da qui incomincia il nuovo risorgimento, se veramente vogliamo che ci sia!!!!!!!
Non è ribellarsi, ma solo ripulire il "PAESE" dalle zecche e dalle iene e ritornare a diventare "PATRIA" terra dei nostri antichi padri)
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Mi descrivo
HO CAMBIATO IDEA
Su di me
Situazione sentimentale
-
Lingue conosciute
-
I miei pregi
-
I miei difetti
-
Amo & Odio
Tre cose che amo
nessuna
nessuna
nessuna
Tre cose che odio
nessuna
nessuna
nessuna
I miei interessi
Vacanze Ok!
Vacanze Ko!
Passioni
Musica
Cucina
Libri
Sport
Film
Libro preferito
Meta dei sogni
Film preferito
Vedere un Mondo in un granello di sabbia,
E un Cielo in un fiore selvatico,
Tenere l'Infinito nel cavo della mano
E l'Eternità in un'ora.
William Blake
La Stilografica
La stilografica prende vita nella
mia
mano,penna ormai antica , carica di
ricordi.
Il pennino scorre morbido sul foglio e per
una piccola magia ritorna al passato.
Un passato lontano che si è smarrito nel
lungo tragitto del tempo. Ora solo frammenti di
memoria,un ricordo sbiadito ma, persistente
nella mente.
Un bacio: quel bacio in quella che sembrava
sera,con quell'abetaia oscura alle nostre spalle. Tu:
alta,quasi austera, io: fragile , smarrito e
spaurito
Attimo, momento bellissimo, al
limitare di un mondo sconosciuto.
Tutto svanì : bruscamente, strabuzzando gli
occhi e sordo alle voci agitate intorno a
me.
Ti ho cercata per anni e anni. Quanti ne
sono passati...troppi.
A volte percepivo una presenza
gentile a ricordarmi quel momento,quel bacio,il primo ricevuto e
mai così ricambiato.
Ora sento che tornerai....Quanta è stata
lunga e dolorosa questa attesa! Timoroso.... credo di sapere chi
sei e grato di quanto amore mi hai donato.....a te mi
abbandono .
anonimo
Morti dentro
È stato un eterno litigio,cosa normale,le parole
erano volate pesanti e grevi,come avvoltoi affamati in attesa di divorare i resti di una
storia breve e lunga. Breve nel tempo, lunga nella sua intensità.
Soprattutto assurda,nata nella confusione e nell’incomprensione.
Parole lanciate come dardi con l’intento di ferire alla fine
hanno raggiunto l’obbiettivo
lasciando sul terreno un morto
dentro.
LA PROPOSTA (Parte seconda)
posso provvedere subito, qualcosa di adatto dovremmo averlo. Non
aprii bocca, ma non riuscii certo a impedirmi di formulare un
pensiero “… ma questo legge nella mente, doppio*azz* ha sicuramente
letto pure questo. Che pasticcio, qui la privacy è come quella di
un cittadino con il fisco. Tralasciamo questi pensieri cosi terra a
terra, concentriamoci sul presente, chiamiamolo così. Mi sarei
aspettato che per magia, no scusate, ma per potere divino sarebbe
comparsa una poltroncina, magari in pelle bianca, come ho visto una
volta in una pubblicità in tv, dove pure ti servivano un caffè
delizioso. No, invece no, sentii del traffico dietro alle mie
spalle ed entro un tizio o una tizia, di bianco vestito-a Non ci
crederete, con le ali, proprio, come ce li immaginiamo noi, nella
nostra fantasia. Un angelo: bocca aperta occhi spalancati:
l’aspetto della sorpresa che assume l’idiota, il mio. L’Angelo in
questione introdusse una sedia con braccioli, niente di che, nessun
stile, proprio una di quelle artigianali di una volta, la mise
accanto alla scrivania e con un sorriso celestiale nel volto
angelico, con gli occhi splendenti tra il ceruleo e l’oro, mi fece
cenno di accomodarmi. Non si poteva non accettare, anche se per
innato istinto di educazione mi veniva in mente la frase: si
accomodi lei prego. Antica forma di cortesia, antidiluviana, per
rimanere sulle soglie di questo mondo. Mi sedetti con un sospiro di
sollievo, mi sentivo improvvisamente stanco sia fisicamente che
moralmente. L’angelo svanì silenziosamente come era venuto. Ebbi il
dubbio che era stata tutta una sceneggiata a mio uso e consumo.
Un’illusione, come nei film per famiglia tanto cari alla tv.
Pazienza, anche se non capivo il perché di tutto questo
temporeggiare. Il tempo scorreva, silenzioso, la figura che a
malapena intravvedevo rimaneva immobile in contrasto con quella
luce violenta che entrava dal finestrone alle sue spalle. Provai il
desiderio di un paio di occhiali da sole.
Dopo un certo periodo di tempo, in un silenzio assoluto mi porse
attraverso alla scrivania una cartella, di quelle tipo ufficio,
abbastanza voluminosa, ma non in maniera eccessiva. Tenga -disse-
consegni questa per favore all’ufficio di fronte. Perplesso presi
con un gesto automatico quanto mi porgeva-vada – riprese- è la
prassi- Alla faccia della burocrazia, pensai, ricordandomi poi che
quello che pensavo era di pubblico dominio, ma alla fine che
importanza aveva? Meglio così, non avevi la soddisfazione di dirgli
in faccia quello che pensavi, ma per chi ti stava di fronte era la
stessa cosa. Tutto qui, avevano letto in me il mio problema, lo
avevano esaminato senza appello, preso una decisione e la pratica,
quella cartella, andava in archivio. La risposta al mio appello?
alla mia proposta? niente. Né un si né un no, nemmeno presa in
considerazione. Che sistema, meglio sulla terra, almeno lì ti
mandano una lettera con tanto di intestazione e la firma di un alto
funzionario per dirti che sono spiacenti ma che la richiesta non
era sta accolta, per i seguenti vari motivi, bla bla bla, tutti
elencati. O alla peggio per l’assurdità della richiesta stessa o
perché non era cosa di loro competenza. Un trattamento così spiccio
non me lo aspettavo, senza tanti riguardi presi la cartella chiusa
con un elegante nastrino azzurro, mi alzai, e senza nemmeno
prendermi la briga di salutare, uscii. Non sbattei la porta solo
perché era impossibile farlo. Mi diressi a quella di fronte e senza
bussare entrai. Qui l’ufficio che mi accolse non era affatto
luminoso, c’era un ometto, con gli occhialini cerchiati d’oro a
pince-nez che era chino su un qualcosa, a cui non feci molto caso.
