Una cucciola in famiglia, in realtà, già c’era (tempo fa realizzai, anche, un post sulla piccola), è rimasta a casa di mia madre, era arrivata quando io vivono ancora con i miei genitori, era logico che rimasse a far loro compagnia. Oggi è abbastanza grandicella e allieta, come detto, mia madre e i miei nipoti.
Frida è un’idea della mia compagna, da tempo pensavamo di adottare un cucciolo.
Né io, né lei siamo favorevoli all'acquisti di cani, rispetto per gli allevatori e chi vuole un cane di razza pura, ma non crediamo sia giusto. Pensavamo di adottarne una da un rifugio, i più desiderosi e bisognosi d’una casa.
La mia compagna è arrivata anche a cercare nelle piazzole di sosta, non si sa mai, a volte ci sono cuccioli che girovagano spaesati.
Frida è stata trovata nell’officina di un gommista, il gommista dove si serve la comunità in cui lavora la mia compagna e dove da anni va anche lei.
Da quel che ho capito questo esercente ha una coppia e la femmina aveva appena dato allo luce cinque cuccioli, aveva collocato già quattro cucciolo, lei era l’ultima.
La mia compagna mi ha raccontato che mentre aspettava in officina ha sentito abbaiare, avvicinatosi ha trovato Frida all’interno di un recinto fatto di gomme. Il gommista era da un mese che cercava di collocare Frida, sperando in una casa degna, la mia compagna ha visto un segno in questo incontro e si è proposta per adottarla ed ecco che mi sono ritrovato questa cucciola in casa.
Da quel che ha detto il gommista Frida è un pitbull o dovrebbe esserlo.
Devo esser sincero, non ho detto subito sì, ciò pensato un pochino. I pitbull hanno una fama purtroppo non bellissima, non per colpa loro, sono cani estremamente intelligenti e sensibili, quel fisico atletico e possente li ha resi vittima di essere umani che non sono degni d’esser chiamati tali. Hanno bisogno di padroni esperti e sensibili, io sì, credo di esser sensibile, esperto non tanto.
La mia compagna si è innamorata a prima vista, lei non ha problemi, ha vissuto da piccola con cani, gatti, oche, galline, capre, quindi, non ha dubbi, e pensa che lei ed io siamo la scelta migliore per questa cucciola che potrebbe finire in mani meno sensibili e affettuose. Chissà forse ha ragione.
Sono passati cinque giorni da quando è arrivata a parte i soliti disastri, normali per un cucciolo, mordere tutto e non fare al primo colpo i bisogno nel luogo giusto, è tranquilla, intelligente e mostra di saper obbedire, ovviamente, ancora, non può esser uscita, quindi non può sfogarsi come vorrebbe, deve avere pazienza come noi.
“Non sono mai stata surrealista. Ho sempre dipinto la mia realtà, non i miei sogni”
Lo dichiarò Frida Khalo, in effetti non lo era, la sua arte nasce e cresce sulle fondamenta del folclore messicano, al limite di un primitivismo che a tratti era, quasi, naif.
Rappresentava fatti e luoghi della propria vita mescolando realtà e, a volte, fantasia, per questo motivo venne spesso definita una esponente del surrealismo. Ma non lo era, la sua pittura era una finestra che mostrava il suo mondo interiore, una dichiarazione che dava forme e colore al suo modo di vedere la vita: empatico, intimo ma necessariamente distillato dalla quotidiana realtà sociale, così lontana dal capire la sua sofferenza.
Un piccolo mio omaggio alla grande artista messicana, tra le mie artiste preferite, tanto da dare il suo nome alla nuova arrivata:
Ho usato questo oggetto tante volte per descrivere un pensiero o un concetto, si lascia veicolare e metaforizzare docilmente, quasi ti seduce. Che vuoi? È sempre stato un oggetto che attrae e affascinata, che incatena e tormenta.
Lo specchio.
Dietro un riflesso c'è, sempre, un mondo e infinite prospettive.
Negli autoritratti lo specchio è più che un riflesso, l'artista impara ad andare oltre la superficie e cercare nelle espressioni il cuore delle emozioni.
In questi ultimi post si è scritto di giudizio, spesso nel giudicare una cosa ci lasciamo trascinare più dall'opinione che non dalla vera sostanza della cosa stessa, lo diceva Seneca.
È quel che accade davanti allo specchio, ci lasciamo plasmare del tempo che sfiora la superficie, fissando i contorni, senza oltrepassare il velo che definisce e limita l'orizzonte.
Perché? Sono i perché che ci rendono, alla fine, quel che siamo.
