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natodallatempesta0 più di un mese fa

 

Stamattina sono uscito per alcune commissioni, sbrigate in più o meno un’ora, niente auto, una bella e sana camminata. Al rientro mi sono fermato sulla battigia, come ho già scritto altre volte, il mare è a due passi da casa mia.
 

Mi sono seduto e per quindici minuti ho osservato il mare.

Nei primi minuti non ho pensato a nulla, poi, ho iniziato a vagare con i pensieri.
Sembrano pochi quindici minuti e invece riescono ad accogliere tanti pensieri.
Ovviamente le priorità non sono state così nobili come quando scrivo in questo spazio. Niente poesia, niente amore, niente indignazione per la violenza, semplicemente le bollette e il lavoro, il lavoro da creare, inventare.
Mi hanno, sempre, accusato di avere la testa fra le nuvole, credo sia normale, per chi tende ad avere spiccate doti creative.
Ancora ricordo il suggerimento scritto sull’attestato di licenzia media: “si suggerisce il liceo artistico o l’istituto d’arte”.
Era scritto.

 

Seduto sulla battigia i pensieri sono volati, ora che scrivo e descrivo quelle sensazioni non più davanti al mare, ma dietro un pc, le idee si intrecciano e altri pensieri si aggiungono.

 

Ieri ho passato l’intero pomeriggio ad ascoltare Chopin, tre ore d’isolamento, io, il piano di Rubinstein e tanta emozione, era da tempo che non mi capitava.

Al momento mi sento vuoto, che non è, necessariamente, un male, potrebbe essere un altro modo per dire libero. Non so da cosa, ma va bene, è una sensazione che conosco e vivo spesso.
 

A riempire di nuovo mente e cuore, ci penseranno, la mia arte, la mia dolce metà e, sì, anche le tante preoccupazione e tensioni quotidiane. Va bene così.

 

 

La meravigliosa opera che ho condivisa sopra è, La Polacca in La bemolle maggiore (Op 53) detta Eroica, scritta da Chopin nel 1842 durante un momento di grave malinconia, causato dalla morte di un amico caro. Si racconta che mentre componeva, preso dall'esaltazione, Chopin vedesse apparire nella sua stanza un corteo di nobili, principi ed eroi.

 

Morrison disse che: “Un giorno anche la guerra s'inchinerà al suono di una chitarra.”

 

Lo spero, spero un giorno la violenza s’inchini al suono di un piano forte,
al verso di una poesia, alla forma di un paesaggio,
unico testimone di un passato non più ripetuto.
Lo spero, spero un giorno l’indifferenza s’inchini al pianto di un bambino,
alle braccia alzate di un immigrato, al corpo sottomesso di donna,
al cuore smarrito di uno zingaro, alle ginocchia piegate di mendicante.
Lo spero, spero un giorno il mondo, tutto il mondo, s’inchini
all’amore.

 

Il mio Morrison - 1986

 

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natodallatempesta0 più di un mese fa

 

Sono un paio di giorni che non scrivo nulla, il che non è necessariamente un male o un problema. Per chi, però, è abituato come me a scrivere qualcosa ogni giorno, questa inattività viene percepita come una mancanza d’ispirazione, ovviamente, so che non è così.

 

Anche oggi stavo per non scrivere nulla, poi però, mi sono deciso a condividere questo pensiero.
In verità nonostante, in questi giorni, non ho scritto, non sono stato lontano dalla comunità, sono comunque entrato. Ho risposto ai commenti e passato il tempo a girare tra i profili, senza alcuna particolare necessità, così, solo per il piacere e la curiosità di vedere cosa scrivevano gli altri.

 

A volte mi sono divertito, altre sono rimasto perplesso, altre ancora... diciamo che mi hanno portanto a domandarmi: "non capisco perché certi utenti insistono ancora a rimanere qui?". Comunque nulla di nuovo o di che, la solita comunità.

