male. Ecco come sappiamo di essere vivi: sbagliando. Forse la cosa migliore sarebbe dimenticare di aver ragione o torto sulla gente e godersi semplicemente la gita. Ma se ci riuscite… Beh, siete fortunati."
Philiph Roth
STARDUST...
The God Called Poetry
Soltanto ora comincio a comprendere,
in queste notti, seduto a fare rime,
la forma e la misura di quel vasto
Dio che chiamiamo Poesia, che s’inchina
e salta attraverso cerchi di carta
ogni volta più in alto.
Mi piace pensare che diventerò
un grillo canterino o una cavalletta
che fa prodigiosi salti in aria
mentre le folle sbalordite, intorno,
mi fissano, e io canto, sempre più audace
fino a volare sulla spalla del mio padrone
frusciando tra i suoi folti capelli.
Più vecchio dei mari
più antico di pianure e colline
ancestrale come la luce che svasa
dalle ruote bollenti del sole.
Scuote la tempesta che strappa gli alberi
canta sopra i davanzali.
Ti ruggisce contro, oppure tuba,
grida e urla quando l’inferno scotta
cavalcando il suo guscio, spara.
Ti abbatte e ti soccorre
dove lo cerchi, non c’è.
Oggi, ad esempio, ha due teste
come Giano – calmo, benevolo, esatto;
e poi cruento, crudo: la barba dilaga
da parte a parte: dio smisurato
che spadroneggia su ogni ora;
stringe gli amanti nel bacio
sottrae il sole al temporale
tuono e odio gli appartengono
egli è il sì, è il no.
La barba nera mi parla, ha detto
“Benché l’uomo sia fragile
grida, schiocca la frusta, sii forte!
Infine, ti obbediranno:
collina e campo, fiume e palude
ti obbediranno, capriole e salti
al terrore della tua frusta
s’inchinano sotto il fragore della tua rabbia”.
La barba pallida mi parla, ha detto
“Vero: un premio si approssima
ma canta e ridi e corri ignaro
nel triangolo d’aria della pianura
tuffati nelle mie acque, bevi il mio sole
definisci con parole nude le mie creature;
ti verranno dietro
piene di grazia, senza dubbio né dolore”.
Parlò, infine, la sua doppia testa
il glorioso mostro terrificante
“Io sono il sì e il no
nero come la pece – bianco come la neve
amami – odiami – ricongiungimi
odio nell’amore – perfetto nella viltà
giustizia equanime è fatta
vita condivisa tra luna e sole
la natura ti maledice – ti sorride
dacché sei poeta, figlio mio”.
Robert Graves
nota verde della giada in petto:
inondo di bellezza questo momento non qualificabile. ristabilisco in ogni istante il mio equilibrio.
abbiate cura della bellezza che esplode dentro, rinfocolatela, espandetela, traboccate.
ep
OSCURATO
il potere delle chiavi.
La zanna governa,
dai resti del cretaceo,
contro l’attimo
mondiale.
PAUL CELAN
24 febbraio 2022
l’odore dei guanti di pelle di mamma, delle tonalità lilla, beige, salvia, ma pure bianchi candidi, neri lucidi.
lo shampoo, nella boccetta di vetro, di papà, con il tappo nero, dal profumo fastidiosamente attraente.
trascrivo questi due ricordi, di me, con occhi di velluto scuro capaci di assorbire concetti, modi, idee, in totale fiducia, confidando ciecamente nel mondo piccolo.
ora, in questo tempo in cui non voglio né potrei credere in qualcosa, per apparenze e maschere sovrapposte, con gli stessi occhi scuri di velluto, più vecchi, più vigili, disposti a meraviglia e schifo, mi sento in un romanzo di Bernhard.
ho sempre scelto io, con i miei occhi, sbagliando, cambiando, spogliando o agghindando.
oggi vedo questo momento di storia di cui, malgrado tutto, osservo il contenuto visibile e, inesorabilmente, l’infinito dell’uroboro si concretizza in testa.
la mia speranza non finisce. che non si impari mai nulla, assodato.
Riporto la trascrizione del dialogo sulla morte di Grumvalski, tratto dal film “La Haine”, mentre termino di leggere il saggio #Odio Manuale di resistenza alla violenza delle parole di Federico Falloppa, edito da UTET nel 2020.
Dal questo febbraio 2022, guardo il passato prossimo classificabile con #Andrà tutto bene, al presente indicativo ancora da catalogare con precisione ma fumante tensioni da ovest ad est di tipo bellico.
Desidero condividere solo questo.
Buon sabato (a Madame, Wood, Jea, Gian, Roberta, in particolare).
A presto, sto leggendo magnifici libri di poesia.
ep
dialogo da “La Haine” - “L’Odio”,
Mathieu Kassovitz
“Ci si sente meglio dopo una bella cacata…
Voi credete in Dio? Non bisogna domandarsi se si crede in Dio ma se dio crede in noi!
Avevo un amico che si chiamava Grumvalski. Siamo stati deportati insieme in Siberia.
Quando ti portano in Siberia nei campi di lavoro, si viaggia nei carri bestiame e si traversano steppe ghiacciate per giorni e giorni, senza vedere anima viva. Ci si scalda l’uno con l’altro ma il problema è che per liberarsi, per cacare, nel vagone non si può! e le sole fermate sono quando bisogna mettere l’acqua nella locomotiva.
Ma Grumvalski era parecchio timido e già quando dovevamo lavarci in gruppo si sentiva molto a disagio. Io lo prendevo un po’ in giro per via di questa storia. Insomma, il treno si ferma e tutti noi ne approfittiamo per andare a cacare dietro, dietro il vagone. Ma io gli avevo talmente rotto le scatole al povero Grumvalski che lui decide di andarsene un po’ lontano.
Insomma, il treno riparte. Tutti saltano su al volo perchè il treno non aspetta. Il problema è che Grumvalski che se n’era andato via dietro un cespuglio stava ancora cacando. Allora lo vedo correre fuori da dietro il cespuglio reggendosi con le mani i pantaloni per non farli cadere e tentando di raggiungere il treno. Io gli tendo la mano, ma come lui mi tende le sue, deve mollare i pantaloni che gli cadono alle caviglie. Ritira su i pantaloni e si rimette a correre… e i pantaloni gli cascano tutte le volte che Grumvalski prova a tendermi le mani”.
“Allora insomma, che è successo?”
“Niente. Grumvalski è… morto di freddo!”
“Del resto un insieme è sempre un insieme di particolari, di frammenti.” Vitaliano Trevisan