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"Chi sia giunto anche solo relativamente alla libertà della ragione, sulla terra non può sentirsi altro che un viandante, - anche se non un viaggiatore diretto verso un'ultima meta, che non c'è. Ma egli ben vuole guardare, e tener gli occhi aperti su tutto quel che veramente accade nel mondo; per questo non gli è consentito unire troppo strettamente il suo cuore a nessuna cosa particolare; dev'esserci in lui stesso qualcosa di nomade, che gioisca del mutamento e della provvisorietà." (F. Nietzsche)

Su di me

Situazione sentimentale

-

Lingue conosciute

-

I miei pregi

-

I miei difetti

-

Amo & Odio

Tre cose che amo

  1. L'illusione della libertà
  2. L'intelligenza
  3. La leggerezza

Tre cose che odio

  1. L'illusione del possesso
  2. La stupidità
  3. La pesantezza

Gennaio

L'uomo si inerpicava nella solitudine, nel silenzio, nel freddo e nella neve, verso una casa isolata sul fianco del monte; camminava già da ore e la sua mente oscillava,  apparentemente libera, tra desideri e rimorsi, paure e speranze, mentre folate di vento gelido penetravano sotto il suo giaccone. Nel pomeriggio le nubi, alle sue spalle, avevano cominciato a velare il cielo. Diverse volte si era reso conto di aver trovato una lastra di ghiaccio solo dopo averla contemplata a pochi centimetri dagli occhi, mentre cercava di rialzarsi velocemente da una delle sue goffe cadute.
Verso sera le nuvole si estendevano ormai fino all'orizzonte e minacciavano di scaricare fulmini, tuoni, pioggia o, più probabilmente, neve. Improvvisamente, mentre tuttto si oscurava, si sentì, nella sua piccolezza, dentro qualcosa di immenso che non va giudicato e ordinato ma soltanto vissuto, ammirato e amato, qualcosa che non è estraneo come un oggetto da dominare ma che è parte di noi e di cui noi stessi siamo parte.
Adesso sentiva meno freddo. Faceva sempre più attenzione ai suoi passi, cercava la neve più fresca, vi affondava il tallone per ottenere una presa più stabile, si appoggiava, quando poteva, agli alberi, agli steccati o alle pietre e non cadeva più. Non sarebbe più caduto? Sapeva che ciascuno raggiunge inesperto la soglia di ogni età della vita, ma quel giorno, in quel preciso momento, gli sembrò di aver capito, o forse di aver ricordato, che non si può cadere da una montagna se noi siamo quella montagna. Quando arrivò alla casa, incredibilmente ancora asciutto, apprezzava il tempo e l'eternità, il silenzio e le parole, la presenza e l'assenza, la solitudine e la compagnia, l'instabilità e l'immutabilità delle cose. Non avrebbe fatto nulla per cambiarle: l'idea di migliorarle gli sembrava una bestemmia.

Febbraio

Avvicinandosi alla piazza, prima aveva sentito le note di un brano di musica classica e poi aveva visto un ragazzo e una ragazza che danzavano. I loro corpi giocavano armoniosamente avvicinandosi e respingendosi, a volte il ragazzo sollevava la sua compagna facendola volteggiare in aria per poi riposarla lievemente a terra, a volte lei si lanciava in eleganti evoluzioni accompagnate dai disegni creati con una lunga striscia di plastica mentre il giovane, forse per riposarsi, assumeva la posizione di un manichino. Per terra un cartello invitava gli astanti, se avessero gradito la prestazione, a lasciare qualche spicciolo o qualche banconota.
L'arte dei due ragazzi non ambiva ad alcuna permanenza: essi non avevano niente altro da lasciare se non un'emozione evanescente come i loro gesti. L'arte del presente e del passato, invece, per aver valore, aveva spesso cercato di esprimere verità immutabili, eterne, di rispecchiare la perfezione di ciò che effettivamente è, inteso come ingenerato, imperituro, eterno, cioè fuori dal tempo, immutabile, immobile, unico, omogeneo, necessario e perfetto, perchè se il non essere non esiste, non è pensabile e non è dicibile, allora tutto ciò che muta, che nasce, che cresce, che muore non ha vera realtà e può essere solo o un'illusione, o una copia imperfetta di ciò che veramente è, o una sua creazione, sempre imperefetta rispetto al creatore.
L'uomo pensò che oggi, in un tempo in cui le cose eterne e immutabili avevano fatto bancarotta come le verità che pretendevano di esprimerle, forse il modo più onesto di dire qualcosa era appunto un tentativo leggero, modesto, non invadente e ai limiti del silenzio come quello dei due ragazzi. Le note di Debussy riempivano l'aria solcata dai gesti della bella ragazza ed egli, ammirato, lasciò una banconota nella cassetta e si avviò verso casa.