Gli porsi la cartella, lui la prese e poi distrattamente la pose da
un lato -bene così – disse – può andare - dove? - chiesi. Mi guardò
attraverso gli occhiali, che rendevano i suoi occhi simili a due
uova pronte per un piatto di asparagi alla milanese – diamine, da
dove è venuto.
-tutto qui? – chiesi cocciuto Si tutto qui rispose l’ometto, forse
era un angelo anziano prossimo alla pensione, La strada per uscire
la conosce –è il corridoio a destra appena fuori da questo ufficio.
-ma – feci dubbioso – la mia richiesta? -Ha avuto il suo iter,
indicando con la mano il fascicolo che avevo portato. Si ma la
risposta? – insistei -non la conosco, io debbo solo riporre la
pratica in archivio, non so altro – aggiunse secco. Ero sempre più
sconcertato e anche incazzato, che sistema, non ho praticamente
parlato con nessuno, il colloquio richiesto non aveva avuto luogo,
e non mi era stata data nessuna risposta. Una soddisfazione! Era
troppo, ma capivo pure che impuntarsi, e mettersi a protestare a
voce alta, magari dicendo voglio parlare con un suo superiore non
avrebbe sortito nessun effetto. Forse si, ma talmente negativo che
era meglio andarsene, deluso e sconfitto come accade spesso nella
vita. Varcai la porta da cui ero entrato, questa svanì alle mie
spalle e non potei nemmeno sferrarle un calcio per esprimere il mio
risentimento. Ero di nuovo in quella micro radura, da me così
diligentemente spazzata, di nuovo sotto quell’alberello. Sconsolato
e vinto. Rannicchiato con la testa china tra le mani a meditare ed
a piangermi addosso come mi diceva spesso la mia amica Adriana.
Qualcosa non va? – di nuovo una voce Ma questa è una persecuzione
pensai alzando il capo. Avevo davanti a qualche passo di distanza,
un signore alto, slanciato, ben vestito. Un completo sportivo, un
po’ fuori moda, ma elegante, un paio di scarpe di vero cuoio,
anch’esse in po’ retrò, di stile anglosassone. Mi guardava
dall’alto della sua statura. Un signore di mezza età, con un volto
ancora liscio, senza segni marcati del tempo, dalla carnagione
chiara, con i capelli scuri pettinati all’indietro piuttosto corti,
con sfumature di grigio. Occhi dal colore indefinito, labbra
sottili, mento piuttosto deciso. Mai visto in vita mia, questa era
in realtà la cosa più importante.
La domanda era gentile, il tono quello di una persona incuriosita e
nel contempo preoccupata. Decisamente la mia postura aveva attirato
la sua attenzione, e la curiosità lo avevo spinto a pormi la
domanda. -no no, va tutto bene – risposi cercando di alzarmi e
darmi un contegno più disinvolto. Mi sentivo imbarazzato, non ero
certo nelle condizioni migliori, in piedi, magari appoggiato con
una mano all’albero, avrei potuto fare ancora la mia figura. Così,
accovacciato, dovevo sembrare un vecchio barbone in attesa di
smaltire la sbornia procuratami con gli spiccioli dell’ultimo giro
di accattonaggio. Feci un tentativo d’alzarmi, puntai le mani
sull’erba in cerca di appoggio per darmi lo slancio, ma il signore
che avevo di fronte, interruppe il mio sforzo. Andiamo bene, che
non sia un rompiballe o peggio? Ci manca anche questo, pensai. Che
cavolo glielo fa fare. Curiosità, ha tempo da perdere, Pietà? Ma
manco se ne parla, oggi la pietà e tutti gli altri accessori tipo
misericordia, solidarietà ecc. sono solo ricordi. Ognuno fa per sé,
chi resta indietro è perduto, nessuno più si ferma. Non è vero! a
volte ti aiutano, specialmente quando sei li fermo irrigidito e
silenzioso ed emani un cattivo odore. Allora passano a raccoglierti
e provvedono alle tue necessità, che sono a ben pensarci anche le
loro, anzi più loro che tue. Sempre a fare considerazioni balorde.
Hai una brutta mania, sei un pessimista, lo sei sempre stato fin
dalla nascita, piantala una buona volta. Sempre questa Adriana, con
il suo tono sferzante. Vengo volentieri da queste parti, incominciò
il signore che voleva farmi compagnia, una passeggiata tutti i
giorni, fuori dalla città, fa un gran bene alla salute. Ammetto che
qui siamo solo in periferia, ma aiuta comunque. E’ la prima volta
che la vedo, da queste parti, io passo di qui più o meno a
quest’ora, forse lei ha altri orari.
Stava piegato sulle ginocchia, come se niente fosse, senza
dondolio, con le mani sfiorava l’erba, e alla fine trattenne uno
stelo tra le palme delle mani congiunte. Io lo osservavo
silenzioso, non ero certo di buon umore, poi di che diavolo
potevamo conversare. Pensavo: bei posti per fare passeggiate con
tutto quello che ho raccolto proprio qui! Solo a vederlo e facendo
le dovute considerazioni, tra lui e me c’era una distanza abissale.
Parliamo del tempo, pensai, è un argomento neutro, non fa male a
nessuno. Basta non scivolare dal tempo alla sua influenza
sull’uomo, tipo reumatismi, sciatiche ed accidenti vari. Magari se
ne va subito, quando capisce l’antifona ed io ritorno a meditare su
quanto mi è accaduto. Non sono un frequentatore di questi luoghi,
risposi, oggi è un caso che mi trovo qui. Non credo che avrò
occasione di ritornarci. -Ha approfittato della bella giornata – mi
rispose considerano l’aria intorno Che cosa gli dico ora, mai si,
la solita risposta, mezza verità. -Oggi avevo il desiderio di
approfittare della bella giornata e ho fatto i soliti quattro passi
senza meta. -E’ stata una buona idea – aggiunse -Però quando l’ho
vista, mi sembrava che non stesse bene, e poi mi perdoni la mia
curiosità, quando ha alzato il viso mi sono chiesto, sembra molto
anziano, che fa qui da solo? Lo so, la mia è una impertinenza, ma
sono un tipo curioso, e poi di un’altra epoca, forse lo intuisce
dal mio modo di vestire. Ma guarda questo, che parlantina! Pensava
che uscissi con la badante appresso. -ho una certa età, risposi,
gli anni passano veloci e non hanno ancora preso l’abitudine di
fermarsi. Sorrise alla battuta, direi tanto per compiacermi. È il
ciclo della vita, in tutti i suoi passaggi, se si ha la fortuna di
farli tutti. Continuai.
