Sono un paio di giorni che non scrivo nulla, il che non è necessariamente un male o un problema. Per chi, però, è abituato come me a scrivere qualcosa ogni giorno, questa inattività viene percepita come una mancanza d’ispirazione, ovviamente, so che non è così.
Anche oggi stavo per non scrivere nulla, poi però, mi sono deciso a condividere questo pensiero.
In verità nonostante, in questi giorni, non ho scritto, non sono stato lontano dalla comunità, sono comunque entrato. Ho risposto ai commenti e passato il tempo a girare tra i profili, senza alcuna particolare necessità, così, solo per il piacere e la curiosità di vedere cosa scrivevano gli altri.
A volte mi sono divertito, altre sono rimasto perplesso, altre ancora... diciamo che mi hanno portanto a domandarmi: "non capisco perché certi utenti insistono ancora a rimanere qui?". Comunque nulla di nuovo o di che, la solita comunità.
L’umore tanto per cambiare non è bellissimo, quindi, continuando con il mio racconto, potrei diventare pesante nei toni e nelle emozioni, chi vuol fermarsi è libero di farlo.
Voglio recensire un film che mi sono visto ieri insieme alla mia compagna, non una visione casuale, ma un film scelto e proposto di proposito alla mia dolce metà. Film che avevo già visto ed ho rivisto con piacere. Film ispirato come spesso accade da un libro.
Il film s’intitola: Lion - La strada verso casa.
Il libro s’intitola: La lunga strada per tornare a casa di Saroo Brierley.
Il libro e di conseguenza il film, sono la trasposizione scritta e cinematografica della vita di Saroo Brierley. Una vita assurda e tristemente reale per il contesto descritto. Una storia commovente, straziante, che subito indigna i cuori di chi l’ascolta, indignazione che ha lo stesso valore, però, della società che porta Saroo a vivere la sua triste esperienza, un'indignazione falsa e crudele come è, l’essere umano oggi.
In copertina si legge:
Per sapere chi sei,
devi sapere
da dove vieni
Trama (per chi non l’avesse ancora visto suggerisco di saltare questo passaggio e andare quando prima a vedere il film o meglio ancora leggere il libro.):
Tutto inizia con una fatalità, un errore inconsapevole che porta il piccolo Saroo a ritrovarsi solo in un mondo ostile. Saroo ha presumibilmente cinque anni, o almeno è questa l’età che le autorità pensano abbia quando viene trovato a vagare da solo per le strade di Calcutta. L’errore commesso da Saroo è stato salire su un treno e addormentarsi. Le porte si chiudono e senza la possibilità di uscire e tornare dalla famiglia, inizia un viaggio interminabile, e lo è davvero interminabile.
Una volta sceso, Saroo è solo e comincia a vagare, fra l’indifferenza di chi gli sta attorno. L’imperativo, in questo momento, è uno soltanto: sopravvivere. Come lui, tanti altri bambini e ragazzini dimenticati girano indisturbati per le vie di Calcutta, lasciati all’oscurità di una megalopoli pericolosa e perversa.
Nonostante abbia una famiglia da qualche parte, Saroo, non riesce ad indirizzare le autorità, è piccolo e non ricorda né il nome del suo villaggio né altro. Neanche i tentativi di scrivere al giornale locale per inserire la sua foto fra quelle dei bambini scomparsi sortiscono effetti positivi e così un giorno, Saroo si ritrova in orfanotrofio.
Nel 1987, Saroo parte per l’Australia, una famiglia lo adotta, per lui inizia una nuova vita. Ma il cuore inquieto di chi sa di avere gli affetti lontani lo spinge a disegnare mappe del suo villaggio e, da grande con l’ausilio di Google Earth, a scandagliare tutte le città dell’India alla ricerca di qualcosa di familiare che possa ricondurlo a casa.
Un’impresa titanica, come cercare un ago in un pagliaio, ma alla fine, quasi incredibilmente, Saroo riesce a trovare degli elementi a lui familiari: la cisterna vicina alla stazione dei treni, il ponte, la diga, la sua vecchia casa.
Non gli resta che partire e andare di persona in India.
La determinazione di Saroo lo porterà in un viaggio a ritroso nel tempo, fino a trovare davvero la sua famiglia e a riabbracciare la madre. Un finale commovente che dona una lieto fine al racconto di Saroo.
Fine trama
Il libro e poi il film puntano indirettamente i riflettori su un tema scottante in India ed è, quello dei bambini dimenticati. Saroo rischia molte volte di finire nelle mani di persone sbagliate, essere umani, come me e voi, pronti a trasformare l’innocenza in un mostruoso inferno.
In rete ci sono tanti siti, ufficiali e non, che raccontano queste realtà, realtà non solo indiane.
Voglio condividere un articolo preso da uno di questi siti. Un articolo della Dott. A. Fucci.
