Profilo BACHECA 44
Non sempre riesco ad ammetterlo ma quando mi guardo dentro vedo un buco. A volte mi appare come una terribile voragine, altre volte solo un vuoto che si può pensare di ignorare.
È lo spazio del non amore. È composto dalle volte in cui ho dato tutta me stessa per non ricevere nulla, dalle volte in cui qualcuno mi ha colpevolizzata per essere quella che sono, dalle volte in cui mi sono sentita rifiutata, non compresa, tradita. È lo spazio dei rifiuti, degli abbracci non ricevuti, dell'amore mancato, delle carezze che non mi sono state date, delle volte in cui avrei avuto tanto bisogno di qualcuno che non c'era, delle persone che se ne sono andate.
Nonostante il non amore, nonostante quel buco, io ho continuato a sperare che bastasse il mio cuore, che tutto l'amore che ho sempre messo in ciò che ho fatto potesse coprire il resto, anche quello che non c'era. Che potesse sollevarmi e permettermi di essere sempre al di sopra di quel vuoto e non dentro.
Ed ogni giorno combatto perché quel vuoto non mi risucchi, perché io ho di più, io sono molto di più di quello che mi manca.
Io sono ben più grande di quello spazio, il mio cuore è più ingombrante, è più pesante, più folle di qualsiasi vuoto mi abbia scavato, finora, l'anima.
Laura Messina
Un giorno qualcuno mi chiederà quale sia stata la cosa migliore che io abbia mai fatto nella vita.
“Ho amato!” - griderò.
E quale è stata la peggiore?
“Ho amato” - sussurrerò”
Elisabetta Barbara De Sanctis
Ci sono giorni,da cancellare perchè non vi rimanga nulla del dolore.
Dal web
Come arrivano lontano i raggi di una piccola candela,
così splende una buona azione in un mondo malvagio.
W. Shakespeare
Se vuoi capire quanti danni ha fatto, specchiati. Se ancora dubiti, se un conato di cieca indulgenza ancora spinge per uscire, guardati le guance scavate, per piacere, i rami da spettro al posto delle braccia, i capelli che cadono a pioggia, atterrando sull’astanteria di un cuscino, come un ricovero di fili di cotone, come spoglie scuoiate a vivo. Il tuo corpo sta diventando un promemoria di morte, te ne accorgi? Oltre all’onta visibile, quante pene clandestine hanno deposto le uova sotto quella pelle leggerissima che indossi? Quale lascito, quale eredità permetterai che ti perseguiti, che ti consumi fino al nucleo di lava e che lo spenga? La bilancia tiene il conto dei chili che non pesi, e la lista dei sorrisi perduti dove la nascondi? Tu lo chiami amore, e io te lo lascio dire. Ma a me pare inquinamento, manipolazione. No, creatura dolce, non sei pazza, non stai esagerando, non hai alcuna tendenza alla drammaturgia, alla tragedia. I tuoi occhi vedono benissimo, il tuo sesto senso è intatto, a dispetto della mente asfittica, traumatizzata da questo gioco di doppioni in cui lui si muove con naturalezza mentre tu ti smembri, divisa tra realtà e finzione, tra verità e bugia. “A cosa devo credere?” ti starai chiedendo. Al tuo istinto di sopravvivenza, credi a quello. Alla rabbia che ti monta dentro come l’acqua quando schiuma, quando raggiunge il punto di bollore e lì tracima, coi suoi tentacoli di medusa liquida infiltrati sotto il sepolcro del coperchio che li tumula. Ascolta il tuo corpo, il suo maremoto: è il mezzo con il quale la vita ti fa barca e ti rovescia, affinché tu capisca che non sei nel posto in cui dovresti essere. C’è qualcosa di profondamente sbagliato in ciò che sta accadendo. C’è disequilibrio, dissonanza, disincastro. Assenza di giustizia. Non dargli altro, nemmeno i ricordi, neppure il rammarico, soprattutto il disprezzo. Non dargli nulla, non fecondare tesori in quella terra d’abbandoni e mancanze che tante volte ti ha costretta a raggiungere. Non alimentare la sua vigliaccheria, non darti in pasto come una carcassa, non farti tana per il topo. Smettila di chiedere il permesso per mangiare, per pensare, per ringhiare. Per essere selvatica. Scatarra il tuo coraggio di marmo e di calcare sulle bavose raffiche di vento con le quali crede di piegarti. Non ti hanno sconfitta, non ti hanno compromessa, non ti hanno spezzata. Datti pace. C’è ancora molto di savio in te. Di geniale, niveo, talentuoso. Non sei quello che ti hanno detto, non sei quello che ti hanno fatto. Sei bella, ma torna bella. Sei forte, ma torna forte. Sei donna, ricordati che sei donna. Lui, invece, è a malapena un uomo.