Dividerò questo pensiero in due parti.
Una parte sarà una riflessione su un articolo letto poco fa.
La seconda parte cercherà di essere un momento di bellezza.
L’articolo letto analizzava l’attuale situazione sociale e descriveva la vita di molti nostri concittadini, vite che conosco bene. Vivendo in un territorio ad alto tasso di povertà rivedo, quotidianamente, quello che ho letto, lo rivedo attorno a me e vicino a me, molti miei parenti sono costretti a situazioni simili.
[…] Già alle sei del mattino in tanti cominciano ad affollare quel marciapiede. Attendono l’apertura dei cancelli della struttura di Pane Quotidiano, l’Onlus che assicura generi alimentari di prima necessità a chi ne ha bisogno. Ad accoglierli trovano i numerosi volontari con le loro felpe arancioni: sacchetto alla mano percorrono le postazioni e ricevono pasta, latte, frutta e tutti i prodotti che quel giorno sono disponibili per la distribuzione. In quel via vai di persone c’è di tutto: giovani, adulti, anziani, stranieri, italiani, senza fissa dimora, famiglie, disoccupati, lavoratori e pensionati. Ci sono tutti i volti della povertà, da quella assoluta dei senzatetto a chi una casa ce l’ha e magari anche un’entrata economica ma non riesce più ad arrivare alla fine del mese. In quella coda c’è la vecchia e la nuova povertà. Entrare in un supermercato per alcuni di loro è impossibile, per altri sempre più difficile, quasi un lusso. Pochi giorni fa l‘Istat ha parlato ottimisticamente di “fase di rapido rallentamento” dell’inflazione. Ma il potere di acquisto dei consumatori precipita sempre più velocemente: il rincaro del cosiddetto “carrello della spesa“ (cioè i beni alimentari, per la cura della casa e della persona) è stato addirittura del 13% contro il 12% di gennaio. A chi è in coda in viale Toscana non serve però aver letto quel report per comprendere la complessità dell’attuale contesto economico. […] “Prima venivo meno, adesso vengo qui quasi tutti i giorni perché i prezzi sono aumentati e le bollette sono esorbitanti”, racconta Federica. “Fare la spesa è diventata ormai una cosa problematica e non si può vivere con 603 euro”, spiega. Ha 76 anni, è una ex commerciante e poi, chiusa l’attività, è stata anche dipendente ma “mi facevano contratti Co.co.co, a chiamata o a progetto”. “Sono fortunata rispetto a tanti altri – racconta – perché quando lavoravo sono riuscita ad acquistare una casa. Oggi però – aggiunge – per lo Stato avere un’abitazione di proprietà è una rendita, un sorta di lusso, senza però considerare quanto ti costa”. Così, nel corso degli anni, “quei pochi risparmi messi da parte” sono stati “fatti fuori” così come qualche orecchino e anello che possedeva: “Non si può andare avanti così”, conclude con un malinconico sorriso. […] Filippo ha 72 anni, tre bypass e diverse patologie. La sua pensione ammonta a circa 800 euro al mese dopo una vita di lavoro come cameriere. “Noi pensionati siamo molto in difficoltà – afferma – perché prima dobbiamo pagare le bollette, altrimenti tagliano la luce, poi le medicine e in mano rimane pochissimo. Non arrivo a fine mese, dovrei fare un’operazione all’anca ma la posticipo perché dovrei pagare le radiografie e gli esami”. “Oggi entrare al supermercato significa spendere almeno 50 euro. Non me lo posso permettere – spiega – e venire qui per me è fondamentale, così almeno riesco a mangiare tutti i giorni”. […] “È aumentato negli ultimi tempi il numero di pensionati, ma arrivano da noi anche coppie di giovani, una categoria che prima era difficile vedere”, racconta Claudio Falavigna, coordinatore dei volontari di Pane Quotidiano. “La percezione che abbiamo è che questo trend sia in costante aumento e ci preoccupa molto”, sottolinea. “C’è tanta gente che fino a due, tre anni fa riusciva con il proprio reddito a vivere senza particolari problemi, a mangiare e andare al supermercato, ma adesso non ce la fa più”. E sullo sfondo si prospetta anche un altro fattore che rischia di aumentare le code in strutture come quelle di Pane Quotidiano. “Uno tsunami in arrivo”, lo definisce Claudio Falavigna. “Se a giugno davvero a una certa percentuale di persone verrà tolto il reddito di cittadinanza sarà un dramma sociale”, sottolinea. “Non voglio pensare a cosa possa succedere soprattutto in regioni dove c’è più povertà e dove mancano strutture come la nostra”, aggiunge. “Noi speriamo e auspichiamo che vengano trovate per tempo delle soluzioni, altrimenti – conclude – siamo al dramma”. Fonte
Albert Einstein diceva che il mondo è un posto pericoloso, non a causa di quelli che compiono azioni malvagie ma per quelli che osservano senza fare nulla.
