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natodallatempesta0 più di un mese fa

 

Ieri sono entrato parecchie volte, ho provato a scrivere qualcosa, anche un semplice saluto, ma nulla mi sembrava opportuno.
Anche ora in verità: Non so di cosa scrivere, bell’inizio non c’è che dire! Affidarmi alla logica l’unica strada. Forse riesco a mettere insieme un pensiero. Potrei iniziare da quel che ho scritto nell’ultimo post.

 

Un post a dir poco inquieto e cupo, se dovessi usare una metafora, direi che quel di mi sono trovato o meglio ritrovano chiuso in una stanza in cui la luce non riusciva a filtrare dalla finestra. Buio!!! Ecco quel che vedevo, solo buio.
 

Vivere nel buio!!! Una cecità metaforica ovviamente. Una cecità che non ti blocca nei movimenti, non ti rende ogni azione una sfida, una battaglia contro la sopravvivenza, ma ha la stessa paura incisa nelle carne.

 

In questo momento, in questo istante, fino a poche ore fa notturno, non è importante fermarsi a quel che ho scritto quel giorno. In realtà in questo momento poche cose sono importanti, forse la semplicità che porta alle singole parole può avere un valore. Semplici parole che hanno un significato.

 

Grazie!!! È una di queste parole, lo si dice così poco. Si dovrebbe ringraziare, invece, ogni giorno qualcuno, ringraziare ogni giorno la vita e i suoi elementi.

 

Io sono nato il 4 ottobre, per San Francesco. Per forza di cose questa figura è stata ricorrente nella mia vita. Non dico che mi ha reso degno (lontano in corpo e intenzioni sono da tutto quello che egli rappresenta ed ha rappresentato), ma di sicuro mi è stato vicino in molte occasioni.
Fra tutti gli uomini che hanno cavalcato la storia, lui, è certo quello che ha saputo meglio di tutti dare forma e significato alla parola: Grazie. Lo ha fatto attraverso la semplicità, attraverso piccoli atti d’amore.

 

Laudato si', mi' Signore, per sora luna e le stelle […]
Laudato si', mi' Signore, per frate vento […]
Laudato si', mi' Signore, per sor’aqua, […]
Laudato si', mi' Signore, per frate focu […]
Laudato si', mi' Signore, per sora nostra matre terra […]
Laudato si', mi' Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore […]

 

Laudato si’ (lodato sia), un modo semplicemente straordinario per dire grazie. Grazie per la vita, grazie per le tante sorelle e fratelli che ci scaldano, ci nutrano, ci dissetano, grazie per quelli che perdonano, che sono capaci di perdonare.

 

Facile per Francesco perdonare anche quando il suo corpo veniva offeso con sputi e percosse. La sua anima non era terrena, la mia anima, invece, è terrena e risente della cecità di certi momenti.

 

E il problema, non è perdonare gli altri, questo è facile, per me è stato sempre molto facile, troppo facile, ed ho pagato, spesso, cara questa mia forza o fragilità (non saprei direi se sia oggi virtù o vizio?).

Il problema è perdonare se stessi. Perché è questo assioma (per me è un principio evidente) a portarci nel buio.

 

Per uscirne ci si affida a ciò che da’ pace (che brutta parola). Potreste pensare che sia la pace donata da chi ci dona amore? C’entra l’amore, c’entra sempre, ma per me è la pace che nasce dalla virtù.

 

Altra bella parola, ma vecchia oggi, antica, quasi in disuso, la sento solo le poche volte che entro in una cattedrale.

 

Aristotele diceva che la felicità non consiste in passatempi e divertimenti, ma in attività virtuose, il suo maestro Socrate che da essa (la virtù) nasceva la bellezza. Ed è così!!! L’arte, la musica, la poesia sono atti di virtuosa felicità che donano bellezza e amore. Sì amore, perché è sempre in un atto d’amore verso se stessi o gli altri che prende vita, forma, l’idea che racchiude il desiderio di donarsi senza costo o ricavo.

 

Ed è nella mia virtù che ho sempre trovato la pace e la luce per spazzare via la cecità. La virtù della parola scritta, che mi permette di imbrigliare i demoni che ho nell’anima e discuterci, la virtù del disegno, che mi ha permesso e mi permette di trasformare l’amore in un atto che ha forma e identità.

 

Si cerca nel desiderio, nell’amplesso la fuga dalla noia (un vizio che racchiude in sé, più profonde ostilità per l’anima) quando si dovrebbe cercare, invece, nel pensiero che lo trascina, la via per non sentirsi fragili o inutili, in quell’idea che spinge ad aprire e donare quel che nei momenti di solitudine e riflessione è: desiderio d’amore. Nella solitudine nasce l'amore.

 

Qualcosa direi che è uscito e come sempre parola, dopo parola, si è creato un lungo pensiero. Spero non sia stato noioso per chi legge. Beh anche lo fosse!!! :-)

 

Mettersi alla luce. :-)

 

IO

 

Grazie alla luce.

 

Grazie al buio.

 

Grazie a Francesco.

 

Grazie al mio talento:

 

Per ricordare di sorridere anche nei momenti bui.

 

Grazie a te che leggi.

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natodallatempesta0 più di un mese fa

Nel più insignificante e inutile angolo può nascondersi la bellezza:

 

 

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natodallatempesta0 più di un mese fa

 

Oggi, sinceramente, era nelle mie intenzioni esser breve.
Augurare un felice giorno dell’immacolata e rileggerci domani.

