A volte vorrei essere come qui poeti e scrittori romantici, sempre ottimisti, confortevoli come una fetta biscottata con la marmellata a colazione. Vedo che alla fine piacciono molto, il loro essere rassicuranti riscuote inevitabili consensi.
Mi accorgo invece che il mio scrivere rassicurante non lo è affatto: i miei amanti spesso consumano il loro ultimo amplesso furioso, i miei personaggi hanno gli occhi iniettati di sangue di chi non ce l’ha fatta, i miei eroi si dileguano con la parola addio pronunciata a fior di labbra. I miei primi baci diventano immediatamente anche gli ultimi. Anche quando documento la felicità, c’è già nelle mie parole un senso di provvisorietà ineluttabile.
Sempre più spesso penso che quelli come me dovrebbero smettere di scrivere, facendo un favore a se stessi e agli altri. Poi sento il richiamo della strada, resto affascinata dal canto dei ciarlatani, dai pazzi, dai ladri, dalle battone, dai vouyer , dagli alcolizzati , dai drogati, e non resisto.
Ritorno inesorabilmente a scrivere di chi non ce l’ha fatta e di chi non ce la farà mai, con il sadico desiderio di non essere rassicurante affatto.
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