Ammetto che io non faccio tanto per essere utile alla società, a parte, forse, creare arte.
L’indifferenza è stata una mia difesa contro le violenze subite, fin d’adolescenza e non sono riuscito a 48 anni, lo ammetto, a uscire da quella emarginazione in cui sono stato scaraventato. L’esser gentili, persino generosi, tendere una mano a chiunque chieda aiuto non è la stessa cosa che, volontariamente, rendersi utili.
Mi è capitato di aiutare conosciuti e sconosciuti, avvertire l’esigenza e aiutare. Non mi sono mai tiravo indietro, sia con le parole che con le azioni, solo economicamente non ho potuto mai fare niente (ho sempre avuto poco.) questo, però, non è esser utili alla società, fare la differenza e ne prendo atto.
Mi ricordo un episodio. Una volta durante il terzo anni di accademia, corso di mass media (ancora lo ricordo), un tizio entra in classe, un ragazzo non più di 30 anni, armato di coltello e intima al professore di cambiare un voto di una allieva. Non c’ho pensato due volte, mi sono messo davanti alle colleghe (un pò incosciente lo sono sempre stato), per fortuna dopo un pò arrivò la polizia e tutto si risolse senza violenze.
Leggendo l’articolo non si può non restare indifferenti, nel bene o nel male qualcosa viene smosso dentro di noi. Mi vengono in mente le parole lette in un blog amico, leggendo queste storie da un certo punto di vista, si potrebbe accentuare una visione cupa della realtà e piano, piano spegnere i valori etici e morali che ci accompagnano, rassegnandosi alla vita che si vive. Una visione nichilista che ha un pregio, ha sempre avuto un pregio, evitare il caos spirituale, quel caos che porta alla sottomissione totale all’altare dei valori assoluti, perché la rassegnazione in molti casi ha un naturale sbocco nella rivoluzione, nel risorgimento dei valori relativi.
So che quello che cerco di esprimere è un concetto strano e forse decifrabile solo nella mia mente, ma il punto è, che nel bene o nel male gli estremi sono sempre un’occasione di cambiamento.
Nessuna superficie resiste alle pressioni in eterno, primo o poi la rottura è, inevitabile.
Quel che vedo attorno a me è una pressione sociale elevata e una pressione globale pericolosamente elevata, una rivoluzione è inevitabile, spero solo sia industriale e non sociale. La scienza a volte è riuscita ad evitare qualche catastrofe annunciata.
Come scritto la seconda parte sarà un momento di bellezza, l’unico modo che ho per creare bellezza è attraverso l’arte o la poesia.
Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è routine, una lenta agonia… L’unica crisi minacciosa è la tragedia di non voler lottare per superarla.
A volte mi sento come un orologio rotto,
un orologio rotto in mezzo a migliaia di orologi integri.
Nonostante sia riuscito a ripararmi,
quei pochi secondi di ritardo,
mi rendono agli occhi di chi puntualmente ticchettia,
comunque e sempre un orologio rotto.
È tutto nella tua testa! Così esclama chi mi ama.
La solita teoria della diversità.
Sento spesso la frase: È molto facile accettare chi è uguale a noi, meno chi è diverso.
E altrettanto spesso: Se non ti senti accettato non è colpa del mondo, ma tua che non ti accetti.
Io sto bene con me stesso, ma non tanto bene, con il resto del mondo.
Com’è che la risposta a questa affermazione è, sempre, che non sto bene con me stesso?
Come ho scritto nel precedente pensiero amo le storie.
Un giorno un Maestro accolse tre candidati che volevano diventare suoi discepoli. Al primo incontro il Maestro iniziò a comportarsi in modo eccentrico a tavola, facendo discorsi assurdi e avendo atteggiamenti strani. Disse anche talune parolacce e mangiò il suo cibo con le mani, asciugandosi la bocca al polsino della camicia. Uno di questi tre discepoli se ne andò, scandalizzato di questo atteggiamento. Il secondo fa avvisato dai discepoli anziani (istruiti così dal Maestro) che questi era un truffatore, che si stavano organizzando per fargliela pagare e che lui doveva stare ben attento a fidarsi di un uomo così. Anche il secondo uscì dal gruppo. Al terzo il Maestro proibì categoricamente di prendere la parola ogni volta che la chiedeva e di porre qualsiasi tipo di domande. Anche il terzo se ne andò, sdegnato ed offeso. Quando il Maestro fu solo con i suoi allievi disse: “Il comportamento di coloro che se ne sono andati illustra tre validi concetti. Il primo “non giudicare a prima vista”. Il secondo “non giudicare cose di grande importanza da ciò che dicono gli altri”. Il terzo “non fare della tua percezione di stima ed apprezzamento altrui il metro per il tuo giudizio su di loro.”