 

Ma quando lesto arriva il desiderio di scrivere: Si scrive.
In questo caso il termine corretto è, rispondere. Rispondere ad una domanda che mi è stata generosamente posta, da un’amica commentatrice, che con il sorriso, da Donna (una parola pesante che porta con sé un passato importante) risponde alla mia riflessione scrivendo:

 

“Capire una donna?? Sicuramente ci sono uomini che hanno una sensibilità più spiccata
e quindi riescono a intuirne l’umore ,capiscono il valore della collaborazione ,dell’essere genitore
ma da qui a capire quello che passa nella testa a una donna ce ne passa*___*o no?”

 

Ora, c’è il rischio che venga fuori un post un pò lungo, ma non m’importa, ho sempre invitato chi mi visita a evitare di leggermi, se non è disposto a perdere un pò di tempo.

 

Nella domanda posta dell’amica commentatrice c’è un errore di fondo, causato da me.
Non ho espresso bene il concetto.

 

La causa di questo errore è in parte da imputare ad un comportamento che ho messo sotto l’occhio giudicatore, già più di una volta:

 

La generalizzazione.

 

Ho generalizzato, un errore comune oggi. L’italiano è una lingua stupenda, tra i più ricchi idiomi del mondo, ma ahimè è tra i più poveri in termini d’uso. Il 50% della popolazione conosce solo metà delle parole che questa lingua ha nel suo vocabolario. La triste conseguenza a questa povertà è, che si tende a utilizzare sempre gli stessi termini. Da timido, da ragazzo che parlava poco è, un mio peccato. Seppur ho cercato di ampliare il mio vocabolario, l’indole, quel sentire che blocca, mi tronca le parole.

 

Capire!!! Dietro questa parola c’è un universo di significati. Una moltitudine di schemi e comportamenti che uniscono e separato.

 

Non mi capisci! Non mi hai mai capito! Capisci solo quello che vuoi! Fai finta di non capire! ecc. ecc. ecc.

 

Se cercate il vocabolo nel dizionario, esce fuori un lungo dettato sul suo significato (molto interessante) e non mancano i sinonimi: Comprendere, intendere, cogliere, concepire, afferrare, intuire, sentire, percepire, accorgersi, avvedersi, rendersi conto, ecc. ecc.

 

Capire una donna!!!

 

Quando ho scritto che la riservatezza mi ha permesso di capire me stesso e le ragazze, e nel tempo le donne, ho commesso l’errore di non specificare la natura di quel: Capire.

 

Contraddizioni!

 

In un precedente post ho scritto:

Che per quanto tempo passerò e passeremo, per quante confidenze, confiderò e mi verranno confidate, io non capirò mai fino in fondo la mia compagna e lei non capirà mai fino in fondo me.

 

Quel capire non era sinonimo di: Essere.

 

Un individuo nel suo intimo è indecifrabile, a volte persino per se stesso. È presuntuoso pensare di riuscire a comprendere l’universo che vive ed esplode nel suo più profondo essere, dentro quell’anima che è invisibile e irragiungibile.
Se è vero che nell’anima vi è il tempio in cui Dio dimora e parla a noi. Non esiste abbastanza saggezza e intelletto per riuscire anche solo a vedere la porta di quello spazio.

 

Per rispondere all’amica:
No!!! Non si può capire quel che passa, faccio una correzione, non nella testa, non si può capire quel che passa nell’anima di una donna.
Attenti, però, al pregiudizio.
Ho nella mia esperienza da uomo, constatato come la donna, per giusta causa dovrei dire (secoli di sopraffazioni lasciano profonde ferite e profonde diffidenze), abbia creato un pregiudizio sulla natura dell’uomo.
L’uomo non capirà mai la donna, la giusta presunzione della Donna. La donna comprende, crede di comprendere invece, sempre, l’uomo. Comprende le sue intenzioni, comprende le sue interazione, comprende le sue passioni e perversioni.

 

Orgoglio e pregiudizio titolava Austen. :-) Orgoglio di Donna, che vuole rivalersi su un uomo rimasto al palo dell’ignoranza e della violenza.
Ma è un fatto anche questo. Non capirete mai fino in fondo l’anima di un uomo.
È questa la differenza che intendevo, quella differenza che non è limite, ma illimitato orizzonte.

 

Veniamo ora a quel capire le ragazze e poi le donne.
Quel capire era sinonimo di: Interazione, comunicazione.

 

Io comunico, parlo, scrivo, disegno, ma non sempre vengo compreso. In cosa? Nel messaggio che voglio dare.
Questo era il senso che volevo esprimere in quel tratto di pensiero.
Capire la relazione che s'instaura tra uomo e donna, quel dare e ricevere.
Dare è facile, molto, facile, ricevere è ben diverso. Ed è lì, che l’incomprensione, l’incapacità di capirsi, crea la distanza e porta a volta l’uomo, figlio d’una linea di sangue fatta di conquiste e dominio, a pretendere e il frutto della pretesa non è mai un dono.