(Antonia Storace, dal libro "Frumento e papaveri")
Immagine reperita dal web
A volte penso che la mia fragilità sia un valore aggiunto. Una strana forma di bellezza incomprensibile ai più, una specie di marchio che mi porto dentro probabilmente da sempre. Una forma di essere, la mia forma. Ho costruito una corazza per nasconderla ma alla fine piango per una stupidaggine, a distanza di secoli, e mi rendo conto che sono sempre lì, esposta, con le ferite che ho pensato nel tempo maldestramente di celare ma che sono aperte, rappresentative di me più di quanto io stessa voglia, più di quanto si possa immaginare.
Il mondo non si preoccupa di sapere e forse va bene così. Ognuno è sovrastato da pensieri, preoccupazioni, dubbi, dal tempo che non può bastare, non si può sempre badare ai dettagli, agli occhi lucidi, all'umore che improvvisamente diventa buio, a parole pesanti che sfuggono via dalla bocca, come se non avessero un senso. Questo penso quando gli altri non mi guardano, non si accorgono di me, della furia terribile delle mie tempeste. Non è una colpa. Chissà di quante cose non mi rendo conto io. Chissà quanta delusione lascio al mio passaggio.
Poi ogni tanto ho la fortuna di incrociare un'altra fragilità. E non ho bisogno di chiedere, di capire, di rivelare.
C'è un senso nella comprensione profonda di due anime fragili, un senso che non si può spiegare a parole.
Probabilmente non ci si può nemmeno aiutare, non si può fare niente. Ma la consapevolezza di non essere l'unica, di sapere che ci sono altri che sanno esattamente come mi sento, mi fa pensare che non c'è una vera solitudine in me.
C'è il volere stare da una parte, non in mezzo.
Laura Messina
Ho imparato a guardare sempre oltre, a non accontentarmi di quello che appare, ho imparato a cercare il sole oltre le nuvole, anche nei giorni di pioggia che sembrano non dover finire. Ho imparato a osservare i dettagli, a non farmi ingannare dalle parole, ho imparato che anche i momenti peggiori passano, in qualche modo. Ho scoperto riserve di energia che non immaginavo di avere, a contare solo sulla mia buona volontà, ho imparato che posso essere forte oltre la mia stessa immaginazione, perché la mia forza si rinnova e cresce ad ogni difficoltà sopravvenuta.
Tutto sommato sono solo una persona normale, che diventa straordinaria quando occorre.
Laura Messina (2017)
Lei era una di quelle donne col cuore sempre in subbuglio.
Ardeva.
Perché era fuoco.
Era vento.
Una di quelle donne col sorriso un po’ malinconico.
Quelle che hanno amato tanto.
Quelle che, poi, però, hanno sofferto.
Una di quelle donne che nonostante le cadute e le fregature non aveva mai smesso di crederci, in quella favola dell’amore.
Non si era mai sottratta.
Non si era mai indurita.
Una di quelle che non si era mai fatta piegare dal disincanto o dall’aridità emotiva.
Perché lei amava emozionarsi.
Nei suoi occhi potevi trovare tracce di dolore, di delusioni, di promesse non mantenute. Eppure continuavano a brillare.
Perché lei sapeva sorriderti sempre, anche quando dentro, lentamente, stava morendo.
Anche quando capiva che stavi per tradirla.
Anche quando sapeva che le avresti fatto tanto male.
Spezzandole il cuore.
Lei sentiva le cose prima.
E avrebbe voluto sbagliarsi.
Ma non succedeva mai.
Roberto Emanuelli.