Fece cenno con il capo, come approvazione di una osservazione così
banale. Ancora, pensai che il suo modo di fare era tanto per
compiacermi, cercando di evitare quell’aria di superiorità che
avrebbe dovuto assumere davanti a tante ovvietà. Si può sapere a
cosa mira costui? Cosa si cela dietro questa affabilità che non mi
convince? Che vuole da me? La mia fantasia incominciava a galoppare
e l’immaginazione correva con lei. Un rapinatore? Un serial Killer?
ma sei scemo? Magari è gay? Risata interiore, un gay che cerca
approcci con un ottuagenario? Peggio, sarebbe messo male, molto
male, più di me. Stiamo a vedere, alla fine si scoprirà a cosa
mira. Con tutti questi pensieri stravaganti che mi frullavano nella
testa, avevo fatto una pausa prolungata, simile a quelle dei
dipendenti dell’ufficio raccolta domande di Nostro Signore, che
anch’io incominciassi ad abituarmi a considerare il tempo una
eternità? Vedo che è immerso nei suoi pensieri – riprese il signore
vestito elegantemente – non vorrei disturbarla, ma ho l’impressione
che stia rimuginando qualcosa. Ho qualche esperienza, ed ho colto
nel suo atteggiamento di prima un senso di delusione, come se gli
fosse accaduto qualcosa che non s’immaginava e che gli ha dato una
pessima impressione. Mentre parlava continuava a trastullarsi con
sto filo d’erba che tratteneva tra le mani, la cosa accresceva il
mio nervosismo. In effetti si, devo essermi addormentato e debbo
aver fatto un sogno poco piacevole. Per fortuna la sua venuta mi ha
svegliato, così è sparito nel nulla. Le sono grato. Cosa cavolo sto
dicendo, invece di dirgli, ma Lei non può impicciarsi dei fatti
suoi, che cazzo è venuto a fare da queste parti, mi ha spaventato
quasi, se ne vada, continui la sua passeggiata, e non mi rompa i
coglioni. Mi sono invece messo a parlare come se fossi seduto in un
salotto con le poltrone di velluto, con in mano una tazzina di fine
porcellana sorbendo un thè. Dialogando con fare cortese e pure
affettato ad un damerino seduto davanti a me. Che mi prende?
Non è nulla - riprese – è stato il caso, passavo di qui sulla
strada del ritorno e l’ho vista, non volevo disturbarla ma mi è
parso opportuno farlo. Dagli, ma questo da dove viene, mi sembra di
essere tornato indietro di secoli, che gli rispondo? Ora mi alzo e
faccio pure l’inchino e poi scappo. Comunque la ringrazio – dissi –
mi ha svegliato da un incubo, ora tutto è passato. - sicuro? -
riprese - spesse volte gli incubi sono così vividi da sembrare
realtà, si confondono con essa. Anche per i sogni succede la stessa
cosa, certe volte sembrano così veri, che quando ci si risveglia ci
vuole un po’ per distinguere la realtà dal sogno. I sogni comunque
sono più piacevoli e qualche volta bellissimi. Le è mai capitato di
farne? - capitano a tutti di farne – risposi –sia gli uni che gli
altri, gli incubi si attribuiscono ad una cattiva digestione, così
si delimita subito il problema; i sogni, uhm i sogni dipende da
cosa trattano. C’era un tale tempo fa che ne ha fatto uno studio,
ma non mi ricordo più chi sia - Freud – interloquì il signore- mi
ricordo il nome Si proprio lui, confermai, ma oramai sono teorie
passate di moda, ora credo che ce ne siano altre, più moderne.
Intanto guardavo le sue mani che continuavano a circondare quello
stelo d’erba. Mi facevano venire un nervoso. Mi veniva voglia di
strapparglielo dalle mani, se lo avesse lasciato in pace, o lo
avesse colto sarebbe stato meglio, più tollerabile. Poteva anche
metterselo in bocca a modo di stuzzicadenti, masticarne un pezzo.
Poi un filo d’erba, non uno stelo di un fiore con il fiore
compreso, mah lasciamo stare. Cerchiamo di guardare altrove. Ma
ritornando a lei – riprese – il suo era un incubo o un sogno?
La domanda mi colse di sorpresa, ma che cosa vuol dire, mi sembra
inopportuna.Non si allarmi – mi disse, forse aveva colto un mio
moto di sorpresa e di ribellione – è una domanda puramente teorica,
che si adatta alla sua recente esperienza. Direi- riprendendo il
filo del discorso – che è incominciato come un sogno stravagante ed
è terminato con un incubo. Anzi come una grande delusione. Certi
sogni hanno del fantastico, sono irreali, ed è ovvio che al
risveglio lascino un senso di vuoto e di delusione. Così, senza
accorgermene ero scivolato nella confidenza. Pensandoci bene,
dovevo pur sfogarmi con qualcuno. Dopo una fregatura del genere,
uno per non esplodere deve pur raccontarla. Alla fine meglio un
estraneo in cui al massimo avrebbe destato curiosità, o che la
stravaganza del racconto lo avrebbe portato a pensare che sei un
suonato da cui, dopo avergli detto che condividevi l’estrosità del
suo sogno e la strana conclusione così assurda, dal sapore
grottesco, avrebbe tagliato la corda, con un sospiro di sollievo.
Mi ascoltò senza interrompermi, sembrava attento e concentrato.
Cosi mi ero illuso. L’unica cosa che mi urtava era quel maledetto
stelo d’erba con cui giocherellava. Alla fine, quando avevo
terminato, tirando un respiro di sollievo liberatorio, il distinto
signore di una eleganza un po’ retrò, lascio trascorrere il tempo
in silenzio. Ma tutti hanno questa mania? o proprio non sanno che
cacchio dire? E vai, almeno un commento, una parola di conforto.