 

Non è un discorso semplice. Non esser capito è stato fin da piccolo un profondo dolore, ed è stato più facile per gli adulti dire: è timido tranquilli, lui sta zitto e buono, si mette nell’angolino e non da’ fastidio, piuttosto che chiedersi, domandarsi il perché del mio silenzio, il perché del mio stare immobile.
Con la mia compagna ho dovuto correggere il mio modo di parlare.
Prima di conoscerla ho sempre usato l’espressione:
Non mi hai capito.
Oggi dico: Non mi sono spiegato.
Perché? Perché per la mia compagna è giusto che le responsabilità siano nostre e non di chi ascolta. Se non vengo capito non è colpa di chi ascolta, ma mia che non riesco ad esprimermi. È relativamente scorretto quindi dire: Non mi comprendi o comprendete.
E tutto sommato è più logico (nel mio caso è anche vero), è un tendere la mano.

 

Comprendersi è la nemesi della società umana, il peccato della modernità.

 

Indifferenza, guerra, violenza, sono figlie dell’incomprensione.

 

Esiste tutto un pensiero, un’ideologia, una letteratura che tendenzialmente antepone al capire, virtù e vizi.
“Le donne sono fatte per essere amate, non per essere comprese.”  il buon vecchio Oscar Wilde.
Caro Oscar non puoi amare una donna se non prima la comprendi, non l’ascolti.
Einstein ha saputo esser più sensato, ma era un genio:
“La gioia nell'osservare e nel comprendere è il dono più bello della natura.”

 

Spero d’aver espresso in modo più chiaro il mio concetto, probabilmente non era necessario.
Ma come ho più volte scritto, scrivo per mio gusto, per esprimere quel che sento, vivo in molti casi e percepisco del mondo, per capire :-) me stesso.

 

Ora posso auguravi un felice giorno dell’immacolata.

 

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Buona giornata a tutti.

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natodallatempesta0 più di un mese fa

 

Vorrei, oggi, cercare d'esser meno (lasciatemi passare il termine) tormentato e scrivere questo nuovo pensiero con il peso di una:

 

 

piuma.

 

Vediamo se riesco ad esserlo? :-)

 

Come ho scritto (parecchie volte), sono stato e sono un uomo riservato, un modo politicamente corretto per dire: “timido” e nel bene e nel male la timidezza ha, sempre, giocato un ruolo importante durante la mia crescita, oserei dire quasi invadente, senza quasi.

 

Vi racconto un episodio che spero vi faccia sorridere. :-)
La pubertà si sa’ è ricca di novità. Tra le più sorprendenti e sospirate c’è l’amore, ma non l’amore maturo, quello acerbo: le prime cotte, i primi batticuori.

 

Durante gli anni di scuola, ho avuto delle simpatia, ma un solo batticuore, si chiamava Sonia.
Una ragazza alta (tre le più alte della scuola) tanto per complicarmi la vita. Castana chiaro, quasi bionda. All’epoca anche i capelli erano affascinanti e attiravano attenzione, tanto da far sussurrare:
“Che bella quando si tocca i cappelli e lascia cadere le lunghe ciocche sul collo”. Eh ragazzi (sospiro) :-)
Si era giovani e si iniziavano a notare le forme, rotondità che guardavi con timore (per lo meno io). Rotondità che diventavano poesie da sognare, versi sussurrati all’ombra di un’età troppo incosciente per capire e vivere l’attesa.
Siamo stati anni vicini di banco, ben cinque anni, sembrano pochi, ma non lo sono.
Ora potreste chiedervi e chiedermi o anche no, lo faccio io per voi. Ti sei dichiarato?
Sì, ma non come immaginate. Troppo timido, troppo impacciato, troppo insicuro al di fuori del mio talento.
Un giorno, credo sia stato durante il penultimo anno, scrissi una lettera, una poesia in cui dichiaravo il mio amore (chiamarlo amore oggi è strano), non ebbi il coraggio di consegnarla tra le sue mani.
La feci scivolare nella sua cartella.

 

Ho ancora conservata la brutta copia di quella lettera e leggendola a volte sorrido per quanta ingenuità c’era in quel ragazzo.

 

Lei non mi disse mai nulla, la lettera finiva con una preghiera, di non dire nulla se il mio amore non fosse stato corrisposto e nulla fu mai detto fino all’ultimo giorno di scuola. Oggi una parte di me pensa che è stato un modo sbagliato di vivere il sentimento, che la mancanza di coraggio, frutto di un’infanzia dolorosa mi ha impedito d’essere incosciente. Ricordando l’episodio mi sento, quindi, sciocco, ma anche fortunato, d’aver vissuto quella che i poeti un tempo chiamavano pena d’amore, non l’unica.

 

 

Alla fine questa mia riservatezza mi ha permesso di capire me stesso e le ragazze, e nel tempo le donne (capire, non vedere la loro essenza).
Tante che una delle prime frasi che mi disse la mia compagna, agli inizi della nostra storia, fu: “Hai uno spiccato lato femminile.”
Un complimento? Io lo presi come tale.

 

Capire una donna, non significa provare le sue stesse emozione o far coincidere i nostri pensieri con i suoi pensieri.
Per me significa avere la capacità di sentirsi donna, che non significa desiderare lo stesso sesso o sentire l’impulso di vestirsi da donna, elevatevi coglioni. :-)

Significa semplicemente pensare che: cambiare il pannolino ad un bambino, lavare i piatti, stendere la biancheria, spazzare a terra, non siano un limite. I limiti impediscono d’entrare nel cuore e nella mente di un’altro essere umano, i limiti rendono una donna diversa da un uomo e quando la diversità è un limite e non un’illimitato orizzonte, allora non si sente il bisogno di camminare insieme, ma di forzare quei limiti. E ci si eleva a liberatori, quando in realtà si è solo invasori.

