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Mi descrivo
....
Su di me
Situazione sentimentale
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Lingue conosciute
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I miei pregi
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I miei difetti
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Amo & Odio
Tre cose che amo
il rumore dei silenzi
i baci sulla bocca
le parole pensanti
Tre cose che odio
il senso del vuoto
la solitudine dentro
le persone sciocche
I miei interessi
Vacanze Ok!
Vacanze Ko!
Passioni
Musica
Cucina
Libri
Sport
Film
Libro preferito
Meta dei sogni
Film preferito
C'è un solo viaggio possibile: quello che facciamo nel nostro mondo
interiore. Non credo che si possa viaggiare di più nel nostro
pianeta. Così come non credo che si viaggi per tornare.L'uomo non
può tornare mai allo stesso punto da cui è partito, perchè, nel
frattempo, lui stesso è cambiato. Da sè stessi non si può fuggire.
Tutto quello che siamo lo portiamo con noi nel viaggio. Portiamo
con noi la casa della nostra anima, come fa una tartaruga con la
sua corazza. In verità, il viaggio attraverso i paesi del mondo è
per l'uomo un viaggio simbolico.
Ovunque vada è la propria anima che sta cercando. Per questo
l'uomo deve poter viaggiare.
( Andrei Tarkovsky )
di Chiara Gamberale
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- Ciao amore
- Ciao
- Che cosa succede?
- La goccia nera.
Non era colpa sua, non era colpa sua, diceva. Forse io, per prima,
avrei potuto capire. Tutte le persone della sua vita alla fine
l’avevano abbandonato per questo male, che esattamente male non
era, male non faceva,non faceva niente, questo era il problema,
niente, niente, questo il problema, il niente. Le parole gli
s’impiastricciavano di moccio, mentre stringeva forte i polsi e mi
chiedeva scusa e aiuto, e ancora scusa, ancora aiuto. E io sentivo
forte quello che era il mio posto. E gli dicevo che non avevo
paura. Che non doveva avere paura nemmeno lui. Che per colpa di
qualcosa del genere anch’io avevo perso tutte le persone che amavo
e che ad abbandonarle fossi stata io era semplicemente un
dettaglio.
Comunque le avevo perse, comunque avevo perso. Ci ho messo un po’
per capire che quello che dicevo a Lorenzo quando lo trovavo in
quelle condizioni cadeva nello stesso pozzo senza fondo in cui
precipitava lui, dove non c’era possibilità di risonanza, di
comprensione, d’ascolto. A quel tempo ero ancora così arrogante e
presuntuosa da credere che esistessero parole talmente giuste da
raggiungerlo proprio dove si era perso. Da entrargli dentro, e
portarmi con loro. Da farlo alzare da quel divano, fargli fare una
doccia, farlo vestire, uscire. Fare una cosa qualsiasi. Per esempio
accorgersi che c’ero. Ma quelle parole non esistevano, non
esistono. Rimane la possibilità di qualche gesto. Come comprare del
detersivo e lavare tutte le stoviglie nel lavello. Aprire le
persiane. Farlo sentire importante. Pregarlo di leggermi una poesia
di Marian Moore. Farmi spiegare la differenza fra analogico e
digitale. Prenderglielo in bocca piano, dolcemente, e poi sempre un
po’ più forte, finché non gli venisse duro, finché non venisse.
Allora si sentisse un po’ meglio, come si sta uqnaod si vomita o si
va la bagno dopo un’indigestione. Il sesso in certi casi, anche
quando si fa, non c’entra niente