Mentre ci allontanavamo dalla
tabaccheria, il mio amico fece una diligente selezione dei suoi
spiccioli; nella tasca sinistra del panciotto introdusse alcune
monetine d’oro; nella destra, qualche monetina d’argento; nella
tasca sinistra dei calzoni, una abbondante manciata di soldoni, e
nella destra, infine, una moneta d’argento da due franchi che
aveva particolarmente esaminata. Singolare e minuziosa
divisione!, osservai fra me. Incontrammo un mendicante, che tese
verso di noi il berretto, tremando. Nulla conosco di più
inquietante della muta eloquenza di quegli occhi supplichevoli,
che contengono a un tempo, per l’uomo sensibile che sa leggervi,
tanta umiltà e tanti rimproveri. Egli vi trova qualcosa che
s’avvicina a quella profondità di complicato sentimento che è
negli occhi lagrimanti dei cani frustati. L’elemosina del mio
amico fu assai più considerevole della mia, ed io gli dissi:
Avete ragione; dopo il piacere di rimaner sorpresi, non ve n’è
alcuno maggiore di quello di produrre una sorpresa. Era la moneta
falsa, egli mi rispose tranquillamente, come per giustificarsi
della sua prodigalità. Ma nel mio miserabile cervello, sempre
intento a cercare mezzodì alle quattordici (di quale estenuante
facoltà mi ha fatto dono la natura!) entra subitamente l’idea che
un tal modo d’agire da parte del mio amico non fosse scusabile se
non col desiderio di creare un avvenimento nella vita di quel
povero diavolo, e forse anche di sapere quali conseguenze
diverse, funeste o no, possa produrre una moneta falsa in mano a
un mendicante. Non poteva essa moltiplicarsi in monete buone? Non
poteva anche condurlo in prigione?