ancora nel blue hole…e poi Napoli tra le vene...
La mia verità- dici spesso – sembra il riflesso deforme nello specchio. Nei miei occhi l’urlo di foglie sconosciute, la loro eco spenta che si ribalta e mi genuflette. Ho un taglio che diventa deriva.
Scavami,
sino a raccogliere ogni brivido,
come se fossi un campo dimenticato.
Stanotte la luna sembra così vicina, come se fosse un oblò su un mondo segreto. Nel mio groviglio, a volte la paura si mescola, più fitta e densa, alla delusione, al timore di non sapere e non potere. E io non so più tremare. Nel profondo, respiro fragile, e non ricordo. Eppure vorrei. Niente resta incastrato a niente. Il vento ha una voce potente, ed una forza disperata, sembra una corda, ruvida, verso percorsi ignoti. Come se ci fossero vene capaci di essere fiumi.
In fondo al pozzo pulsano quelle vene.
Battono ancora?
La pelle è una mappa. I tuoi occhi come sigillo della mia indecenza, tutta quella di cui sono capace e che mi fagocita. Sono un nastro rosso che prende forma e si piega con il delirio. Hai smesso di scavarmi?
Una goccia, sulla schiena, segna il percorso. Sono inversamente innocente. Ed ho imparato ad ignorare. Con molto dolore. Ascolto solo i miei sensi. Una lama, incerta, ma vorace.
Sul mento.
Puoi baciami.
Ma salvami la bocca, ti prego.
Prima che sia dannata.
A volte penso a tutto quello che è scorso, ai segni, dentro e fuori di me.
Ed è vero, scorgo il delirio e lo afferro, ma solo per un attimo, come se il corpo, alla fine, fosse capace di vincere sulla mente e di scegliere, sapientemente, anche per il cuore. E rifugiarsi ancora in una tasca di vita.
A volte ti ho urlato che ti volevo, nonostante te, me, nonostante tutto. Ma non volevo te, adesso o sempre, o in mai possibile, volevo te in quelľistante esatto, morbido e mio, fragile e vero.
Forse si, lo ammetto, mangio troppa cioccolata.