 

Leggerezza. Lo sono stato?
Spero di esserlo stato (qualche dubbio c’è) e che sia stato piacevole leggere quell'episodio del mio passato.

 

Ho il bisogno di dare un sottofondo a questo pensiero. Una sola canzone mi è venuta in mente, mi gira in testa da quando ho iniziato a scrivere, sarà scontata, ma queste è:

 

 

Buona giornata a chi ha letto.

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natodallatempesta0 più di un mese fa

 

Questo pensiero, oggi, è quasi un obbligo.
Un pò è una diretta continuazione di quel che ho scritto nell’ultimo post, un pò è frutto d’un commento che ho lasciato ieri, un pensiero che coincidenza avevo discusso poche ora prima. Un pò i commenti che ho ricevuto, che lasciato sempre qualcosa che si lega ad altri pensieri, ad altre considerazioni.

 

Ieri ho scritto queste parole:
“Coincidenza, mi è capitato stamane di fare una riflessione abbastanza simile, dicendo al mio interlocutore:
Ma qual è limite deve avere la felicità?”
[…]

 

Questa frase può esser trasformata e nella sua sintassi racchiudere ogni sentimento che sentiamo e diventare ad esempio:
… qual è limite deve avere la tristezza?
o:
… qual è limite deve avere l’amore?
o:
… qual è limite deve avere l’odio?
o:
… qual è limite deve avere la malinconia?
o ancora:
… qual è limite deve avere l’indifferenza?
Non ci sono limiti ai sentimenti che possono esser richiamati.

 

Il dialogo ieri è nato da una rubrica trasmessa dal TG2, potete se volete andare a ripescarla.
Voglio essere generoso :-D vi lascio il link della rubrica: link.
Rubrica che raccontava, ovviamente con i tempi della TV, le storie di alcune donne con disabilità.
Mi è venuto spontaneo dire alla mia interlocutrice, che immagino se capito era la mia compagna, questo:

 

Quanto siamo limitati!!! A questa ragazza basta correre ed è felice, per noi correre non è una tale felicità. Sì è bello, emozionante, ma non per l’atto in se, magari, per lo scenario, la compagnia, l’evento, ma quel correre non è mai tale da esser una gioia assoluta che salva dalla disperazione.
Lo è per questa ragazza, noi per provare la stessa felicità dobbiamo sforzarci.
Sforzarci a far cosa però? Cercare!!! Cercare quel che ci manca.
Qui la mia compagna da buona e verace contadina (un modo mio affettuoso di chiamarla (a volte) per accentuare la sua concretezza), inizia un monologo su come stanno realmente i fatti.
Dopo, la domanda mi è sorta spontaneo:
… qual è limite deve avere la felicità?
Perché mi sembra d’essere arrivati a questo punto. Come se avessi la sensazione che si possa far un elenco per esser felici, se spunti una voce allora puoi essere felice.
Ad una sua amica è bastato l’ultimo iPhone, ad altri: la macchina nuova, un viaggio o una casa con giardino, a qualcosa basterebbe un figlio.

 

Tutto quello scritto fino ad ora è banale, questa è la conclusione della mia compagna, per lei sono banale quando inizia a discutere di questi argomenti, perché sono tematiche vecchie come la bibbia è inutili, perché non portano a niente.

 

Tra i proverbi più vecchi c’è: Chi si accontenta gode.
Ma chi si accontenta vive infelice secondo alcuni. C’è chi pensa e sono tantissimi, che non bisogna smettere di sognare e desiderare di avere una vita migliore.

 

E qui entrano in gioco i commenti che ho ricevuto.
Ieri ho parlato di quei pilastri, che lasciano nel cuore un segno. Segni che sono perle di gioia e sapienza per la nostra consapevolezza.
Il detto dice che s’impara sbagliando (nulla da ridire, verissimo). Ieri sono state condivise non gioia, ma tristezze, in verità non tutte tristezze, ma tra le righe era evidente la tristezza sottolineata dalle parole. Le commentatrici (che ringrazio sempre per il privilegio di scrivermi) hanno sentito dentro di loro la spinta a ricordare e condividere solo: “incontri negativi” o non ricordarne proprio. Incontri e non incontri che mi hanno lasciato la sensazione di leggere tristezza e delusione. Tristezze e delusioni da cui hanno appresso qualcosa che le ha aiutate ad aprire gli occhi su come è, realmente la vita o come non deve essere. Posso, solo, immaginare qual è realtà, loro, hanno dato alla vita (questo non toglie e né son certo, che c’è tanto di bello nei loro ricordi, ed in parte l’hanno scritto).

 

In onesta, non posso certo far finta che non sia così.
Costruirsi una gabbia fatta di luce e ideali pseudo religiosi e vivere come se la realtà fosse: Buona, onesta, altruista, generosa, solidale. La realtà non è così.

