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"Dave faceva amare la musica alla gente, Roger la faceva pensare. La combinazione funzionava alla perfezione" - Nick Griffith

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A qualcuno serve un ripasso, molti devono proprio studiare come si sta nel web.

 

A distanza di mesi, mi sento di ripostarlo.

 

 

Il Manifesto della comunicazione non ostile

 

 

 

Parole O_Stili

 

#UsiAmo Parole Gentili

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La seconda metà degli anni novanta ha segnato la fioritura del girl power in ambito pop-rock. Sulla scorta del successo di Alanis Morisette, si era creato tutto un movimento che aveva visto il debutto di Natalie Imbruglia (Thorn), Anouk (Nobody's Wife). In Italia nel 1997 esplose Lara Martelli, con il suo look e la sua debordante energia. Ricordo il suo video "Il potere" spopolare all'epoca su Videomusic. Si narra che in quel 1997 si esibiì a Tor di Quinto con Deep Purple e Porcupine Tree. 

 

Nel corso degli anni Lara ha evoluto il suo stile in un raffinato cantautorato che ha prodotto diversi brani di indubbia caratura. come Orchidea Porpora, Ode a Renoir; anche il suo look nel corso degli anni si è evoluto e ammorbidito. 

 

Tuttavia quando penso a Lara me la rivedo a saltare sulle lavatrici coi capelli ondeggianti col suo rock di denuncia beffa costumi. E sorrido, perché sembra incarnare lo spirito di un avatar amico assai battagliero,  dannatamente caro.

 

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[Song of Unborn - Live]

 

Mi siedo a terra e ascolto. 

L'armonia dell'Universo.

Le voci che abbiamo dentro.

Qualche volta mi confondo.

Spesso mi perdo.

Alcune volte inseguo il battito,

altre scorgo il respiro.

Finché non si tramuta in sussurro.

Allora sorrido.

 

Mi siedo e ascolto

non conosco altro modo

per attraversare l'oceano

che separa ogni giorno

ciò che sogno

da ciò che sono.

 

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[Refuge - Live]

 

Tu semina note che io porto a casa la pelle.

Insieme ci ripariamo da una bufera di stelle.

Non esistono scale per raggiungere le profondità abissali,

guardandoci negli occhi capteremo gli echi remoti dei loro segnali.

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Ça suffit

 

Per quanto remiscelare certi vuoti a perdere sia perfettamente inutile.

Resta la musica (geniale) a filtrare oltre le nebbie del nulla.

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Dopo aver auspicato magici incastri per l'anno a venire, nel salutare l'anno che va a concludersi non possiamo esimerci da un focus redazionale su una patologia infestante della vita di community: la DigiSpazzatura.

 

Gli anonimi e i profili della rete di Libero che in questi spazi trovano ragione solo nel livore, nell'astio e nel rancore velenoso. Che ricorrono a un linguaggio scurrile e supponente verso gli altri membri della comunità.

 

Riconoscere per evitare e saltare oltre.

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Era magnifico quel tempo, com'era bello
Quando eravamo collegati, perfettamente
Al luogo e alle persone che avevamo scelto
Prima di nascere

Il tuo cuore è come una pietra coperta di muschio
Niente la corrompe
Il tuo corpo è colonna di fuoco affinchè
Arda, e faccia ardere

Le mie braccia si arrendono facilmente
Le tue ossa non sentono dolore
I minerali di cui siamo composti
Tornano, ritornano all'acqua

Un suono di campane
Lontano, irresistibile, il richiamo
Che invita alla preghiera del tramonto

Gentile è lo specchio, guardo e vedo
Che la mia anima ha un volto
Ti saluto divinità della mia terra
Il richiamo mi invita

 

 

Mi accosto, non privo di deferenza e con una sorta di timore referenziale, ad una grande anima, prima ancora che ad un sommo artista della nostra musica popolare contemporanea, per invitarvi a cogliere la magia degli incastri magici che le persone sanno donarsi. Quello che, per certe interiorità marcatamente sensibili e creative, rappresenta a tutti gli effetti un irresistibile richiamo. Apriti Sesamo.

 

 

Notavo un verso del brano di Franco che ricorda molto da vicino un'immagine presente in Breathe (Reprise) di Dark Side of The Moon, quando i Pink Floyd cantano:

 

Far away across the field
The tolling of the iron bell
Calls the faithful to their knees
To hear the softly spoken magic spells.

 

Lontano, attraverso un campo

il rintocco di una campana di ferro

invita i fedeli a inginocchiarsi

ad ascoltare le magiche note sommesse.