 

L’umore tanto per cambiare non è bellissimo, quindi, continuando con il mio racconto, potrei diventare pesante nei toni e nelle emozioni, chi vuol fermarsi è libero di farlo.

 

Voglio recensire un film che mi sono visto ieri insieme alla mia compagna, non una visione casuale, ma un film scelto e proposto di proposito alla mia dolce metà. Film che avevo già visto ed ho rivisto con piacere. Film ispirato come spesso accade da un libro.

 

Il film s’intitola: Lion - La strada verso casa.
Il libro s’intitola: La lunga strada per tornare a casa di Saroo Brierley.

 

Il libro e di conseguenza il film, sono la trasposizione scritta e cinematografica della vita di Saroo Brierley. Una vita assurda e tristemente reale per il contesto descritto. Una storia commovente, straziante, che subito indigna i cuori di chi l’ascolta, indignazione che ha lo stesso valore, però, della società che porta Saroo a vivere la sua triste esperienza, un'indignazione falsa e crudele come è, l’essere umano oggi.

 

In copertina si legge:

 

Per sapere chi sei,
devi sapere
da dove vieni

 

Trama (per chi non l’avesse ancora visto suggerisco di saltare questo passaggio e andare quando prima a vedere il film o meglio ancora leggere il libro.):
Tutto inizia con una fatalità, un errore inconsapevole che porta il piccolo Saroo a ritrovarsi solo in un mondo ostile. Saroo ha presumibilmente cinque anni, o almeno è questa l’età che le autorità pensano abbia quando viene trovato a vagare da solo per le strade di Calcutta. L’errore commesso da Saroo è stato salire su un treno e addormentarsi. Le porte si chiudono e senza la possibilità di uscire e tornare dalla famiglia, inizia un viaggio interminabile, e lo è davvero interminabile.
Una volta sceso, Saroo è solo e comincia a vagare, fra l’indifferenza di chi gli sta attorno. L’imperativo, in questo momento, è uno soltanto: sopravvivere. Come lui, tanti altri bambini e ragazzini dimenticati girano indisturbati per le vie di Calcutta, lasciati all’oscurità di una megalopoli pericolosa e perversa.
Nonostante abbia una famiglia da qualche parte, Saroo, non riesce ad indirizzare le autorità, è piccolo e non ricorda né il nome del suo villaggio né altro. Neanche i tentativi di scrivere al giornale locale per inserire la sua foto fra quelle dei bambini scomparsi sortiscono effetti positivi e così un giorno, Saroo si ritrova in orfanotrofio.
Nel 1987, Saroo parte per l’Australia, una famiglia lo adotta, per lui inizia una nuova vita. Ma il cuore inquieto di chi sa di avere gli affetti lontani lo spinge a disegnare mappe del suo villaggio e, da grande con l’ausilio di Google Earth, a scandagliare tutte le città dell’India alla ricerca di qualcosa di familiare che possa ricondurlo a casa.
Un’impresa titanica, come cercare un ago in un pagliaio, ma alla fine, quasi incredibilmente, Saroo riesce a trovare degli elementi a lui familiari: la cisterna vicina alla stazione dei treni, il ponte, la diga, la sua vecchia casa.
Non gli resta che partire e andare di persona in India.
La determinazione di Saroo lo porterà in un viaggio a ritroso nel tempo, fino a trovare davvero la sua famiglia e a riabbracciare la madre. Un finale commovente che dona una lieto fine al racconto di Saroo.
Fine trama

 

Il libro e poi il film puntano indirettamente i riflettori su un tema scottante in India ed è, quello dei bambini dimenticati. Saroo rischia molte volte di finire nelle mani di persone sbagliate, essere umani, come me e voi, pronti a trasformare l’innocenza in un mostruoso inferno.
In rete ci sono tanti siti, ufficiali e non, che raccontano queste realtà, realtà non solo indiane.
Voglio condividere un articolo preso da uno di questi siti. Un articolo della Dott. A. Fucci.