Marzo

Alle nove di sera scese dal treno e si avviò lungo la statale, intasata da una lunga fila di auto incolonnate. Rivedeva ancora il lago baciato dal sole, la panchina su cui si erano seduti per raccontarsi squarci della loro vita, le strade entro cui avevano camminato prima a braccetto, poi per mano e infine abbracciandosi, come se i loro corpi non sopportassero più che alcuna distanza potesse separarli, rivedeva i suoi occhi scuri, i capelli corvini, il corpo magro e fremente.
Mentre proseguiva verso casa, incamminandosi su strade vuote e solitarie, giocò come faceva da bambino, quando ancora non sapeva che l'universo danza freneticamente sui piedi del caso: scommise che, se fosse riuscito a camminare per trenta passi senza aprire gli occhi l'avrebbe presto rivista ed entrò nel buio: uno, due, tre ... i primi passi erano spediti, poi, man mano che crescevano i dubbi sulla sua capacità di mantenersi sulla traiettoria fissata, divenivano incerti ... tredici, quattordici, quindici ... infine camminava lentamente, proteggendosi il volto con le mani da eventuali ostacoli davanti a sè ... ventotto, ventinove e trenta.
Aprì gli occhi, contento di non averlo già fatto, come pure aveva desiderato: forse in questo mondo disincantato le magie deambulatorie funzionavano ancora. Andava già con il pensiero ad un nuovo incontro tra le montagne che amava, nella sua città, nella sua casa, in qualche posto da cui il mondo potesse essere lasciato fuori. Risentiva il suo profumo, il sapore delle sue labbra, il calore del suo corpo. Non sapeva se l'avrebbe rivista, non c'erano state nè promesse nè impegni, ma il fatto stesso di averla conosciuta, di aver passato la giornata con lei, gli sembrava un miracolo, un dono stupendo e inaspettato. Giunto a casa, salì le scale ripetendosi, come in un nuovo gioco magico, la vita è meravigliosa, la vita è meravigliosa, la vita è meravigliosa ...