 

La realtà è quella che porta un essere umano, un adulto a isolare un bambino perché non possa infettare con il suo linguaggio scorretto, il suo rozzo dialetto, la perfetta dizione della classe (piccoli bambini ben addestrati e ammaestrati). Poco importa se il piccolo non capisce perché deve star isolato.
La realtà è quella che porta un uomo a legare un bambino alla sedia, al che sia buono e bravo e non si faccia male mentre l’uomo per un paio d’ore sbrighi le sue cose, i suoi vizi. Poco importa se il piccolo non capisce perché deve stare legato.

 

Qual è realtà questo bambino diventato adulto deve ricordare per crescere? Quali pilastri deve piantare nel terreno al che possa diventate un uomo con tutte le rotelle a posto?

 

Si cresce secondo coscienza. Imparo dai miei errori, non dagli errori degli altri.
Posso solo aver pietà per chi vive senza amore, senza perdono e senza felicità, ed avere compassione per chi commette errori, anche verso di me.
E ce n’è voluto per capire, riconoscere e alla fine donare compassione.

 

Un tempo ero triste, addolorato d’esser un fesso (uno dei tanti nomignoli donatami da chi mi ha conosciuto).
Oggi! Sono fiero di esser un fesso.

 

Questa ultima affermazione mi porta in mente un altro pensiero. Mi spinge a richiamare chi spesso mi ha fatto compagnia, soprattutto, da ragazzo. Una figura oggi molto rivalutata:
Il cinico.
Chissà cosa direbbe sorridendo quell’amico cinico, che un tempo sottolineava molte mia battute, leggendo tutto questo? :-)
Non posso in questo lungo post non citare un personaggio famoso.
Dai ci sta, non dite? :-) Un pensiero opportuno che possa dar sostegno a quel che racconto.
Se l’ha detto lui (che è ricordato) allora ha valore, l’antologia degli sciocchi.
“Le macchine che danno l'abbondanza ci hanno lasciati nel bisogno. La nostra sapienza ci ha reso cinici, l'intelligenza duri e spietati. Pensiamo troppo e sentiamo troppo poco. Più che macchine, l'uomo ha bisogno di umanità. Più che intelligenza, abbiamo bisogno di dolcezza e bontà. Senza queste doti la vita sarà violenta e tutto andrà perduto.”  Sir (dai pure sir) Charlie Chaplin.
Non si può dire che non sia una bella citazione.

 

Pensiamo troppo? Sì.
Sentiamo poco? Direi di sì.
Abbiamo bisogno di umanità?
Per rispondere a questa domanda, bisogna capire prima che significa essere: Umani.

 

L'immagine non c'entra molto con quel che ho scritto, ma mi piaceva ricordare che l'amore va oltre tutto.

 

Lungo post, scusate, avevo promesso di non farne più così lunghi.
Come al solito ero partito con un pensiero preciso che si è perso lungo la strada.
Non pensavo di concludere con una domanda sul significato dell’umanità.
Troppo anche per me. :-)

 

Buona giornata.

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natodallatempesta0 più di un mese fa

 

Ieri nel groviglio di pensieri mi sono chiesto:

 

Cos’è che fa crescere? L’esperienza di certo o risposto.

 

Ma c’è un’altra fonte a cui attingiamo.
Una fonte che ci fa, come l’esperienza, crescere nella stima e nella consapevolezza di sé.

 

Vi racconto un piccolo episodio accaduto durante gli anni di scuola:

 

Avevo appena terminato di eseguire un’esercitazione di restauro assegnata dal professore. Com'era ed è prassi dopo l’uso di pennelli si procede alla pulizia. Il professore si avvicina e si accorge che tutti avevano concluso la pulizia, mentre io ancora insistevo strofinando i pennelli con un panno, una, due, tre e poi quattro volte e poi ancora e ancora.
Il professore si accosta a lato e mi dice quasi sorridendo:
“Pulisci i pennelli come Pissarro”.
Non so il perché (ma posso immaginarlo), ma quell’accostamento mi ha riempito il cuore di gioia.
Quella semplice frase, più un’osservazione che un complimento è rimasta nel tempo e dopo decenni è, una delle poche che ricordo.

 

Contare su stessi è il primo insegnamento che ci viene impartito. In modi e termini diversi tutti ad un certo punto ci rendiamo conto che amarsi è importante, importante quanto amare chi abbiamo accanto.
In questa riflessione voglio, però, soffermarmi sugli incontri. Quegli incontri che in un modo o un altro cambiano la vita o aiutano ad aprire gli occhi.

 

Alcuni ne hanno tanti (fortunati), altri pochi, c’è, forse, chi ne ha avuto solo uno.

 

A volte ci salvano la vita, in altre ci indicano la strada, altre volte ancora ci danno una carezza fatta di polvere di cuore.
Frasi che al momento non hanno alcun effetto o senso per la nostra interiorità e che hanno al massimo il pregio di donarti un sorriso, se va bene o un imbarazzo, a volte persino un disagio. Con il passare degli anni ti accorgi, però, che non sono stati e non sono così fugaci come pensavi, riemergono diventando fondamenta per l’uomo o la donna che sarà.

 

Ho ricordato quell’episodio perché è significativo per me. Perché è quel tipo di episodio che nel momento che lo vivo non mi rendo conto che è fondamentale.
Gli incontri importanti lunga la vita come ho scritto si susseguiranno fino alla fine della nostra vita, ma c’è una differenza tra le figure d’affetto come: un nonno, una nonna, un amico o amica, o anche un professore che vuoi o non vuoi diventa guida per un bel pezzo della nostra vita e chi si trova a costruire senza saperlo un pilastro.
Gli episodi che puntellano la crescita e la consapevolezza di chi siamo e cosa saremmo, sono scene uniche che si palesano indipendentemente dalle figure che incontriamo. Sono incontri sì, ma con la nostra consapevolezza.