 

“In un mondo progredito come il nostro, esistono ancora troppe ingiustizie. Forse il progresso lo abbiamo avuto nel campo della medicina, della scienza, ma a livello sociale, o meglio umanitario siamo davvero progrediti?
Il mio articolo si base sull’ennesima tragedia che colpisce i bambini, sempre loro, i soggetti più deboli e fragili che dovrebbero essere al primo posto nelle nostre società e che, invece, ancora troppo, vengono ignorati e… abbandonati.
Poco si parla di un fenomeno molto grave soprattutto in India. Perché l’India non è solo il Paese affascinante per i turisti: tripudio di colori e di spiritualità ma anche è una Repubblica con un tasso demografico altissimo e uno stato di miseria che aumenta vertiginosamente.
La capitale dell’India è piena di ragazzini che ciondolano in giro, hanno lo sguardo smarrito e perso nel nulla, dalla mattina fino a tarda notte. Nessuno li osserva, nessuno se ne cura e si confondono nella folla brulicante di Nuova Delhi. Ragazzini costretti a sniffare la colla, non per sballarsi ma per sopravvivere al freddo e alla fame.
Sono i bambini invisibili, vivono divisi in gang, nelle stazioni della città e sono un numero spaventoso. L’Unicef parla di oltre 10 milioni di “street children”, così come definiti dalle Nazioni Unite. In metropoli come Bombay, Calcutta, Bangalore, Madras e Hyderabad, si stima che i soli bambini delle stazioni siano 300mila. Delhi da sola ne conta oltre 50mila.
Statistiche che non sono certe e neanche prevedibili in quanto moltissimi di loro non sono registrati e sono per lo più girovaghi. Le stime ci servono solo per far capire la vastità del problema, problema ignorato dall’India e dal mondo intero.
Tanti bambini sono orfani, altri sono stati abbandonati, ma la maggior parte di loro scappa da casa, lasciandosi alle spalle storie di violenze, abuso o povertà estrema. Saltano sul primo treno, si nascondono nei bagni, diretti verso una grande città, carichi di speranze e illusioni. Il più delle volte finiscono a vivere in strada, una vita di solitudine e dipendenza ai margini della società. A questa tragedia se ne aggiungono altre.
Questi bambini, spogliati di ogni diritto e privati della loro fanciullezza, diventano preda di poliziotti corrotti o adulti senza scrupoli. Costretti non solo a subire soprusi, ma anche a lavorare per sopravvivere. Tanti fanno i “rag pickers”: rovistano nella spazzatura e raccolgono in giro plastica, cartone e alluminio da riciclare e rivendere a peso. Molti muoiono prima di raggiungere i vent’anni.
Altri ancora sono dipendenti da colla e solventi a base di toluene, una sostanza volatile tossica i cui effetti sono simili a una droga. Un tubetto di colla costa poche decine di rupie e li aiuta a superare il freddo e la fame, ovattandoli dalla realtà in cui vivono. Ne inalano i fumi da una pezzetta intrisa di solvente che portano alla bocca, stretta nel pugno, a intervalli regolari. Le loro giornate ruotano intorno all’uso di colla e agli orari dei film di Bollywood. Bollywood, centro di produzione dei film americani e cinema popolare indiano, è l’unico svago di questi bambini.
Oltre al cinema, alla miseria, al lavoro, alle brutture della vita, oltre al tunnel della colla, giornalisti che hanno intervistato i ragazzini ci parlano di una vita per loro normale, semplice fatta di litigi, amicizia, sogni, paure e una libertà difficile da capire. Vivono insieme, divisi in piccole gang che gravitano attorno alle principali stazioni ferroviarie, dormendo nello spazio che separa le pensiline dei binari dal sovrapassaggio, o nei vicoletti cupi e polverosi della capitale che di notte diventano spettrali. Non dormono mai da soli: la gang diventa la loro famiglia, il loro unico riferimento, una piccola comunità con regole e gerarchie ben definite.
Esistono diverse Ong locali e internazionali che si occupano con successo del recupero dei bambini dipendenti dalla colla. Ma la vastità del problema non fa del loro lavoro che una goccia nel mare. Il loro target, infatti, sono i bambini più piccoli, quelli che sono in giro al massimo da un paio d’anni. Quelli che la dipendenza e la vita di strada non hanno reso irrecuperabili, ma speriamo in un reinserimento e riscatto per ogni singolo innocente.”
Fonte: F4crnetwork