Non pretendo una seduta da strizzacervelli gratuita, ma qualcosa
no? È ora che me ne vada, sfogato mi sono sfogato, il distinto
signore mi ha sopportato, che altro posso pretendere? Che mi
allunghi un compenso per il mio racconto? Stavo raccogliendo le
forze, per puntellare le braccia sul terreno e darmi la spinta per
cercare di alzarmi, senza troppi scricchiolii, con volto magari
serio, se non sorridente, comunque senza smorfie che accentuassero
lo sforzo quando il signore vestito di una certa eleganza tipo anni
venti si decise a dire qualcosa.
Stavo per rispondergli, ma lui mi zittì con un gesto e
prosegui-penso che in quello che mi ha raccontato qualcosa di
-Certo che il suo sogno è strano, per non dire irreale, ma è sicuro
che era un sogno? reale ci sia, almeno l’idea della sua richiesta.
Poi le cose non sono andate come voleva lei, sarei rimasto
meravigliato che la sua richiesta fosse stata accettata. Se ci
pensa bene, non la trova un pochino assurda? Ci rifletta bene. Le
scatole, quelle che girano, le mie, erano al numero massimo dei
giri, ma chi è costui che viene a dirmi che la mia proposta era
assurda, che ne sa lui dei miei ragionamenti e delle mie necessità.
Non conosce il libero arbitrio, la libertà di pensiero? Poi il modo
in cui mi hanno trattato, a pesci in faccia, altro che bontà
divina! In verità non aprii bocca, ero solo pentito di aver narrato
la mia piccola avventura, e le sue considerazioni non mi erano
gradite. Tormentatore di fili d’erba! La saluto – mi disse
alzandosi agilmente – ora devo andare Salve risposi io senza
entusiasmo. -una cosa ancora… i quadri alle pareti se li sono
fregati i visitatori che l’hanno preceduta. Strani gli umani,
aggiunse. Non feci a tempo a rispondergli che era già lontano. Mi
sollevai a fatica, spesso mi dico facendolo, è la verità, quando
dicono che gli anni pesano. Una volta in piedi, cercai di
sistemarmi gli abiti che si erano sgualciti, e nel farlo mi cadde
l’occhio su un fiore che prima non c’era nell’erba, mai visto un
fiore così, simile ad una margherita, ma con meno petali e molto
più grandi, ognuno di colore diverso, armoniosamente disposti, al
centro un bottone rosso scuro lucido e vivo come una goccia di
sangue. Volevo chinarmi per raccoglierlo, ma mi trattenni non era
un gesto bello. Una alzata di spalle e mi avviai zoppicando
pensando. ESIBIZIONISTA! E non compresi che era per me.
praga
C’era un volta :tutte le favole
iniziavanocosì.
Era un bel modo per raccontare una storia vera o
fantastica che fosse,un modo per sognare o per narrare un fatto
accaduto evitando di infastidire troppo chi non gradiva la verità
o tanto meno i pensieri
espressi.
Oggi le favole non ci sono più,o meglio qualcuno
ne racconta, qualcuno le vive , ma
rimangono circoscritte e silenziose.
E’ quello che accade alle storie vere, quelle
che con il quotidiano hanno poco a che fare,per quest’ultimo,
esiste la cronaca,scarna e breve
come un riassunto o romanzata e farcita dalla fantasia di un
cronista, sulle pagine di un
giornale.
Si leggono per curiosità,ma un attimo dopo c’è
se ne dimentica e tutto prosegue senza lacrime o sorrisi .
Poi se la storia non è violenta non ha credito,
più sanguinosa e truce è più spazio occupa,allora si scende nei
particolari quelli raccapriccianti contornati da pettegolezzi e
da si dice, ma anche così dopo pochi giorni finisce l’interesse e
nuove storie ne prendono il posto.
Altro spazio lo occupano il Gossip il
pettegolezzo futile e scandalistico e tutti siamo felici di
sapere cosine così osè di
puttanelle e maschioni poco degni
di essere nominati e vantati come esempio da imitare..
Tra tutti questi avvenimenti ci sono storie più
vere, per questo fantastiche e incredibili, percepibili solo ad
animi sensibili,che ancora poverini credono nell’amore e nella
felicità nella sua forma semplice e pura , ma dove vivono questi
?
Per il vero una di queste strane creature vive
qui,non proprio qui, ma abbastanza vicino, sulla riva di un
fiume, un fiume che attraversa Praga e la divide in due,la
Moldava.
Calmo e lento,maestoso e solenne in questo
periodo dell’anno,con il vento gelido che sibila sotto il ponte
di S.Carlo.
Questa strana creatura che credeva nell’amore e
nella felicità che da esso scaturisce e che per fortuna vive
ancora,nonostante le vicissitudini
che hanno stravolto la sua giovane vita,ha avuto un momento
magico proprio sulla riva della
Moldava.
Giovane carina con i capelli scuri,nata per la
vita, con il desiderio di viverla e di assaporarne la gioia e
aperta all’amore ha avuto una delusione.Si la solita
delusione,quella d’amore.
Frequentava l’università,belle lettere,come si
dice,ed il suo animo era pregno di poesia e di sogni.
Come quasi sempre accade incontrò il suo primo
amore proprio sulle scale della sua facoltà di lettere,in mezzo
ad una rumorosa e scanzonata
compagnia.
Sguardi che s’incrociano,cuori che accelerano i
battiti.Quella corrente di simpatica che fa vedere tutto sotto
un’altra luce.
Praga già belle era diventata ai suoi occhi
bellissima,la bella stagione era fantastica e l’aria tiepida le
riempiva l’animo di beatitudine.
Era convinta che il suo era un grande
amore,l’amore di tutta la sua vita,si sentiva come benedetta
e nella cattedrale in cui si
recava, non spesso per il vero,si rivolgeva a S. Vito
riconoscente come se il merito fosse il suo.
I primi baci i primi timidi sorrisi e i primi
rapporti erano un incanto,quando era tra le sue braccia il mondo
le apparteneva. Fuori città lungo le rive fiorite del grande
fiume visse momenti incredibili di piena felicità, una felicità
senza fine.