 

Viviamo in perenne equilibrio, camminando su un filo immaginario che ci rende a volte coraggiosi, persino spavaldi, altre fragili e inutili, non degni di vivere la vita che ci è stata donata.

 

 

Permettetemi una citazione del buon Aristotele:

 

“Le persone perfette non combattono, non mentono, non commettono errori e non esistono.”

 

Siamo imperfetti e la nostra imperfezione è ciò che ci rende fragili e inutili, ma ci rende anche unici e irripetibili.
Siamo esseri di vetro, siamo esseri di carta, ma siamo anche esseri fatti di roccia, fatti di metallo.

 

Il senso dell’amore è riempire noi stessi d’amore, tutti qui.

 

 

Scrivo per me e nella mia banalità, nella mia indecifrabile confusione, leggo lo spazio e il tempo per registrare un viaggio verso l’ignoto del mio io, cito e spero mi perdoni dal luogo dove si trova, i versi di Pierangelo: Le masturbazioni cerebrali le lascio a chi è maturo al punto giusto, le mie storie voglio raccontarle a chi sa masturbarsi per il gusto.

 

Buon inizio di settimana.

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natodallatempesta0 più di un mese fa

 

La finestra del balcone è aperta e i raggi del sole si stendono come bianche ali di colomba sulla scrivania, sento persino al tatto il tocco del sole, quel tepore che piano piano scalda, lì dove la luce tocca.

 

Oggi è una bella giornata. E sì!!! Basta il sole a rendere l’inizio di questo giorno: Bello.
Un nichilista avrebbe certo da ridire su queste affermazioni, ma ogni tanto iniziare con un pò; Lo dico? E sì per una volta lasciamoci andare: Con un pò di poesia non fa male.

 

Tanto è solo l’inizio, i miei post di questi tempi, poche volte finiscono con il sorriso. :-)
Vediamo cosa mi dona Calliope!!!
Che ci crediate o no? La maggior parte delle volte inizio sapendo di quel che scrivo, poi però accade che un pensiero ne tira un altro, ed un altro ancora, ed ecco, che il sentiero non è più quello e si va a braccio, a sensazioni. Là dove porta la riflessione.

 

E dove porta la riflessione?

 

Ieri sera guardavo insieme alla mia compagna la tv, Rai due, eravamo già in seconda serata. In silenzio entrambi ascoltavamo, finché, entrambi, contemporaneamente non abbiamo esclamato: Guarda chi c’è!!! Mai stato superstizioso e mai lo sarò, ma credo che certe convergenze hanno uno SCOPO.
Qual è? Bella domanda, vallo a sapere, ma di certo so che non sono casuali, che sono punti nello spazio tempo, piccoli tocchi di colore che da soli sono niente, ma visti da distanza adeguata mostrano un’opera ben definita.
Chi c’era?
Una band musicale che suonava: I ladri di carrozzelle.

 

Ora!!! Cosa centra tutto questo con la mia riflessione?
Quante volte capita, in famiglia, di toccare certi argomenti?
Di solito si discute di figli (per chi ce l’ha), di bollette, di lavoro, quando il brivido, poi, acchiappa il bacino: d’amore. Per i più passionale: sesso.
Ma di fede, di filosofia, di ascetismo? Quando mai capita? Giusto guardando Ulisse.

 

Cos’è che fa crescere? L’esperienza di certo. L’esperienza, ossia, l’insieme di tutte le scene con noi protagonisti, indipendentemente dal copione che abbiamo in mano. Quest’ultimo pensiero è importante (ovviamente per me), perché tutto è esperienza.

 

Ho riletto quel che ho scritto, la mia espressione è tutto tranne che sicura di quel che è stato fatto fino ad ora, mi sono rimesso davanti al Pc dopo una pausa.
Sinceramente, leggendo le parole mi viene da chiedermi.
Dove vuoi arrivare? Non è più logico non scrivere se non sai di che scrivere o fermarti magari ad un solo pensiero, come i primi post.
Il primo post. Per curiosità sono andato a vedere che avevo scritto:

 

TUTTO INIZIA DAGLI OCCHI

 

Tutto qui!!! Questa sì che è sintesi. C’è profondità di contenuto nella frase? Questo non spetta a me dirlo. :-)
Mi sarei forse dovuto fermare a: Oggi è una bella giornata, inserire una luminosa immagina di uno scorcio e augurare la buona domenica.
Invece continuo a scrivere di nulla.
Son certo che qualche sensibile commentatrice o commentatore (uno solo finora) troverà qualcosa in quel che ho scritto

 

Come ho accennato c’è uno scopo.
Magari è solo condividere una canzone:

 

 

Ci sono momenti in cui ci si sente piccoli, altri in cui ci si sente inutili, altri ancora un cui ci si sente diversi.

 

La differenza è nella domanda che ci si fa.
Non vi dico la mia, né vi chiedo la vostra.

 

Buona domenica a tutti.

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natodallatempesta0 più di un mese fa

 

Ieri nessun pensiero è scivolato dalle dita, nonostante sia entrato più volte.