“In un mondo progredito come il nostro, esistono ancora troppe ingiustizie. Forse il progresso lo abbiamo avuto nel campo della medicina, della scienza, ma a livello sociale, o meglio umanitario siamo davvero progrediti?
Il mio articolo si base sull’ennesima tragedia che colpisce i bambini, sempre loro, i soggetti più deboli e fragili che dovrebbero essere al primo posto nelle nostre società e che, invece, ancora troppo, vengono ignorati e… abbandonati.
Poco si parla di un fenomeno molto grave soprattutto in India. Perché l’India non è solo il Paese affascinante per i turisti: tripudio di colori e di spiritualità ma anche è una Repubblica con un tasso demografico altissimo e uno stato di miseria che aumenta vertiginosamente.
La capitale dell’India è piena di ragazzini che ciondolano in giro, hanno lo sguardo smarrito e perso nel nulla, dalla mattina fino a tarda notte. Nessuno li osserva, nessuno se ne cura e si confondono nella folla brulicante di Nuova Delhi. Ragazzini costretti a sniffare la colla, non per sballarsi ma per sopravvivere al freddo e alla fame.
Sono i bambini invisibili, vivono divisi in gang, nelle stazioni della città e sono un numero spaventoso. L’Unicef parla di oltre 10 milioni di “street children”, così come definiti dalle Nazioni Unite. In metropoli come Bombay, Calcutta, Bangalore, Madras e Hyderabad, si stima che i soli bambini delle stazioni siano 300mila. Delhi da sola ne conta oltre 50mila.
Statistiche che non sono certe e neanche prevedibili in quanto moltissimi di loro non sono registrati e sono per lo più girovaghi. Le stime ci servono solo per far capire la vastità del problema, problema ignorato dall’India e dal mondo intero.
Tanti bambini sono orfani, altri sono stati abbandonati, ma la maggior parte di loro scappa da casa, lasciandosi alle spalle storie di violenze, abuso o povertà estrema. Saltano sul primo treno, si nascondono nei bagni, diretti verso una grande città, carichi di speranze e illusioni. Il più delle volte finiscono a vivere in strada, una vita di solitudine e dipendenza ai margini della società. A questa tragedia se ne aggiungono altre.
Questi bambini, spogliati di ogni diritto e privati della loro fanciullezza, diventano preda di poliziotti corrotti o adulti senza scrupoli. Costretti non solo a subire soprusi, ma anche a lavorare per sopravvivere. Tanti fanno i “rag pickers”: rovistano nella spazzatura e raccolgono in giro plastica, cartone e alluminio da riciclare e rivendere a peso. Molti muoiono prima di raggiungere i vent’anni.
Altri ancora sono dipendenti da colla e solventi a base di toluene, una sostanza volatile tossica i cui effetti sono simili a una droga. Un tubetto di colla costa poche decine di rupie e li aiuta a superare il freddo e la fame, ovattandoli dalla realtà in cui vivono. Ne inalano i fumi da una pezzetta intrisa di solvente che portano alla bocca, stretta nel pugno, a intervalli regolari. Le loro giornate ruotano intorno all’uso di colla e agli orari dei film di Bollywood. Bollywood, centro di produzione dei film americani e cinema popolare indiano, è l’unico svago di questi bambini.
Oltre al cinema, alla miseria, al lavoro, alle brutture della vita, oltre al tunnel della colla, giornalisti che hanno intervistato i ragazzini ci parlano di una vita per loro normale, semplice fatta di litigi, amicizia, sogni, paure e una libertà difficile da capire. Vivono insieme, divisi in piccole gang che gravitano attorno alle principali stazioni ferroviarie, dormendo nello spazio che separa le pensiline dei binari dal sovrapassaggio, o nei vicoletti cupi e polverosi della capitale che di notte diventano spettrali. Non dormono mai da soli: la gang diventa la loro famiglia, il loro unico riferimento, una piccola comunità con regole e gerarchie ben definite.
Esistono diverse Ong locali e internazionali che si occupano con successo del recupero dei bambini dipendenti dalla colla. Ma la vastità del problema non fa del loro lavoro che una goccia nel mare. Il loro target, infatti, sono i bambini più piccoli, quelli che sono in giro al massimo da un paio d’anni. Quelli che la dipendenza e la vita di strada non hanno reso irrecuperabili, ma speriamo in un reinserimento e riscatto per ogni singolo innocente.”
Fonte: F4crnetwork
La realtà descritta non deve far pensare che quello che avete appena letto, sia distante dalla nostra società. Le modalità, i contesti sono diversi, ma quel che sentono e subiscono i bambini, solo gli stessi tormenti e dolori che sentono e subiscono i nostri bambini.
Orrori che nessuno vuole vedere e accettare.
Bambini istruiti da famiglie mafiose o camorristiche che ereditato in sorte un infausto e terribile destino.