Aprile

Il vento aveva soffiato impetuosamente dalla tarda serata. Entrando nelle intercapedini delle grondaie aveva emesso urla, fischi e gemiti che gli avevano reso difficile prendere sonno. Molto prima dell'alba, l'uomo era stato svegliato da un secco rumore proveniente dal terrazzo e la sarabanda non gli permise di riaddormentarsi subito: immagini di fatti e persone lontane, recuperati in qualche angolo sperduto della memoria, si alternavano nella sua mente, come fantasmi che il vento avesse riportato nella sua vita da luoghi tenebrosi.
Ricordò uomini e donne che si erano persi in svariati modi, ricordò amicizie, affetti, amori che si era lasciato alle spalle. Aveva sbagliato qualcosa con loro? Bastava avesse cambiato qualcosa, qualche gesto, qualche parola, e tutto sarebbe stato diverso, l'intera sua vita e forse anche la loro avrebbero preso altre strade. Piccole tessere isolate di un ampio mosaico sembravano adesso chiedergli di essere ricomposte in un disegno coerente.
Ma l'uomo sapeva che una tale coerenza poteva essere ottenuta con moltissimi disegni e che nessuna ricostruzione era da privilegiare rispetto ad un'altra. Che cosa era il sapere se non il tentativo di dare un po' di ordine alle tenebre e al caos in cui siamo continuamente immersi? E se tutte le ricostruzioni avevano lo stesso valore, perchè non riconoscere che il bello del passsato è che è già passato, quello del futuro è che non è ancora arrivato e che la meraviglia del presente sta nel fatto che è qui, anche se scivola inesorabilmente nel nulla? Perchè non riconoscere che il passato fu, il presente è e il futuro sarà ciò che doveva, deve e dovrà essere? Il vento continuava a soffiare, urlare e fischiare, ma l'uomo riuscì a fare il vuoto dentro di sé, vide allontanarsi, con il delirio di onnipotenza ed il senso di colpa, tutti i fantasmi che erano venuti a ricordargli la confusione che c'è dietro ogni vita e riprecipitò nel sonno.

maggio

La cena era finita ma l'uomo e la donna erano rimasti sul terrazzo a guardare la sera che allungava le sue ombre sulla valle, il cielo che diventava sempre più scuro facendo affiorare le prime stelle, si erano sdraiati su due poltrone ed erano rimasti a sorseggiare una birra nel silenzio rotto da qualche uccello che volava sulle loro teste o dal rumore delle auto o del treno che passavano sotto di loro.
Il discorso era scivolato su un argomento molto frequentato: lei tentava di convincerlo a rinunciare alla sua esistenza solitaria e a mettere su casa insieme. L'uomo era lusingato da questi tentativi, come lo era stato da qualche altra donna che in precedenza aveva chiesto di avere un figlio da lui, ma nessuna delle due cose, né l'accasamento né la riproduzione, lo interessava. Diceva sempre che la sua stirpe sarebbe finita con lui, amava troppo, in modo quasi felino, la solitudine e la libertà per rinunciarvi e soprattutto sosteneva che le cose si trasformavano sempre, indipendentemente dalla volontà delle persone, per cui ciò che sarebbe sembrato inizialmente un trionfo dell'amore sarebbe ben presto diventato, quasi inevitabilmente, un inferno di silenzi pesanti, di recriminazioni, di rancori. Era meglio, quindi, continuare a godersi il tempo presente che cercare, vanamente, di immobilizzarlo. I due erano diversissimi: tanto lei detestava la precarietà delle cose quanto lui diffidava proprio di ciò che pretendeva avere i caratteri della stabilità.
A notte fonda e a birra finita l'uomo prese la ragazza per mano e la portò in casa. Avrebbe voluto che capisse che qualsiasi cosa poteva essere condannata in quanto non rispondente alle nostre aspettattive o poteva essere amata per se stessa, per il fatto che essa, come noi, c'era, voleva che lei riuscisse ad amare ciò che è piuttosto che a dar troppo credito alle proprie idee, ai propri desideri, ai propri bisogni. Ma tale comprensione poteva anche aspettare, per quella notte trovarono di meglio da fare.