Le giornate si susseguivano così : con i loro
incontri e i loro sogni , parlavano di una vita insieme lunga e
piena di promesse e di cose da fare insieme, la casa, si una
casa,non un semplice nido d’amore, ma una casa nel quartiere bene
al di la del ponte Carlo a Mala Strana, la parte più bella della
città.
Solo sogni di un futuro,mentre si studiava
ancora e si passavano le serate in compagnia di amici,o si
passeggiava per le vie divenute attrazione per i turisti con le
vetrine colme di lusso e di improvvisa ricchezza.
Tutto ha una fine,vicina o lontana che sia, e anche se si cerca di ignorarla
arriva comunque senza neppure guardarci in faccia.
Lei,(*) non lo sapeva ma un pomeriggio al
principio dell’inverno,dopo una così bella e lunga estate ed un
autunno così carico di colori e di romantici tramonti si sentì
rabbrividire,non per il freddo,ma dentro di se qualcosa si stava
raggelando,come se all’improvviso l’inverno fosse penetrato in
lei,sentiva che stava accadendo qualcosa.
Non lo sapeva ancora, ma mancava poco una sera
al tramonto raggiunse il solito luogo dove aveva appuntamento,e
questa volta lui, il suo lui non c’era ancora,un ritardo,non era
mai capitato,ma doveva pur
accadere,come sempre c’è una prima volta.
Arrivò una mezz’oretta dopo,con passo svogliato
e strascicato,le andò incontro,lei gli sorrise pronta a gettargli
le braccia al collo come faceva ogni volta per esprimergli la sua
gioia ed il suo amore,ma questa volta si trattenne come se nel
passo di lui leggesse quello che stava per accadere.
Tra loro ci fu un saluto,quasi formale date le
circostanze, e di comune accordo si incamminarono fianco a fianco
senza tenersi per mano,dandosi solo brevi occhiate.
Non si dissero molto,ma lei comprese che la
bella storia d’amore che aveva riempito la sua vita era finita ,
si era spenta come la fiamma di una candela agitata dal
vento.
Passarono giorni e giorni d’angoscia,di lacrime
e ricordi diventati dolorosi. Per molto tempo non s’incontrarono
e le poche volte che accadde tra loro rimase solo un debole
sorriso ed un imbarazzo profondo,e
gli occhi che prima amavano incrociarsi in mute promesse erano
diventati sfuggenti e lo sguardo si perdeva oltre .
Ormai l’inverno era giunto al suo culmine,il
freddo era intenso,il cielo fosco e qualche rado fiocco di neve
scivolava silenzioso nell’aria per adagiarsi sul suolo.
Era una di quelle sere in cui il tormento ed il
dolore erano più vivi,e come spesso le accadeva ripercorreva come
una sonnambula la strada dei suoi momenti più felici.
Quella sera mentre attraversava il grande fiume
sul vecchio ponte ebbe la tentazione di fermarsi e di guardare
oltre il muretto.
Sotto di lei l’acqua scura scorreva lenta come
sempre,formando un piccolo gorgo intorno ai pilastri che affondavano nel profondo.
Era ormai scuro,e la strada era deserta,le luci
fioche e tranne il mormorio della città sulle sponde nient’altro
s’udiva.
Si sporse un poco oltre, come attratta da
quell’acqua scura come se in essa vi fosse quello che le
mancava.
Da quando si erano lasciati,senza nemmeno dirsi
o capire il perché la sua vita era cambiata,non frequentava più
l’università,aveva perso ogni interesse,la mente era
confusa.
Aveva scelto di lavorare,e lo faceva presso un
negozietto in piazza Venceslao,nel cuore della sua città, che
aveva amato fino a poco tempo prima ma che ora in ogni angolo le
ricordava dolorosamente il passato appena trascorso.
L’acqua scorreva silenziosa,le brume della sera
si addensavano e i fiocchi di neve sempre più fitti volteggiavano
bianchi e scomparivano nel fiume,sembravano un richiamo,un invito
a cui non si poteva dire di no .
Teneva il capo chino oltre la balaustra opaca e
grigia,come se ascoltasse il richiamo,con i capelli che le
scendevano dalla fronte quasi a coprirle il volto.
Quanto tempo è durato questo momento,cosa
sarebbe accaduto da li a poco?,ormai era ritta sulla punta dei
piedi sempre più protesa verso le acque scure e gelide, solo un
attimo ancora,con tutta la sua breve vita che scorreva veloce
davanti ai suoi occhi.
L’acqua strusciandosi contro i piloni del ponte
produceva un suono leggero,quasi armonioso,una musica che pian
piano si amplificava nella sua mente.
Tutto era raccolto in quel momento passato
presente e futuro,un solo attimo,un lampo nel nulla.
Ecco che….un suono nuovo la raggiunse…una
voce umana .copri il mormorio del
fiume
-Ciao – disse dolcemente – è tardi dobbiamo
andare - soggiunse.
Si risollevò di scatto,voltò il capo
attonita,sorpresa,intravide solo
una figura leggermente curva nella tenue luce.Si stava
allontanando,poi si soffermò come per attenderla e appena lei
mosse i primi passi prosegui.
La piccola storia dal sapore di cronaca finisce
qui….ma non finì sui giornali non ne aveva i requisiti,che
peccato vero!
Lei ora è più serena e sembra che abbia superato
quel brutto momento e pensa ancora a quell’ombra ,apparsa
all’improvviso e all’improvviso, svanita al limitare del
ponte,dove la luce delle strade era più intensa.
Storie di Praga,città amata da Kafka
per la sua strana vita così segreta che nessuno osa
raccontarla.
Al ricordo di tutto ancora sento una stretta al
cuore ed un groppo in gola …una gran voglia di piangere.
laulu
Il mio mare si perde lontano, é grigio
, é freddo, viola è il cielo , non ha spiaggie su cui
sostare...
Il sogno
Svegliandomi mi sono ripromesso: devo raccontare e scoprire il
significato di questo sogno. E’ un’azione che debbo a me stesso.