 

La realtà descritta non deve far pensare che quello che avete appena letto, sia distante dalla nostra società. Le modalità, i contesti sono diversi, ma quel che sentono e subiscono i bambini, solo gli stessi tormenti e dolori che sentono e subiscono i nostri bambini.

 

Orrori che nessuno vuole vedere e accettare.

 

Bambini istruiti da famiglie mafiose o camorristiche che ereditato in sorte un infausto e terribile destino.
A 7 anni imparano a sparare. A 16 a controllare le piazze di spaccio. A 20 muoiono nelle faide tra clan.

 

Storie vere, storie che nascono, crescono e muoiono all’ombra della nostra vita. A pochi passi dai nostri quartieri, dalle nostre case. Storie che si ripetono anno, dopo anno.

 

A Mariano Comense, profondo nord, un bambino dice al padre che vorrebbe collaborare con il cugino perché gli altri «lo temevano». Il cugino poco più che ventenne, nato anche lui nel cuore della Lombardia e nipote di un anziano e storico boss della ‘ndrangheta.

 

A Napoli ci sono bambini usati come pusher. Droghe nascoste negli ovetti kinder, piccoli che diventano inconsapevoli corrieri di nemmeno dieci anni che sacrificano un pezzo di vita ai clan della camorra.

 

A Reggio Calabria c’è chi a 7 anni maneggia la rivoltella come si faceva una volta con il Game Boy. S’ha da imparare a sparare, e occorre sapere cosa è e come si sopravvive nel mondo del crimine, perché, dice un altro padre al figlioletto nel tragitto tra casa e scuola, «nessuno rispetta la legge, i mafiosi sono contro la legge perché hanno una forza proprio per farsi giustizia da soli».

 

Nelle strade di Napoli si uccide. E tanto. Ogni anno decine e decine di morti. Una mattanza che, se ancora ve ne fosse bisogno, fa capire che le mafie sono il nostro Isis. A Napoli, scrive la Direzione Investigativa Antimafia nella sua ultima relazione semestrale, operano “oltre 110 clan”, e le nuove leve del crimine ne fanno sempre più parte, con gradi sempre più alti fin dalla più giovane età. “Baby Boss”, li ha ribattezzati la cronaca, che non si fanno problemi a intimidire e soprattutto a sparare.
Fonti: Corriere.it

 

Roberto Saviano li ha descritti con cura e dovizia di particolari, raccontando a suo rischio e pericolo la realtà nascosta di un Italia violenza e senza scrupoli.
Bambini e ragazzi privati dell’innocenza, privati di una vita serena, una vita capace di sognare.

 

Per chi mi segue sà che sono suscettibile a questi temi, primo perché soffro la mia non paternità, poi, perché sono stato un bambino abusato, cresciuto in un'ambiente povero e omertoso.

 

E mi vergogno di quello che siamo, non di quello che siamo stati, ma di quello che siamo ora.
In un blog amico, un’amica ha paragonato gli innamorati ad angeli che vivono dell’amore di DIO.
L’essere umano è tutto tranne che un angelo.

 

Mi viene in mette una frase detta da Dostoevskij: “La gente spesso parla di crudeltà “bestiale” dell’uomo, ma questo è terribilmente ingiusto e offensivo per le bestie: un animale non potrebbe mai essere crudele quanto un uomo, crudele in maniera così artistica e creativa.”

 

Per sapere chi sei,
devi sapere
da dove vieni

 

Da dove veniamo?
 