giugno

Erano usciti insieme, erano entrati, cautamente, ciascuno nella vita dell'altro e poi, senza un perché, lei era scomparsa: non rispondeva più ai messaggi dell'uomo, anche se essi contenevano solo saluti ed evitavano accuratamente di formulare qualsiasi richiesta. Lui, che sapeva non essere indiscreto e rispettare le altrui scelte, non avrebbe mai osato telefonarle o cercare di incontrarla.
Aveva letto da poco un'antica storia cinese che parlava di un contadino a cui erano fuggiti trenta cavalli e che per questo era stato compianto da vicini e parenti. "E chi può dire che sia una disgrazia?" aveva domandato loro il vecchio. Infatti, poco tempo dopo, i suoi cavalli fuggiti erano stati ritrovati insieme a dieci nuovi puledri e coloro che lo avevano compianto erano tornati da lui per congratularsi della fortuna inaspettata. "E chi vi dice che sia una fortuna?" il vecchio aveva detto loro. Infatti, di lì a poco, il figlio, tentando di domare uno dei nuovi cavalli, era caduto e si era rotta una gamba. Vicini e parenti avevano ripreso a compiangerlo ma il contadino aveva nuovamente replicato: "E chi può dire che sia una disgrazia?". Infatti, pochi mesi dopo, era scoppiata la guerra ed il figlio non aveva dovuto partire proprio per la sua invalidità. Ancora una volta erano arrivate le congratulazioni per il fortunato evento. "E chi vi dice che sia una fortuna?" ...
Anche l'uomo ogni volta che si avvicinava al computer e trovava la sua posta elettronica priva di messaggi di lei evitava di compiangersi e si diceva "E chi può dire che sia una disgrazia?". Un giorno il miracolo avvenne, lei era tornata a farsi viva e forte fu per lui la tentazione di congratularsi per il lieto evento, ma aveva imparato bene la lezione del saggio contadino cinese: "E chi può dire che sia una fortuna?" si disse, sorridendo, prima di risponderle.

luglio

Non sapeva se era stato un arrivederci o un addio. L'uomo viveva ormai solo rapporti di amicizia o di "occasional love": nel caso, con qualche amica, vi fosse un reciproco interesse erotico, bene, nel caso mancasse o fosse non condiviso, bene lo stesso. Forse era immaturo per un rapporto di coppia, ma pensava che la vera maturità fosse nell'accettarsi per quello che si è, nello smettere di sentirsi inadeguati e nel seguire la propria strada che, anche se non porta da nessuna parte, come del resto avviene per tutte le strade, è pur sempre la propria.
Credeva fosse molto semplice scoprire in sé e in ciò che lo circondava cose che non erano come dovevano essere; avrebbe dovuto fare programmi, porsi obiettivi, fissare scadenze? Certo, come tutti, poteva  sognare un se stesso o un mondo migliore, peccato che dietro a ogni traguardo raggiunto vi fosse la pressante richiesta di un nuovo percorso verso un altro traguardo o di un nuovo impegno in vista di nuove trasformazioni, all'infinito. E non era affatto sicuro che vi fossero progressi o miglioramenti: quelle sulla crescita e sul progresso gli sembravano chiacchiere consolatorie.
Più che crescite vedeva, nella sua vita e forse anche fuori di essa, tentativi, scarti, spostamenti di prospettiva, nuove gerarchie di valori, nuovi linguaggi, nuove mappe concettuali, nuovi strumenti di un lavoro di interpretazione infinito, in cui anche le stesse interpretazioni dovevano continuamente essere reinterpretate, in cui tutto perdeva il suo senso assoluto ed acquisiva sensi temporanei, frammentari, deboli e nuovi (e non per questo migliori dei precedenti). Ma di una cosa era sicuro: il mondo (lui compreso) era il solito caos, ma la sua vita era assai più soddisfacente da quando aveva imparato ad apprezzare il viaggio, con tutte le sue incertezze, più della sua meta (qualsiasi essa fosse).