Poi riflettendo mi sono accorto che avevo solo pensieri ,che come
al solito si rincorrevano e si accavallavano l’uno sull’altro
incoerenti e quasi rissosi tra loro. Faccio un tentativo di
riordinarli, di metterli in fila,renderli intellegibili,ma alla
fine rinuncio e li butto giù come vengono. Sono iniziati così,
a casaccio, ancora nel dormiveglia del primo mattino,quando,le
ombre dei sogni permangono nella memoria e la realtà del giorno non
si è ancora fatta strada. Avevo fatto un sogno, magari solo un
flash di pochi secondi. Chissà quanto sono lunghi i sogni? poi che
narrano? Nostre azioni,nostri desideri, o storie che non ci
appartengono e che nei momenti di abbandono entrano nella nostra
mente per narrare di se stesse?
Per me questo
sogno ha qualcosa di particolare.
Un sogno di poche immagini, come le ultime sequenze di un film.
Un volto, degli occhi di un colore così chiaro quasi simili ad
un’acquamarina. Un volto di
giovanetta, e un corpo appena
delineato avvolto in un vestito da ballo,quelli di una
volta,lunghi fino ai piedi ed ampi a ruota e stretti in vita. Il
colore dell’abito? ,oddio, non ricordo il colore, chiaro,rosa,
color panna,mah,non ne ho idea. Ricordo solo quel volto un poco
pallido, quel tenue sorriso che increspava le labbra sottolineate
da qualcosa di rosa, la mano, piccola, raccolta nella mia , la
sua vita sottile avvolta nell’abbraccio del ballo. No, non certo
un ritmo di oggi, non un agitarsi
od un dimenarsi come s’usa a ricordo di antiche usanze tribali,ma
qualcosa di lieve e soffice, come quando volteggiando si vorrebbe
prendere il volo. Un ballo,un ballo incompiuto,perché altre
braccia si sono protese, altre braccia ci hanno allontanato l’uno
dall’altro,stupito, senza comprenderne il motivo .
Ci siamo incontrati una sola volta, quella sera,
ad un ballo studentesco. Una favola che avrebbe dovuto
incominciare e che si è cristallizzata come per un incantesimo in
pochi attimi. Uno sguardo in cui c’era tutto,
ammirazione,desiderio,affetto. Due mani che strette nella danza
si dissero tutto,comunicando l’una con l’altra apertamente.
Dicendosi: sta accadendo qualcosa
di grande,di profondo,ho paura, tremo un po’, non ho mai provato
l’amore. Uno sguardo che pregava, una voce interna che faceva
vibrare le labbra: appena una
implorazione, non lasciarmi ti prego, non voglio perderti!Come
nel sogno, tutto finì, in quelle poche sequenze,nemmeno il tempo
di dirsi ci vediamo, magari a scuola, all’ingresso,nel corridoio
,durante l’intervallo .Non ci siamo più rivisti,ne a scuola ne
altrove. Nemmeno gli amici a cui chiesi invano di avere sue
notizie esaudirono mai la mia richiesta. Svanì come era
apparsa,lasciandomi solo un sorriso dolcissimo e triste, due
occhi celesti che mi guardavano con
abbandono e la sensazione della sua
mano morbida che stringeva la mia e che al cessare della musica
in essa si tratteneva. Sono passati anni da allora,il liceo era
ormai alle spalle, e come tutti, guardavo al futuro,lontano dal
luogo e dal tempo di questo incontro. Come ci si rassegna
facilmente,non tutti siamo così forti da lottare con la tenacia
necessaria,ci si consola, e alla fine ci si auto-convince: è
stato un sogno, uno scherzo crudele,mi sono ingannato, e così tra
una supposizione e l’altra avevo pensato di aver superato la
cosa.
Infatti col tempo era
diventa la “cosa” C’era un epilogo diverso in agguato: che mi ha
fatto sentire disperato e colpevole. Il caso, l’ironia,la sorte,
o qualsiasi altro maleficio di cui abbonda questa terra mi ha
portato un giorno , non ricordo neppure il motivo, a visitare un
ospedale. Seguendo un medico amico,che mi illustrava la sua
attività. Camminando attraverso i padiglioni , un poco annoiato e
distratto ,di questo grande
nosocomio,leggevo, sui vetri
smerigliati delle porte, che separavano i padiglioni gli uni dagli altri ,le dediche ai
donatori ,che avevano contribuito alla loro realizzazione. Ad un
tratto,incredulo,bloccato, in mezzo ad una corsia con gli occhi
sbarrati ed increduli lessi un nome. Un dolore lacerante mi
percorse e avrei voluto gridare quel nome e dire no, no, no!. Lei
proprio lei, il suo nome spiccava trasparente sul vetro opaco.
Nome e cognome cristallizzato nel tempo. Non dissi nulla
all’amico meravigliato del mio atteggiamento: lui poi si dilungò
a spiegarmi che molto dei nuovi padiglioni erano stati donati da
mecenati, in memoria di familiari deceduti. Io assentivo e dicevo
che spesso il dolore porta ad opere di generosità a sollievo di
altri. Mi sentivo un ipocrita, e l’unica cosa che volevo sapere
era cosa era accaduto e quando. Curiosità, desiderio di capire o
di consolare me stesso,un miscuglio di sentimenti che esprimevano
nel loro insieme un dolore rimasto nascosto per anni. Non seppi
trattenere a lungo questa incertezza. Andai pochi giorni dopo a
casa di lei,dalla sua famiglia che ben conoscevo, ma sulla porta
mi trattenni, non sapevo cosa dire,non sapevo come
comportarmi,feci marcia indietro, mi sentivo un estraneo
inopportuno, come allora.
Mi ricordai degli amici di quei tempi ,forse
loro sapevano,alcuni erano pure parenti, cugini, se ricordavo,
forse alla lontana,ma sicuramente informati. Ebbi fortuna con
loro, non si erano allontanati dalla città in cui vivevano fin
dall’infanzia,anzi ormai adulti lavoravano nell’impresa di
famiglia, ben radicati come si dice. Mi accolsero
calorosamente,felici di vedermi dopo tanto tempo, lieti di
ricordare le scorribande e le avventure spericolate di
un tempo, quando eravamo una
compagnia unita ed affiatata. Piano piano,scivolando da un
argomento al’altro,si arrivò a ricordare anche le feste
studentesche e il famoso ballo. Ci fu una pausa di silenzio,quasi
un senso d’imbarazzo tra noi, come qualcosa che avrebbe dovuto
accadere e che rimasto in sospeso.