 

 

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Quanto è affascinante perdersi nella struttura di certi brani nel canovaccio di orizzonti che insegue variazioni di sogni e di suoni. 

 

Come per le scale di Escher, portanza di idee nella pioggia di sfumature. Trasalire e Ascendere nella Levità del Vagare,  Spirale che Vortica e raggruma energia contro ogni forma di dispersione.

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Da diverso tempo l'affaccio in community è diventato un pretesto per ascoltare della buona musica mentre fumo una sigaretta. Con la scusa di un post indosso le cuffie, viaggio e mi perdo, dimenticandomi del mondo che fibrilla intorno.

 

Devo dire che ultimamente ne sto scoprendo molta diversamente bella, in linea con il mio sentire, che mi fa focalizzare l'attenzione sul fatto che bisognerebbe dedicare più tempo a fermarsi ad ascoltare, anziché moltiplicare i post per riempire le bacheche, e centellinare i like laddove c'è profondità e respiro, magari una visione spruzzata di qualche emozione.

 

Dai The Pinapple Thief (progressive band di Gavin Harrison, già batterista dei Porcupine Tree) passando per gli ultimi Opeth, che secondo me hanno fatto bene ad abbandonare il Death Metal per abbracciare il Progressive Metal, inanellando pezzi fotonici di una sconcertante bellezza. Come a dire, sempre Wilson c'entra.

 

Stasera, per restare in casa, mentre vagavo sul tubo alla ricerca di qualcosa di nuovo, mi sono imbattuto in un vecchio pezzo dei Porcupine Tree (band a cui è stato dedicato un intero speciale a puntate in Millenium21) appartenente a quella che agli albori del gruppo era la discografia "parallela", "ufficiosa", a tiratura limitata e di difficile reperibilità ai tempi dell'uscita, che oggi è stata ristampata, talvolta inclusa come b-side delle riedizioni dei cd storici; molti di questi brani erano nati duranti le session degli album ufficiali, e spesso contenevano intuizioni musicali geniali, al pari se non superiori a quelle dei brani inclusi nei CD ufficiali.

Così, attratto dalla spirale cosmica della galassia che campeggia nel video, mi sono messo ad ascoltare questo brano che non avevo mai udito. 

 

Steven Wilson è una delle menti musicali più eclettiche, creative e geniali degli ultimi decenni. Si è inventato per gioco una band inesistente suonando tutti gli strumenti, è un grande produttore e tecnico del suono (Robert Fripp, altra mente folle che lo precede nella scala genealogica gli ha affidato la rimasterizzazione dei classici dei King Crimson, per dire), dopo aver portato alla ribalta i Porcupine rivitalizzando il Progressive si è dedicato ad una luminosa carriera solista, sfornando altri brani pazzeschi, ha preso in mano gli Opeth al punto da farli svoltare musicalmente, ha recentemente portato in auge i Porcupine, quando ormai tutti li credevano una forza musicale esaurita. Sono profondamente legato ai primi Porcupine con cui lo scoprii, e non tanto per nostalgia verso quella sua psichedelia di matrice cosmica, dall'anima intimamente floydiana; piuttosto perché all'epoca emergeva quella voglia latente di suonare il suo strumento, la chitarra. Si parla spesso della genialità di Wilson nel produrre, scrivere testi, essere mente e faro guida dei progetti che lo caratterizzano, raramente si pone l'accento sulla sua versatile creatività come chitarrista. Si fanno sempre altri nomi, eppure Steven per me è stato e resta un grande interprete del suo strumento, con una luminosa capacità creativa negli assoli. Ne ha scritti di bellissimi, tremendamente incisivi, efficaci, visionari, mai una nota fuori posto, mai una nota più del necessario. Eppure graffiano, debordano, ti sparano lontano. L'assolo di questo brano ha molte caratteristiche che me lo rendono caro, dallo stirare la nota per poi avvitarsi in quella che sembra a tutti gli effetti una spirale che afferra il brano, lo avvita finendo per spararlo  lontano, con l'utilizzo del wah-wah che impasta il suono in un mood allucinato, cosmico, ricco di un'eco remoto che affiora dal dentro.

 

Quando scopro la musica mi sento vivo, quando ne parlo mi emoziono, viaggio e vibro. Mi fermo e ascolto le voci che credevo perdute in qualche anfratto remoto, invece sono ancora lì che tuonano, a ricordarmi da dove vengo, chi sono, dove sto andando.

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