 

Oggi lascio un pensiero, meno tortuoso e tormentato di quello che ho scritto giorni fa.
Può esser fugace e volar via in pochi istanti o trattenersi. Poco importa, quel che conta è lasciare qualcosa nello spazio.

 

Che cosa?

 

Potrei scrivere di effimero e intangibile, toccato (per modo di dire) poche ore fa rientrando a casa.
C’è l’alba, certo, ma c’è anche il tramonto:

 

 

Visto poche ore fa.
 

Non sono un poeta! Non sarei all’altezza di cotanta (ma dai, quando capiterà più di usare cotanto termine) bellezza.

 

Mi sa che sto cazzeggiando. Oggi in molti cazzeggiano, ne vedo tanti: al mercato, dal giornalaio, in strada, al semaforo. Oh al semaforo!

 

Vi racconto una storia:

 

C’era una volta un anziano samurai che si dedicava a insegnare il buddismo zen a giovani allievi. Malgrado la sua età, correva la leggenda che fosse ancora capace di sconfiggere qualunque avversario.
Un pomeriggio si presentò un giovane guerriero conosciuto per la sua totale mancanza di scrupoli. Egli era famoso per l’uso della tecnica della provocazione: aspettava che l’avversario facesse la prima mossa e, dotato di una eccezionale intelligenza che gli permetteva di prevedere gli errori che avrebbe commesso l’avversario, contrattaccava con velocità fulminante. Questo giovane e impaziente guerriero non aveva mai perduto uno scontro. Conoscendo la reputazione del samurai, aveva deciso di sfidarlo, sconfiggerlo e accrescere così la propria fama.
Tutti gli allievi del vecchio samurai si dichiararono contrari all’idea, ma il maestro decise ugualmente di accettare la sfida lanciata dal giovane guerriero.
Si recarono tutti nella piazza della città: il giovane cominciò a insultare l’anziano maestro. Lanciò prima alcuni sassi nella sua direzione, gli sputò poi in faccia. Gli urlò tutti gli insulti che conosceva, offendendo addirittura i suoi antenati. Per lunghe ore fece di tutto per provocarlo, tuttavia il vecchio si mantenne impassibile.
Sul finire del pomeriggio, quando ormai si sentiva esausto e umiliato, l’impetuoso guerriero si ritirò.
Delusi dal fatto che il maestro avesse accettato tanti insulti e tante provocazioni senza reagire, gli allievi gli domandarono:
“Come avete potuto sopportare tante indegnità? Perché non avete usato la vostra spada? Anche sapendo che avreste potuto perdere la lotta, avreste mostrato il vostro coraggio! La gente penserà che siete un codardo!”
L’anziano maestro samurai, allora domandò loro:
“Se qualcuno vi si avvicina con un dono e voi non lo accettate, a chi appartiene il dono?”
“Appartiene a chi ha tentato di regalarlo” – rispose uno dei ragazzi.
“Lo stesso vale per l’invidia, la rabbia e gli insulti” – disse il maestro – “Quando invidia, rabbia e insulti non vengono accettati, continuano ad appartenere a chi li porta con sé”.

 

Oggi, ho visto due uomini insultarsi – al semaforo – intuito dalla scena “per una freccia non inserita.” Non è importante in questo istante ciò che è passato, ma quel che sento.

 

Scrivo d’amore perché amore c’è, scrivo di arte perché arte c’è.
Adesso scrivo di insulti.
Avete appena letto, secondo voi sto parlando d’insulti?

 

Chissà!!! Chi avrà voglia di commentare cosa commenterà?

 

Buon fine settimana a tutti.

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natodallatempesta0 più di un mese fa

 

Ieri navigando tra i pochi blog che visito ho letto una riflessione, che ha indirettamente aperto un cassetto o dovrei dire una ferita.
 

Ora!!! Questo cassetto, involontariamente aperto, e un commento (un bellissimo commento che ha riportato la bussola sulla solitudine) mi spingono a scrivere di qualcosa che nella quotidianità discuto poco o niente. E in sincerità ho qualche remora a parlarne.
Perché non riguarda solo me e non so se dovrei dare voce anche lei.

 

La mia compagna molto spesso (una sensazione questa che ho, perché son certo che da sola si lascia andare): Piange!!!

 

Perché piange?
Perché non è mamma.

 

Noi siamo una di quelle coppie che non ha avuto figli. Una scelta? No!!!

 

La più banale delle risposte, quella che si da’ per circostanza è: È capitato così.

Questa è la risposta che si da’, che ci diamo, che ci deve bastare e che deve bastare a chi ascolta e a chi chiede.

 

Ma come quel t’amo definito ieri.
Anche questa risposta ha dietro un racconto.
Che è storia oramai. Quel che resta? È quel che conta. E di tutte queste parole (appena scritte) solo una parola è importante:

 

Piange.

 

La mia compagna piange ancora. Beh quale donna non piangerebbe per non essersi completata?
“La mia vita è un fallimento” la frase più ricorrente, nei momenti più cupi. I confronti poi sono sempre in bocca pronti a ferire: Sentirti esclusa! Perché le altre sono mamme. O sentirsi buttare addosso quella frase: "Quant’è difficile non puoi capire!!!" Come se le difficoltà sono solo a retaggio di chi ha figli.
Bella cazzata!!!

Non è bello vedere chi si ama piangere ed esclamare queste frasi.