Un incrinatura nella nostra amicizia, impercettibile, ma che
esisteva da allora. Uno dei cugini,il maggiore di due fratelli
alla fine prese la parola e a ricordo di quella sera mi disse: ti
dobbiamo una spiegazione ,non è che ci dispiacesse se tra
M* e te fosse nato qualcosa, anzi,
ne saremmo stati felici. ti
consideravamo come un fratello, ma c’era una cosa che tu non
sapevi e giudicammo inopportuno informarti. Soprattutto, avevamo
compreso che tra voi si sarebbe sviluppato un sentimento molto
forte ben oltre l’amicizia. Ma! - stavo per intervenire - lui
fece un gesto secco e m’interruppe. Poi proseguì: M* era malata,molto malata, e quella sera era
un caso che fosse con noi al ballo, era un suo desiderio e noi
l’avevamo accontentata prendendoci l’impegno di sorvegliarla e di
proteggerla, anzi di custodirla con l’affetto e la dolcezza
sapendo la sua situazione.
Così, vedi, ci siamo intromessi: era doloroso e
tragico per entrambi , l’illusione di qualcosa che non si sarebbe
mai potuta avverare, sarebbe stata una beffa atroce. Non ti
chiediamo scusa del nostro modo di agire, siamo
sicuri di aver agito in modo
giusto. Ora lei riposa in pace , tu hai la tua vita davanti a te.
Il fratello assentiva tacito. Così venni a sapere che morì pochi
mesi più tardi, si spense per uno
di quei maledetti mali che la medicina non sapeva curare e di
tutto questo ne rimasi ignaro per anni. Accettai la loro versione
e le loro decisioni di un tempo,che altro fare? Dentro di me le
cose erano ben diverse il mio cuore era in tumulto un senso di
ribellione mi si agitava dentro di me: la trovavo una crudeltà
averci separati sul nascere dei
nostri sentimenti, e di aver tolto a lei, anche se per poco
tempo, momenti di gioia e di felicità. Forse non hanno compreso
che l’amore è un dono che si da e si riceve e che non ha misure.
Le loro considerazioni così logiche e sagge erano nella realtà quelle giuste, ma non per
l’amore. Di lei solo un nome scritto sull’ingresso di una corsia
di un luogo di dolore e di speranza dove non tornai mai
più.
Questa è l’interpretazione e conclusione di un
sogno,che da anni si ripete,in quelle poche sequenze come il
finale di un film, solo una storia interrotta senza la parola
fine.
LA PROPOSTA (parte prima)
Anno 2014 d.c. Il mondo è in crisi economica, i continenti che lo
compongono soffrono dei grandi scompensi monetari. L’Europa è in
grave difficoltà, i giornalisti si affannano a descrivere la
situazione a tinte fosche ma con un soffio di speranza che tende al
rosa pallido. Hanno sempre un tunnel a disposizione ed uno sguardo
acuto per intravedere un bagliore in fondo, ma proprio in fondo.
Tra i paesi maggiormente coinvolti c’è pure il paese dove vivo e
abito. Sob ! . Quindi per deduzione si giunge alla conclusione che
pure io, singolo individuo, sono coinvolto in questa crisi, ed
essendo solo una particella di questo sistema, nulla posso fare per
modificare la situazione così tragica. Non leggete i giornali
comunque, per favore, vi fareste delle idee sbagliate e confuse
sulla situazione. Poi quello che dicono non ha alcuna importanza,
come nel mio caso in particolare. Così, dopo aver ben ponderato la
situazione, controllato le mie finanze, la mia situazione
economico-familiare e fatti i dovuti calcoli in previsione del mio
futuro ormai prossimo ho deciso di chiedere udienza a chi tutto può
e se, quando vuole, nessuno può impedirgli di farlo. C‘è chi lo
chiama Dio, chi Nostro Signore e chi Padre Eterno e chi con altri
appellativi altrettanto ossequiosi e munifici. Pensando a Lui come
Padre Eterno, mi sembrava, l’appellativo migliore con cui
rivolgermi in questo frangente. Così ho fatto. Scelto un posto,
discretamente isolato, la riservatezza è d’obbligo in certi casi,
meglio nella natura che in una città, anche se in quest’ultima,
l’isolamento dei singoli non è messo male. Trovato un piccolo
spiazzo, abbastanza pulito, solo qualche cartaccia, un paio di
bottigliette di birra vuote, una lattina di coca, due preservativi
usati seminascosti nell’erba simbolo d’amore o di sesso e poco
altro.
Sgomberare il luogo da questi emblemi di civiltà avanzata è stato
abbastanza facile. Alla fine si presentava bene, era ritornato
discretamente allo stato naturale di un tempo. Dimenticavo, nella
micro-radura c’era pure un alberello stentato, con pochi rami, che
si protendevano disperati verso il cielo, aveva foglie verdi
tondeggianti che dondolavano dolcemente sospinte da una brezza che
non percepivo. Non sono un esperto di approcci con il Padre Eterno,
non conosco i rituali con cui mettersi in contatto, avendo
frequentato poco le persone che hanno il privilegio di avere linee
dirette, conoscenze o particolari intermediari a cui raccomandarsi.
La soluzione fu di accoccolarsi al piede dell’albero secondo le
antiche usanze tribali. (Queste usanze me le sono proprio
inventate) Una faticaccia, non sono così giovane e atletico come un
tempo, ma nemmeno vecchio come Matusalemme da essergli stato
compagno di giochi. Non voglio derubarlo del primato, facciamo una
via di mezzo, tanto per dare un’idea giusta dell’età. Le giunture
delle ginocchia scricchiolano ad ogni movimento, schioccano come
piccole castagnole nei giorni di festa, i muscoli si presentano
allentati e penzolanti simili alle peggiori bretelle sfibrate che
possiate aver mai visto. Alla fine ci sono riuscito, un simile
sacrificio era dovuto, visto l’importanza del colloquio. Rimasi in
attesa del mio turno, come è d’uso, nella sala d’aspetto del medico
della mutua, sempre che ci fosse un turno per accedere al colloquio
da me mentalmente richiesto. Le ore passavano, e non succedeva
nulla. Transitò un insetto, non ben identificato, fece il giro
delle mie scarpe, chissà, incuriosito della novità o forse perché
aveva perso l’orientamento, non c’erano più le bottiglie di birra e
la lattina che riluceva al sole che gli indicavano la strada, poi
si decise e riparti per ignota destinazione.