Agosto

Per tutto il pomeriggio l'uomo era rimasto sprofondato in una zona ombreggiata del suo terrazzo, nella sua amaca e in un romanzo di Conrad . Erano anni che leggeva e leggeva ed era sempre stupito per come le parole di un libro avessero la capacità di portarlo in un'altra vita, quasi di fargliela vivere. Certo, leggendo era solo uno spettatore, ma gli sembrava che le cose non fossero troppo diverse nella vita reale: anche agendo, lo spettacolo del mondo restava meraviglioso e orribile, in ogni caso imprevedibile.
La giornata era stata caldissima sin dal mattino, ma adesso nuvole sempre più scure si addensavano nel cielo. I rumori dei tuoni lontani e le folate di vento, freddo e impetuoso, annunciarono il temporale imminente. Si era alzato dall'amaca e dal libro mentre sentiva continui borbottii cadenzati da scoppi più forti e mentre qualche goccia isolata cominciava a cadere. La valle era chiusa dentro una nube nera, chiazzata solo da qualche isolato lembo di grigio, il vento curvava gli alberi vicini, sotto di lui, e quelli che, ormai a stento, intravedeva alle pendici dei monti. Frequenti lampi squarciavano l'aria e il boato dei tuoni si faceva sempre più assordante. Era rientrato: dal vetro vedeva che le gocce d'acqua isolate avevano lasciato il posto a veri e propri scrosci che sembravano onde, più rapide al centro della valle, più lente verso le montagne. Il rumore assordante di acqua, vento e tuoni copriva tutto, ogni cosa sembrava ammutolita di fronte alla potenza che la natura stava dimostrando.
Poi, lentamente tutto il frastuono si allontanò verso levante, il vento calò e anche la pioggia cominciò a diradare: il temporale era stato violento ma breve. L'uomo uscì nel'aria divenuta quasi fredda e fu colto da un improvviso senso di straneamento: era lui che aveva sognato di essere nel bel mezzo di un tifone sull'Oceano o era il capitano Mac Whirr che aveva sognato di osservare un uragano tra le Alpi?

Settembre

Era andato al funerale di un conoscente. L'ultima volta che era entrato in una Chiesa era rimasto colpito dalla predica di un prete missionario suo amico, incentrata sul sangue di Cristo come dono per i propri fratelli, come sacrificio di sé che porta ad una pienezza che nessun egoismo appropriativo potrà mai raggiungere. L'uomo, che si riteneva ateo, si era trovato gli occhi pieni di lacrime nel sentire quell'uomo grosso e apparentemente burbero parlare del sangue di Cristo incontrato nelle strade e nelle carceri, tra prostitute, ladri, assassini e reietti di ogni tipo, figli di Dio quanto o forse più di tanti credenti attratti solo dal rituale e dalla speranza. E quelle parole erano cadute su gente altrettanto commossa, che aveva addirittura applaudito il prete che sarebbe presto tornato dai suoi poveri, lasciando i ricchi alla loro miseria.
Adesso, davanti alla bara, così simile a quelle che avrebbero raccolto prima o poi le spoglie di tutti i presenti, c'era invece una figura segaligna che biascicava parole sulla salvezza eterna, sul lume perpetuo  ("chi poi ne avrebbe pagato la bolletta? " - si era detto l'uomo), sulla gioia della comunione con i santi e con i defunti nostri cari: tutte parole che trasudavano la malattia di chi non riusciva ad apprezzare la vita che gli era data e l'egoismo di chi voleva ben altro dei pochi anni a sua disposizione e per ottenerlo era disposto a tutto, ad umiliarsi, a implorare e a pregare come se tali azioni avessero qualcosa a che vedere con l'amore.
L'uomo approfittava del fatto di non essere riuscito a trovare un posto a sedere per non seguire il movimento ritmico dei corpi e soprattutto evitava di partecipare al dialogo tra il parroco e i suoi fedeli. Solo quando il prete invitò a scambiarsi un segno di pace strinse qualche mano e poi, alla chetichella, se ne andò, felice di allontanarsi da tanta fede e tanta speranza.