Come disse Confucio: “Ogni cosa ha la sua bellezza, ma non tutti la vedono.”
Mi sono sempre piaciuti i racconti e le storie, per questo, forse, scrivo.
Anche nella pittura o nella scultura, si raccontano storie, è un modo per entrare in mondi sconosciuti. Le storie sono viaggi.
Louis Braille
Insegnante, Francia, 1809 – 1852
Da piccolissimo passava ore a osservare il papà che dava forma al cuoio. Ascoltava i rumori, seguiva l’ago robusto e il filo che legavano insieme stoffa, pelle conciata e paglia. Il risultato era ogni volta straordinario. E che gioia quando si andava a consegnare la sella finita al contadino o al mugnaio: spesso il padre portava con sé il piccolo Louis che salutava tutti curioso e fiero. Qualcosa, o tutto, cambiò molto presto. Aveva tre anni Louis quando, giocando con un arnese sottratto dal banco di lavoro paterno, si infortunò all’occhio sinistro. L’infezione che ne scaturì gli portò via dapprima l’occhio e, nel giro di qualche tempo, la perdita della vista fu totale. A dieci anni Louis entra all’Istituto per l’educazione dei giovani ciechi di Parigi. Ai ragazzi si insegna a leggere attraverso le dita con caratteri stampati messi in rilievo grazie a un filo di rame, ma la scrittura è preclusa; imparano lavori manuali, come impagliare sedie, e la domenica fanno una passeggiata, legati l’uno all’altro con una corda. Louis studia con impegno e a vent’anni è insegnante in quello stesso istituto. Proprio con gli studenti affina la grande invenzione della sua adolescenza: appena quindicenne, infatti, aveva ideato il codice alfabetico di scrittura e lettura tattile, formato dalla combinazione di sei punti in rilievo. Erano realizzati con un punteruolo e disposti, attraverso una
griglia, su due colonne. Si scrive da destra a sinistra e si legge, voltando
pagina, da sinistra a destra. A ispirarlo era stato Charles Barbier de la Serre, ufficiale d’artiglieria, inventore della “scrittura notturna”, un sistema adatto a trasmettere informazioni ai soldati in assenza di luce. Louis Braille è stato per i ciechi ciò che Gutenberg, l’inventore della stampa, è stato per l’umanità: ma morì senza saperlo.
Da: Vite straordinarie. Storie di donne e uomini che hanno fatto la differenza.
Oggi la vita ci morde l’anima e ci toglie fiducia e speranza a volte la vita stessa, lasciandoci sfiduciati e impauriti, senza più il desiderio di lottare per il futuro, si vive è basta aspettando l’inevitabile. Ho rischiato di perder la luce della vita quando ci vedevo bene e tutto era chiaro, così chiaro che tutto era diventato uguale, senza significato, oggi, che rischio di vivere nel buio, vedo le differenze e il valore dell’insignificante.
Bellezza, resistenza, tenacia e coraggio, queste le virtù di una piccola e candita pianta. Una piccola specie vegetale abituata a sopportare sbalzi termici e condizioni ambientali ostili, oltre ogni immaginazione. È lei, la stella alpina.
La conosciamo anche con il nome di edelweiss o zampa di leone.
Simbolo di resilienza.
Sulle Alpi si racconta che, tanto tempo fa, una montagna tanto triste piangeva lacrime di solitudine soffrendo talmente tanto che nessun fiore intorno a lei riusciva a consolarla. Fu così che, durante una notte, le stelle giocando tra loro si accorsero di questa montagna. Una stella allora scese giù dal cielo per posarsi tra le rocce gelide e consolare la triste montagna. Era freddo, la stella tremava ma la montagna triste non rimase indifferente di fronte a questo gesto e così l'avvolse in un manto bianco donandole radici profonde per legarla per sempre a sé. All'alba nacque la prima stella alpina.
Avevo bisogno di cambiare prospettiva e mondo, e perché no, identificarmi con qualcosa di meno problematico e distruttivo dell’essere umano.
Non sono un poeta, ma sentirmi come un poeta, a volte mi da fiducia nelle alternanze (per un’amica).