Dal Classicismo di Omero, di Ippocrate, di Fidia, di Socrate, di Platone, di Archimede?
Dalle menti illuminate di Dante, Petrarca e Boccaccio?
Dal Rinascimento creativo di Leonardo, Michelangelo e Raffaello?
Dal Romanticismo di Leopardi, di Foscolo e di Verdi?

 

O

 

veniamo, invece, dall’insensata e sinistra eredita lasciata da: Stalin, Mao, Hitler, Mussolini?

 

Violenze sessuali su due bambine: arrestato "orco" 60enne.

 

Notizia di oggi.

 

Io vorrei scrivere d’amore, raccontare di quanta passione il mio cuore mette nel donare tempo, attenzioni ed emozioni alla mia compagna, tutto per dimostrarle, semplicemente, quanto amore ho per lei.

 

Ma mi viene difficile a volte esternare bellezza e poesia. Quella poesia romantica che disseta e rasserena.
Non si può, sempre, bere da un calice di felicità, a volte bisogna riempirlo di sangue e dolore, e declinare versi che indignano e come un pugno colpiscono allo stomaco.
Ma va fatto nella realtà, nella quotidianità, nel cuore di quell’indifferenza che è, cieca a volte consapevolmente.

 

Ad un bambino basta tendergli la mano,
il suo cuore di fiducia è inondato.
Ad un bambino basta una carezza,
per sentirsi a casa,
 per fidarsi di quell’abbraccio che,
lui non sà,
ha nascosta una terribile realtà.
Ad un bambino non serve permesso,
lui ti invita ad entrare nel suo mondo,
con un semplice gesto,
usa lo sguardo,
con esso ti dona tutto se stesso.

 

E tu adulto che fai?
Il suo corpo penetri e la sua carne laceri.
Gli insegni il dolore e la paura gli fai provare.
Rendi i suoi giochi spaventosi e
i suoi ricordi ombre indefinite
di un mondo confuso e non più felice.
I suoi occhi spegni e da innocente
lo condanni.

 

 

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natodallatempesta0 più di un mese fa

 

Oggi voglio descrivere una sensazione piacevole avuta ieri.
L’intenzione sarà quella, poi non vi garantisco nulla. :-)

 

Ieri dopo più di un lustro mi è successo di prendere il treno, e come spesso capita quando riprendi o rifai qualcosa dimenticato nel tempo i ricordi riaffiorano.
Ovviamente i ricordi si concentrano al periodo studentesco, il periodo in cui non avendo auto mi spostavo attraverso i mezzi.

 

Devo dire che da allora, sono passati quasi 25 anni, le cose sono parecchio migliorate, a partire dai treni molto più comodi e veloci.
Mi sono balenati in mente alcuni compagni di Accademia e tutte le gite, chiamiamole così, intraprese per andare a visitare quella chiesa, quella pinacoteca o quel palazzo storico che ci serviva in quel momento come studio per il progetto di turno.
Per un progetto servivano anche più visite, una volta dovetti andare da solo, il mio collega di progetto, non ricordo il motivo, ebbe un imprevisto. Mi ricordo, ancora, vividamente il viaggio verso quella destinazione.
Lo studio riguardare un bellissimo portone in bronzo, decorato con magnifici bassorilievi. Il compito o progetto prevedeva, uno studio teorico storico dell’opera. Chi? Come? Quando? Per esser precisi e una parte progettuale, fatta di disegni, rilievi e in alcune casi acqueforti o dipinti.
Non so perché il mio gruppo di studio dava questa parte sempre a me, ingiustamente ritenevano le mie doti di riproduzione (essendo un perfezionista) superiori, in realtà non era vero, era la tecnica che usavamo diversa, ogni artista tenda a sviluppare la sua ed essendo io il più fedele alla realtà in quel momento della crescita artistica, per loro era logico che mi occupassi io della parte progettuale relativa all’acquaforte o il dipinto, significava un voto più alto.
Ovviamente mi necessitava avere l’opera davanti, avevo la reflex ma non era la stessa cosa avere l’opera davanti, le foto andavano bene per le rifiniture, i dettagli, ma la percezione del colore, della tridimensionalità, è percepibile solo stando davanti all'opera.
Il portone si trovava in una chiesa di Caltagirone, oggi in treno ci vogliono circa un’ora e quaranta minuti per raggiungerla, all’epoca, forse, qualcosina in più.