Ottobre

Aveva comprato il giornale e aveva gettato un'occhiata sui titoli camminando: il disordine nel mondo era costante e l'ingiustizia trionfava.  Ma cosa  garantiva che le cose in passato fossero state davvero migliori? e cosa garantiva che in futuro sarebbero effettivamente migliorate? Si disse, sorridendo, che forse non si può essere ferventi reazionari perché non c'è alcun posto a cui tornare, così come non si può essere ferventi progressisti perché non c'è alcun posto dove andare.
Poteva lamentarsi di essere una minuscola pedina di un gioco giocato da altri, ma poteva anche ringraziare di avere la possibilità di giocare, poteva lamentarsi del suo lavoro, della sua casa, delle sue relazioni, ma poteva anche benedire il fatto di averli. Pensò che non c'è alcuna condizione umana di per sé felice o infelice, che la stessa situazione può essere fonte della più grande frustrazione o della più piena felicità.
Certamente non credeva che quello in cui in quel momento viveva fosse il migliore dei mondi possibili, ma sapeva che era l'unico esistente e si trovò a rifiutare il meccanismo, tipico degli uomini, di privilegiare ciò che hanno nella testa (desideri, sogni, bisogni, speranze, progetti, pensieri, miti, credenze, ideologie) rispetto a ciò che c'è fuori di essa. La vita di tutti, non solo la sua, era insensata: a cosa servivano tutti gli sforzi degli uomini se, a prescindere da come essi la conducevano, sarebbero tutti finiti ridotti a carne per vermi o a fumo e cenere? Si ricordò di un antico mito, quello di Sisifo, un personaggio la cui ombra era costretta, nel Tartaro, a sospingere un masso per una ripidissima collina e, raggiuntane la sommità, a farlo rotolare verso valle per ricominciare il suo lavoro, per l'eternità. Ma ricordò anche le parole di Camus: “Anche la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo. Bisogna immaginare Sisifo felice.”

Novembre

Aveva rivisto un film che amava: la storia di un quarantenne perdente e imbranato che  esce dal suo torpore infatuandosi per una ragazzina compagna di sua figlia, divenendo amico di un giovane spacciatore e  cancellando la vecchia vita: rinuncia al lavoro ricattando il suo superiore per una grossa liquidazione, si rimette fisicamente in forma, compra l'auto dei suoi sogni, trova un nuovo lavoro assolutamente privo di responsabilità e si libera dalla sudditanza e dai ricatti affettivi della moglie.
Intanto sua figlia si innamora del ragazzo che rifornisce suo padre di erba: egli, schiacciato da un padre ex colonnello marine, macho, violento e militarista,  l'aveva colpita soprattutto con un filmato su una busta di carta che danzava nel vento come una bambina che lo supplicasse di giocare, realizzato il giorno in cui aveva capito che c'era un'intera vita dietro ogni cosa e un'incredibile forza benevola che voleva sapesse che non c'era motivo di avere paura, mai.
Alla fine il quarantenne rifiuta le profferte sessuali sia della ragazzina, di cui aveva scoperto la fragilità sotto l'apparente sicurezza, sia dell'ex marine che si era rivelato un omosessuale, è ucciso da quest'ultimo per il suo rifiuto e, con la voce fuori campo, riprendeva le stesse considerazioni del giovane spacciatore: “potrei essere piuttosto incazzato per quello che mi è successo, ma è difficile restare arrabbiati quando c'è tanta bellezza nel mondo. A volte è come se la vedessi tutta insieme, ed è troppo, il, cuore mi si riempie come un palloncino che sta per scoppiare e poi mi ricordo di rilassarmi e smetto di cercare di tenermela stretta e dopo scorre attraverso me come pioggia e io non posso provare altro che gratitudine per ogni singolo momento della mia stupida, piccola vita.” L'uomo, con gli occhi lucidi, per l'ennesima volta aveva sentito quelle parole come se sgorgassero dalle sue viscere.