Piccola stella alpina, sei coraggiosa e non temi di crescere, lì, dove nulla riposa. Sembri fragile vestina di bianco, ma resisti al vento e al tocco gelido del più austero inverno. E non ti spaventa, neanche, la solitudine di una cima rocciosa, sai che dall’alta vetta di una montagna, timida vedi le stelle, di mille notti, compagne fedeli e sincere. Piccola stella alpina, insegnaci, ad esser puri e forti, in questo mondo a volte ostile e freddo, come il più rigido inverno.
I pensieri che dedico a fatti esterni alla mia quotidianità, come avete avuto modo di osservare (per chi mi legge), sono sporadici, a volte, però, non si può restare indifferenti e nel nostro piccolo un’opinione ce la creiamo, opinione pronta all’occorrenza per essere condivisa.
Una notizia di questi giorni mi ha, particolarmente, colpito.
Due tredicenni (di buona famiglia) che aggrediscono con una forbice una coetanea, a colpirmi l’età e le modalità d’aggressione, degne di un piccolo romanzo criminale, per l’età che hanno per lo meno.
Da poco in tv viene trasmessa una serie, alquanto bella, realistica, crudelmente realistica e di base profondamente decadente. Mare fuori.
Ho visto le puntate e la realtà descritta è, imbarazzante.
Non capisco come possa un giovanissimo o una giovanissima acquisire queste caratteristiche criminali?
O meglio, so come può accadere, ma l’idea mi terrorizza e mi lascia incredulo, perché è una sola la spiegazione possibile, la totale assenza di adulti a indicare un esempio positivo. È possibile?
È possibile, che un bambino, nato nella nostra società, non in medio oriente o in Africa, ma nel nostro paese, possa arrivare all’adolescenza con in testa l’idea che accoltellare è normale come mangiare un kebab?
In un post precedente, ho brutalmente descritto, come crescono certi bambini e cosa subiscono, quindi, è possibile.
Ciò che mi chiedo è: Dov‘è la famiglia? Dov’è la scuola? Dove sono le istituzioni?
Ma che cazzo me lo domando a fare?
Stavo per cancellare quello che avete appena scritto, perché riconosco di essere ripetitivo, ma non è mai stata contemplata la censura nel mio mondo.
Che dite forse è meglio ascoltare un pò di musica cosi i pensieri si calmano e l’anima si quieta.
Intervista rilasciata da Roberto Vecchioni al sole 24 ore: «Gli insegnanti italiani sono i più bravi del mondo. Certo, se venissero a mancare i genitori a scuola ci sarebbe meno sfacelo, secondo me», lo ha detto tra l'ilarità generale Roberto Vecchioni, parlando alla platea dei delegati intervenuti al secondo congresso della Uil scuola, in corso in questi giorni a Roma. «Bisogna credere - ha detto in un altro passaggio il cantautore - non si può vivere assolutamente atei, bisogna credere nella forza della propria umanità. Pasternak diceva: “questo mondo non è l'anticamera di una sala (che è il Paradiso), questo mondo è già un salone pieno di luci”. Già qui siamo nell'eternità, già qui dobbiamo fare il possibile per sentirci nobili, umani; poi se c'è Dio o non c'è, poco importa; abbiamo il dovere di essere uomini che fanno gesti grandi, belli, qui ed ora, in questo mondo. I valori - ha proseguito - sembrano una parola retorica, antica, invece sono qualcosa di interminabile, che non finisce mai: sono il bello, il vero e il bene, a quello dobbiamo tendere. La sensibilità al bello purtroppo è spesso deturpata, oggi, da qualcosa di facile. E la vita spesso non permette di avere giovani all'altezza del lavoro che vorrebbero avere: serve la cultura. Quando si insegna per 5 anni la grammatica e la letteratura greca, si insegna che ogni cosa ha sterminate espressioni. Quando escono dalla bellissima cerimonia che è al scuola, i ragazzi hanno una corazza solida e sanno come rispondere e trovare le differenze: la vita è fatta di una infinità di sfumature. La cultura è causa-effetto, sensibilità verso l'altro, inglobare un mondo in un pensiero, saperlo concepire, è pazienza, capire gli altri anche quando sbagliano o potrebbero dire altro. La cultura ci viene dalla scuola, non da altro».
Che dire? Nella quotidianità, nella nostra intimità, la realtà è quella che è, forse, più male che bene, ma in mondi come questo, in mondi dove si può essere liberi di scrivere, di dipingere, di creare musica, possiamo essere migliori del mondo che ci ospita.