Dopo non so quanto tempo mi parve di udire un cigolio, come quello
che di solito si sente quando si apre una porta non oliata da tempo
e solitamente poco usata. Mi guardai intorno: di porte o di cose
simili non ne vedevo, eppure quel cigolio, mi era proprio parso di
sentirlo. Rimasi lì, per un po’ senza muovermi, fin quando una
voce, un poco seccata e nello contempo ironica non fa. - Se ti
prendessi la briga di voltarti, le cose sarebbero più facili - Mi
voltai istintivamente, certo di trovare dietro di me una persona,
che incuriosita della mia postura mi aveva rivolto qualche domanda
che nella mia concentrazione verso l’infinito non avevo udito.
Invece no, c’era proprio una porta, non tanto grande e di uno stile
antiquato, era poco distante seminascosta dal tronco esile
dell’albero ed era aperta: aperta, direi socchiusa, solo una porta
senza muri che la sorreggessero. Parlante! Una meraviglia della
tecnica. Tanta tecnica per una porta così malmessa che sembrava un
invito per i tarli mi parve una esagerazione. Il mio pensiero, in
buona parte “teledipendente”, volò ai giapponesi. Loro si sanno
fare di questi miracoli, hanno una tecnologia così avanzata! Più
che un invito sembrava un ordine e agli ordini si ubbidisce.
Incerto mi alzai, con mia sorpresa, senza tutta quella fatica e
doloretti persistenti che di solito accompagnano ogni mio
movimento. Un passo o due e allungai la mano verso quel portoncino,
dall’aria malandata, non aveva nessuna maniglia, lo spinsi con il
palmo della mano ed alla fine entrai. Un corridoio lungo e stretto,
illuminato, con le pareti di un bianco lattiginoso, un vero schifo,
con i segni lasciati col tempo da quadri appesi, ed ora mancanti,
ed un pavimento sporco di calcinacci. Lavori in corso pensai, pure
qui! Era stupefacente. Sembrava di essere entrato in uno di quegli
uffici trasandati di qualche amministrazione del terzo mondo.
Guarda che strani pensieri vengono per evadere dal pensiero
principale per cui mi ero presentato.
Alla fine il corridoio, non era poi così lungo, sfociava in
un’anticamera con due porte una a destra ed una sul lato opposto,
di fronte a me una finestra con i vetri opachi, forse smerigliati o
forse incredibilmente polverosi da cui entrava una luce soffusa.
Sostai dubbioso. Sulla porta a destra c’era scritto il solito
cartello tipo ufficio “AVANTI” su quello di fronte “ARCHIVIO”
Nessun dubbio di dove andare. Feci il gesto di bussare, ma prima
che le mie nocche raggiungessero la porta La solita voce recitò: È
aperto La stanza era piccola, incolore, una scrivania nel centro
leggermente arretrata dietro alla quale sovrastava una grande
finestra da cui entrava una luce abbagliante ad illuminare il
locale, forse c’era una sedia, o una poltrona dietro la scrivania
dall’aspetto imponente, ma la luce abbagliante che proveniva dalla
finestra non permetteva di distinguere molto. La voce si fece
sentire di nuovo - Si accomodi - Mi dia i suoi dati personali e mi
esponga il suo problema visto che è in anticipo. Mi guardai
intorno, ma non vidi nessuna poltrona accogliente né una sedia né
uno sgabello, non c’era proprio nulla su cui accomodarsi. Strana
accoglienza e riteneva pure che ero in anticipo, di cosa poi, ebbi
un dubbio che respinsi, questa voce, così anonima, assente, come
quella di un impiegato statale che ripete le stesse parole da una
eternità metteva in soggezione. -Veramente – incominciai - - Avevo
fatto richiesta di parlare con il Signore Padre Nostro. Sa è una
cosa molto personale. Segui un silenzio abbastanza lungo, mi sembrò
che durasse un’eternità, ma visto il luogo doveva essere normale. -
Incominci col darmi i suoi dati, prego - È la prassi Rimasi
sbigottito, ma come, pensai, dove sono finito? non certo alle
soglie del cielo, manco meno in Paradiso, all’Inferno non credo li
devono essere più spicci. La mia richiesta di colloquio era
piuttosto precisa: conferire con il Padre Nostro.
Proprio in qualità di padre, magari severo ma
comprensivo.Possibile, che questi non sanno nemmeno chi sia? È vero
che di esseri simili a me ce ne sono miliardi, però una
organizzazione come questa almeno un archivio con le foto
segnaletiche dovrebbero averlo, poi potrebbero averci impiantato un
cip fin dalla nascita con lettura automatica che appena varchi le
soglie del loro mondo ti identifica. Per non creare ostacoli e per
evitare di incominciare con il piede sbagliato, decisi di
accontentare questo funzionario così poco visibile, che sospettavo
fosse seduto dietro la scrivania. -bene disse, dopo che avevo
sciorinato nome cognome, paternità, maternità, data di nascita,
stato civile e attuale occupazione la data del battesimo no, quella
non me la ricordavo. Meglio di così non potevo. - ha una bella età
– disse quando riprese a parlare, dopo un’altra pausa degna
dell’eternità. –Con tutti quei malanni che si ritrova dovrebbe già
essere andato oltre. - In effetti sono qui proprio per un problema
che vorrei risolvere prima che, e lasciai la frase in sospeso. È
questa la ragione per cui vorrei conferire con LUI. -Lo ha mai
incontrato fino ad oggi? – mi chiese - Per la verità no, non credo,
- risposi – potrebbe anche essere accaduto, ma me ne dolgo, non me
ne sono accorto, anche se in certe occasioni qualche brivido e una
qualche emozione mi ha circondato. - No credo proprio di aver non
mai attratto la sua attenzione, non c’erano motivi. Altro silenzio
prolungato, ma questo qui, che fa, schiaccia un sonnellino tra una
frase e l’altra o si legge il giornale. Stare qui in piedi, anche
se i soliti acciacchi non infieriscono come al solito, non
rientrava nei miei più grandi desideri. Poi tutto questo
temporeggiare incominciava ad innervosirmi. - Vedo che è stanco ed
anche irrequieto – riprese a recitare la voce – mi considera
scortese, ma non è così, di solito chi si presenta qui non ha più
bisogno di quella accoglienza che riservate agli ospiti nel vostro
mondo.