Dicembre

Una fontana attrasse la sua attenzione: l'acqua congelata si innalzava verso il rubinetto creando una piramide di ghiaccio che arrivava a lambire il rubinetto metallico da cui fluiva un rivolo liquido. Era rimasto colpito dalla precarietà di quella struttura: sarebbe bastato un nonnulla per distruggerla e per riportare la fontanella alla mediocrità di sempre, il bello avrebbe lasciato di nuovo il posto al brutto, la durezza della pietra avrebbe ripreso il sopravvento sulla fragilità del ghiaccio.
Si sentì commosso: quante cose erano fragili come quella scultura, quanti esseri naturali vivevano per un attimo, per pochi mesi o per pochi anni prima di sprofondare nel nulla da cui erano venuti per lasciare spazio a nuove creature che ben presto avrebbero fatto la stessa fine. Che senso aveva questo continuo cambiamento di forme che nessuno sarebbe mai riuscito a interrompere o a controllare e per cui bello e brutto, vero e falso, buono e cattivo si trasformano sempre l'uno nell'altro?
L'uomo avrebbe potuto fare qualcosa per salvare la scultura di ghiaccio? No, non poteva appropriarsi né di essa né di nessun'altra cosa importante (o forse di nessuna cosa e basta), poteva soltanto lasciarle essere e pensò che forse è proprio la volontà di possesso che produce le sofferenze più atroci: la sofferenza di chi vuole possedere ciò che non ha, di chi teme di perdere ciò che ha, di chi rimpiange ciò che non ha più. L'uomo avrebbe potuto maledire il tempo, il mutamento, la fragilità, la vita, il destino, il caso e poteva maledire anche quello stupido pezzo di ghiaccio su cui rifletteva da diversi minuti come se fosse un'opera d'arte, ma gli sembrò più facile, più utile e soprattutto più bello benedirli e un po' di quella benedizione laica, forse blasfema, rivolta, nei giorni in cui molti uomini celebrano il Natale, anche verso un inutile pezzo di acqua solidificata, ricadde su di lui.

Fuori dal tempo

Aveva ricevuto un regalo: una sua amica gli aveva riportato un breve testo intitolato “Irriverente presunzione” che lui aveva scritto quasi venti anni prima ed era ormai diventato quasi illeggibile sulla carta scolorita dal tempo.
L'uomo, che aveva dimenticato l'esistenza di quelle parole, non fece fatica a scorgere qualcosa di suo in quelle frasi provenienti da un'altra età: “Pensava di aver fatto uno sbaglio tornando in città. A sera, in una fredda giornata di fine dicembre, trascinava le sue vecchie membra ed i suoi sensi offuscati tra passanti distratti che si muovevano dentro un caos di luci e di rumori. Non temeva la morte, ma gli restava, nella confusione dei suoi pensieri, solo un'ombra dell'insaziabile vitalità giovanile: aveva sperato fino all'ultimo di beffarsi delle parole vuote ed insincere di uomini e donne, ma quel giorno proprio non ci riusciva; si sentiva sempre più solo, malinconico ed esangue. Non si riconosceva più. Ritrovò se stesso solo nella calda penombra di un ampio edificio dove molte persone celebravano, in tutta serietà, la nascita, avvenuta circa venti secoli prima, di un suo presunto figlio.”
L'uomo non si identificava ancora con il vecchio stanco e confuso che sembrava solo attendere la fine, ma avrebbe voluto, un giorno, possibilmente lontano, trovare la sua stessa forza per un nuovo, ultimo, sogghigno prima che cali per sempre il sipario, come obbedendo all'ebbro invito di un grande poeta maledetto: "Se hai intenzione di tentare, fallo fino in fondo. Altrimenti, non cominciare mai. (…) E ciò sarà migliore di qualsiasi altra cosa tu possa immaginare. Se hai intenzione di tentare, fallo fino in fondo. Non esiste sensazione altrettanto bella. Sarai solo con gli Dei. E le notti arderanno tra le fiamme. Fallo, fallo, fallo. FALLO! Fino in fondo, fino in fondo. Cavalcherai la vita fino alla risata perfetta. È l’unica battaglia giusta che esista."
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