C'è qualcosa di magico nella luce del sole quando fa freddo. Quasi scintilla la brina al mattino. Un richiamo al cielo che esplode. Alla voglia di guardare sempre oltre. Oltre, la parola in cui non puoi adagiarti ma che devi legarti al fiato, ai passi. Agli occhi.
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Ci vuole rispetto per le parole. Nostre e degli altri. Usate, praticate o solo ostentate. Per quelle dette e anche per quelle non dette. Solo immaginate o scaraventate fuori dalla bocca dell'anima. Raccolte o calpestate. O semplicemente lasciate gocciolare, come gocce nella pioggia o svuotandoci le vene. Quando tutto è immaginifico risulta più semplice nascondersi dietro la fantasia e le sue rade. Quale bosco più delizioso?
Perché spesso le parole sono la via segreta del cuore. Subito dopo gli occhi.
Era tanto tempo fa e nei tuoi occhi mi persi tra strati di assenza.
E non è un modo di dire.
Eppure a volte ciò che sembra corretto non lo è mentre ciò che sembra sbagliato è l'unica soluzione possibile.
Nella ricerca di un senso, lo si perde completamente. Ed è così bello comprendere le cose senza bisogno di spiegazioni, senza repliche, senza precisazioni. Senza aspettative. Esistere con il sangue nelle vene e il cuore ovunque. Si rischia di sembrare deboli, fragili, indecisi, mentre in alcuni passi vi è l'unica risposta che si possa dare alla vita.
In momenti come questi, nulla di tragico, solo un momento casuale di riflessione asciutta e di assenza desiderata, bramata, mi pento di non essere riuscita, nel tempo, a trattenere esattamente quelle cose che mi ero appuntata alla testa, o su di là, da quelle parti. Come se fossi un imbuto, una donna imbuto, e gocciolo oblio e distrazioni. Da un certo punto in poi la mia vita è diventata una collana di distrazioni, perle che scorrevano sul filo, l'una dietro l'altra. E tintinnavano un pochetto all'impatto, con una assestazione precaria. Mi era ripetuta spesso, che avrei assolutamente dovuto ricordare quella cosa, quel nome, quel titolo di film, quella marca di calze, di shampoo o di biscotti. E invece, adesso sento solo, al posto di quel nodo, di quel fazzoletto invisibile, che c'era qualcosa che avrei dovuto ricordare, qualcosa che era così importante ed indifferibile ed irrinunciabile. Al punto di non aver lasciato traccia. "E' un pò distratta". E il volto di mio padre diventava i suoi occhi blu come due spilli; in fondo quella maestra, la mia, non si era resa conto dell'incredibile disastro che aveva creato alla mia giovane e pseudospensierata giovinezza. Se gli avesse detto che avevo sgozzato un compagno di scuola, non sarebbe stato altrettanto grave. Il rendimento era l'unico parametro della mia modesta ed acerba vita. E tutte le rassicurazioni successive non giovarono al mio destino ed alla punizione che ne sarebbe venuta. E neanche quella ricordo. Nulla di rilevante, niente di che al cospetto dello sguardo inceneritore di mio padre. La mia memoria è un colabrodo. Trattiene poco e male. E chi lo sa cosa sia davvero utile. Quale sia la misura della probabile utilità. Non mi importa essere efficace nel dire, nè di dire. Ma di non aver non detto. Una specie di vizio, era così sin da piccola, con i miei slanci in un patto di lealtà con il mio cervello, il morbido ed indisponente piatto da portata, di cui sopra. Forse per quello condisco sempre tutto con il prezzemolo. Ecco io sono in quel tocco, anche se sbagliato, eccessivo. Non mi è mai importato essere cinica, perchè sento il cinismo irritante quasi quanto la supponenza. Ed è per me solo una forma spietata di moralismo. Ci ho provato a comprenderlo, mi sono ritirata, irrigidita, infilata nelle mie ossa, ma poi ho ripreso a scorrere, ad accatastarmi in onde. E ho compreso che non voglio stare senza l'irruzione e l'entusiasmo e la confusione della bellezza, perchè la bellezza è ovunque. E forse dovremmo esercitarci a cercarla, a stanarla. Non ha bisogno di tortuose e fittizie ostentazioni. Ma di occhi senza pretese, con la sola voglia di essere riempiti. Perchè è quella la misura reale, di una oscillazione irreale, non permetterci mai di avere occhi pieni zeppi. E vi dirò, francamente, che spesso mi è capitato, e mi ha fatto persino rabbia, di restare delusa. Non parlo di sconvolgimenti emotivi esistenziali, o di tormenti o di lacrime versate o di devastanti episodi. No, parlo del semplice fluire della vita. Del rispetto e del pensiero. Di una pila di mattoncini. Perchè forse gli occhi sono solo un tramite. E il ricordo è solo un segno. Forse il corpo ne conosce altri. Io mi sono abituata a non dedicare pensieri a quella delusione. Ma di innalzarla al cielo come una lanterna nel buio. Perchè il pericolo nella vita è in alto, non in basso.
Poi con il tempo ho capito che la memoria è la casa,
è l'immagine più vivida della nostra perfezione.
ancora nel blue hole…e poi Napoli tra le vene...
La mia verità- dici spesso – sembra il riflesso deforme nello specchio. Nei miei occhi l’urlo di foglie sconosciute, la loro eco spenta che si ribalta e mi genuflette. Ho un taglio che diventa deriva.
Scavami,
sino a raccogliere ogni brivido,
come se fossi un campo dimenticato.
Stanotte la luna sembra così vicina, come se fosse un oblò su un mondo segreto. Nel mio groviglio, a volte la paura si mescola, più fitta e densa, alla delusione, al timore di non sapere e non potere. E io non so più tremare. Nel profondo, respiro fragile, e non ricordo. Eppure vorrei. Niente resta incastrato a niente. Il vento ha una voce potente, ed una forza disperata, sembra una corda, ruvida, verso percorsi ignoti. Come se ci fossero vene capaci di essere fiumi.
In fondo al pozzo pulsano quelle vene.
Battono ancora?
La pelle è una mappa. I tuoi occhi come sigillo della mia indecenza, tutta quella di cui sono capace e che mi fagocita. Sono un nastro rosso che prende forma e si piega con il delirio. Hai smesso di scavarmi?
Una goccia, sulla schiena, segna il percorso. Sono inversamente innocente. Ed ho imparato ad ignorare. Con molto dolore. Ascolto solo i miei sensi. Una lama, incerta, ma vorace.
Sul mento.
Puoi baciami.
Ma salvami la bocca, ti prego.
Prima che sia dannata.
A volte penso a tutto quello che è scorso, ai segni, dentro e fuori di me.
Ed è vero, scorgo il delirio e lo afferro, ma solo per un attimo, come se il corpo, alla fine, fosse capace di vincere sulla mente e di scegliere, sapientemente, anche per il cuore. E rifugiarsi ancora in una tasca di vita.
A volte ti ho urlato che ti volevo, nonostante te, me, nonostante tutto. Ma non volevo te, adesso o sempre, o in mai possibile, volevo te in quelľistante esatto, morbido e mio, fragile e vero.
Forse si, lo ammetto, mangio troppa cioccolata.
E in un nanosecondo l'incanto fa splash....