 

Quel che faccio io? La rincuoro, la sostengo e parlo, parlo e parlo, finché non si dimentica e sorride o si irrita e la tristezza diventa rabbia da sfogare. Meglio! Più sana!

 

Io che parlo, parlo e parlo!!! Io che non spiccicavo una parola da piccolo. :-)

 

Ricordate il post sul lupo bianco e il lupo nero: Il valore di sé
Lei nutre il lupo nero, ma è intelligente, dopo, quando la bufera emotiva è passata, nutre il lupo bianco e in un certo modo da’ senso a questa mancanza, da’ equilibrio. Si è, poi, sempre occupata di bambini, è questo fa nella vita. Il karma!!! Bella invenzione.

 

Che la ferita è aperta, per me è chiaro come il sole, testimoni sono le lacrime che ciclicamente tornano. Ciclicamente!!!

Quel ciclo vitale che quando conclude il suo giro, vi toglie tutto. Solo una donna può capire!!!

 

Io non capisco?!
Non ho mai capito, non ho mai sentito nulla, provato nulla. Eppure?

 

Non ho mai, mai, palesato alcun sentimento (se non quello che serviva agli altri) sulla paternità.

 

È costume, un mal costume, che la maternità sia amore assoluto, sia vita e fede.
E lo è, ma se è tutto questo, allora, la paternità a paragone che cos'è?
Che sbaglio storico, che scusa si è lasciata scivolare nelle tasche dell’uomo.

 

Non esser papà?

 

 

Pensavo di poter raccontare, ma non posso....... magari in un'altra occasione.

 

Buona giornata a tutti.

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natodallatempesta0 più di un mese fa

 

"La Follia decise di invitare i suoi amici a prendere un caffè da lei.
Dopo il caffè, la Follia propose: “Si gioca a nascondino?”.
“Nascondino? Che cos’è?” – domandò la Curiosità.
“Nascondino è un gioco. Io conto fino a cento e voi vi nascondete. Quando avrò terminato di contare, cercherò e il primo che troverò sarà il prossimo a contare”.
Accettarono tutti ad eccezione della Paura e della Pigrizia.
“1.. 2.. 3.. – la Follia cominciò a contare.
La Fretta si nascose per prima, dove le capitò.
La Timidezza, timida come sempre, si nascose in un gruppo d’alberi.
La Gioia corse in mezzo al giardino.
La Tristezza cominciò a piangere, perché non trovava un angolo adatto per nascondersi.
L’ Invidia si unì al Trionfo e si nascose accanto a lui dietro un sasso.
La Follia continuava a contare mentre i suoi amici si nascondevano.
La Disperazione era disperata vedendo che la Follia era gia a novantanove.
CENTO! – gridò la Follia – Comincerò a cercare.”
La prima ad essere trovata fu la Curiosità, poiché non aveva potuto impedirsi di uscire per vedere chi sarebbe stato il primo ad essere scoperto. Guardando da una parte, la Follia vide il Dubbio sopra un recinto che non sapeva da quale lato si sarebbe meglio nascosto. E così di seguito scoprì la Gioia, la Tristezza, la Timidezza.
Quando tutti erano riuniti, la Curiosità domandò: “Dov’è L’Amore?”.
Nessuno l’aveva visto.
La Follia cominciò a cercarlo. Cercò in cima ad una montagna, nei fiumi sotto le rocce. Ma non trovò l’Amore. Cercando da tutte le parti, la Follia vide un rosaio, prese un pezzo di legno e cominciò a cercare tra i rami, allorché ad un tratto sentì un grido. Era l’Amore, che gridava perché una spina gli aveva forato un occhio.
La Follia non sapeva che cosa fare. Si scusò, implorò l’Amore per avere il suo perdono e arrivò fino a promettergli di seguirlo per sempre. L’Amore accettò le scuse.
Oggi, l’ Amore è cieco e la Follia lo accompagna sempre."

 

Ecco!!! I commenti ricevuti mi hanno portato a condividere questo piccolo e simpatico racconto.

 

Ieri ho concluso il mio post con la parola: t’amo.

 

Dietro un t'amo c'è sempre una storia, un racconto che raccoglie nelle sue trame infinite conclusioni e indefinite scelte. Si sceglie a volte con il cuore, a volte con la mente (e si mente in questo caso, spesso, a se stessi) quel momento, quel preciso momento per dire: t'amo.

 

Dietro di esso, come nel racconto ci sono: Curiosità, Disperazione, Paura, Trionfo, Tristezza, Dubbio, Timidezza, Gioia, Invidia e Pigrizia. C'è tutto dietro un t'amo, il detto e il non detto, il giovane cuore e il vecchio cuore, il silenzio e il rumore, la verità e l’inganno. Sì!!! Anche l’inganno, quello che non ti fa star zitto quando dovresti far silenzio o ti ammutolisce quando dovresti parlare, gridare quel che senti.

 

A volte per pudore si camuffa e dalla bocca esce un: ti voglio bene, per non disturbare, per non dare la sensazione che tutto sia importante, troppo importante da diventare vitale. Perché poi non vuoi essere quello che si piega o opprime, soffocando quel sentimento che è lì, vivo e sorridente.

 

Dietro un t’amo c’è a volte una gioia, a volte una ferita, ma state certi: c’è sempre un solo nome.

 

 

Parole, parole e parole per dire una sola cosa .......

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