A 7 anni imparano a sparare. A 16 a controllare le piazze di spaccio. A 20 muoiono nelle faide tra clan.
Storie vere, storie che nascono, crescono e muoiono all’ombra della nostra vita. A pochi passi dai nostri quartieri, dalle nostre case. Storie che si ripetono anno, dopo anno.
A Mariano Comense, profondo nord, un bambino dice al padre che vorrebbe collaborare con il cugino perché gli altri «lo temevano». Il cugino poco più che ventenne, nato anche lui nel cuore della Lombardia e nipote di un anziano e storico boss della ‘ndrangheta.
A Napoli ci sono bambini usati come pusher. Droghe nascoste negli ovetti kinder, piccoli che diventano inconsapevoli corrieri di nemmeno dieci anni che sacrificano un pezzo di vita ai clan della camorra.
A Reggio Calabria c’è chi a 7 anni maneggia la rivoltella come si faceva una volta con il Game Boy. S’ha da imparare a sparare, e occorre sapere cosa è e come si sopravvive nel mondo del crimine, perché, dice un altro padre al figlioletto nel tragitto tra casa e scuola, «nessuno rispetta la legge, i mafiosi sono contro la legge perché hanno una forza proprio per farsi giustizia da soli».
Nelle strade di Napoli si uccide. E tanto. Ogni anno decine e decine di morti. Una mattanza che, se ancora ve ne fosse bisogno, fa capire che le mafie sono il nostro Isis. A Napoli, scrive la Direzione Investigativa Antimafia nella sua ultima relazione semestrale, operano “oltre 110 clan”, e le nuove leve del crimine ne fanno sempre più parte, con gradi sempre più alti fin dalla più giovane età. “Baby Boss”, li ha ribattezzati la cronaca, che non si fanno problemi a intimidire e soprattutto a sparare.
Fonti: Corriere.it
Roberto Saviano li ha descritti con cura e dovizia di particolari, raccontando a suo rischio e pericolo la realtà nascosta di un Italia violenza e senza scrupoli.
Bambini e ragazzi privati dell’innocenza, privati di una vita serena, una vita capace di sognare.
Per chi mi segue sà che sono suscettibile a questi temi, primo perché soffro la mia non paternità, poi, perché sono stato un bambino abusato, cresciuto in un'ambiente povero e omertoso.
E mi vergogno di quello che siamo, non di quello che siamo stati, ma di quello che siamo ora.
In un blog amico, un’amica ha paragonato gli innamorati ad angeli che vivono dell’amore di DIO.
L’essere umano è tutto tranne che un angelo.
Mi viene in mette una frase detta da Dostoevskij: “La gente spesso parla di crudeltà “bestiale” dell’uomo, ma questo è terribilmente ingiusto e offensivo per le bestie: un animale non potrebbe mai essere crudele quanto un uomo, crudele in maniera così artistica e creativa.”
Per sapere chi sei,
devi sapere
da dove vieni
Da dove veniamo?
Dal Classicismo di Omero, di Ippocrate, di Fidia, di Socrate, di Platone, di Archimede?
Dalle menti illuminate di Dante, Petrarca e Boccaccio?
Dal Rinascimento creativo di Leonardo, Michelangelo e Raffaello?
Dal Romanticismo di Leopardi, di Foscolo e di Verdi?
O
veniamo, invece, dall’insensata e sinistra eredita lasciata da: Stalin, Mao, Hitler, Mussolini?
Violenze sessuali su due bambine: arrestato "orco" 60enne.
Notizia di oggi.
Io vorrei scrivere d’amore, raccontare di quanta passione il mio cuore mette nel donare tempo, attenzioni ed emozioni alla mia compagna, tutto per dimostrarle, semplicemente, quanto amore ho per lei.
Ma mi viene difficile a volte esternare bellezza e poesia. Quella poesia romantica che disseta e rasserena.
Non si può, sempre, bere da un calice di felicità, a volte bisogna riempirlo di sangue e dolore, e declinare versi che indignano e come un pugno colpiscono allo stomaco.
Ma va fatto nella realtà, nella quotidianità, nel cuore di quell’indifferenza che è, cieca a volte consapevolmente.
Ad un bambino basta tendergli la mano,
il suo cuore di fiducia è inondato.
Ad un bambino basta una carezza,
per sentirsi a casa,
per fidarsi di quell’abbraccio che,
lui non sà,
ha nascosta una terribile realtà.
Ad un bambino non serve permesso,
lui ti invita ad entrare nel suo mondo,
con un semplice gesto,
usa lo sguardo,
con esso ti dona tutto se stesso.
E tu adulto che fai?
Il suo corpo penetri e la sua carne laceri.
Gli insegni il dolore e la paura gli fai provare.
Rendi i suoi giochi spaventosi e
i suoi ricordi ombre indefinite
di un mondo confuso e non più felice.
I suoi occhi spegni e da innocente
lo condanni.