 

Il viaggio di ieri, un viaggio breve al dire il vero, mi ha ricordato tutto questo.

 

E una sorta di quasi rimpianto mi ha assalito.
Rimpiangi i periodi belli e nel mio passato il periodo accademico è stato il più bello.
D’Annunzio disse: “Il rimpianto è il vano pascolo di uno spirito disoccupato. Bisogna soprattutto evitare il rimpianto occupando sempre lo spirito con nuove sensazioni e con nuove immaginazioni.”

 

Parafrasando Hikmet potrei scrivere:

 

 il più bello dei nostri ricordi
non lo abbiamo ancora vissuto

 

Hanno ragione entrambi, il rimpianto se poi è legato al passato, è un male che si auto genera e produce paura sotto la falsa forma della malinconia. So che hanno, quindi, ragione, so che la bellezza della vita è nel presente e che l’illusione di vivere un presente non all’altezza del passato è, pericoloso per il futuro. Ma sono purtroppo un’anima malinconica.

 

Da un lato ho colto la bellezza del viaggio e l’emozione nel vivere il treno una volta ancora, dall’altro rimpiango i bei momenti che esso mi ha suscitato.

 

In una poesia d’amore e gioia, vi è sempre un verso di malinconico tormento.

 

Vivo l’amore e la gioia,
l’arte e la passione e
scrivo versi d'incommensurabile felicità.
Ma ahimè tra una virgola e
un punto.
Nasce, sempre, una lacrima
malinconica.

 

 

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natodallatempesta0 più di un mese fa

 

“L'amore è un maestro, ma bisogna saperlo conquistare, perché è difficile meritarlo; lo si ottiene a caro prezzo e con grande fatica e dopo lungo tempo, perché bisogna amare non per l'opportunità del momento, ma per tutta la vita.”
Fëdor Dostoevskij.
Saggio e sempre sul punto Dostoevskij: bisogna amare non per l’opportunità del momento, ma per tutta la vita. Per questa saggezza ieri non ho scritto nulla sulla festa di San Valentino.
Non voglio criticarla, voglio solo sottolineare che “per tutta la vita” è ben più impegnativo e richiede molto più di una scatola di cioccolatini regalata una volta all’anno.

 

L’avete mai detto o scritto? Per tutta la vita. Un impegno che suona come un sigillo, un patto di sangue, un contratto metafisico.
Mi viene in mente un proverbio: Multo quam ferrum lingua atrocior ferit.

 

Ne uccide più la lingua che la spada.

 

Le parole hanno un peso e che peso. Me ne sono reso conto fin da subito, dai primi anni di scuola, che le parole potevano fare male, oltre che dare gioia e amore. Come vittima di bullismo (oggi chiamata così la molestia e la violenza scolastica) ho imparato subito il valore delle parole e del silenzio, e sì anche del silenzio, l’ho scritto molte volte anche di recente.

 

Dopo aver scritto quello che avete appena letto, mi sono fermato, un blocco, non sono riuscito più a continuare il pensiero, per ore.
Il linea di massima avevo scritto quel che volevo condividere. La critica a San Valentino era stato lo sparacchiò per mettere in evidenza quell’amore fantoccio che vive nelle parole senza tempo.
La verità priva di scheletro che, ogni giorno, vive la sua vita, nell’illusione che possa reggere il peso di un’eternità di promesse.
Che diamine ho scritto? :-)

 

Un giorno ero lontano,
mi sono accorto di non sapere dove fossi,
non ricordavo il perché fossi in quel luogo.
né come fossi arrivato lì.
I pensieri non avevano peso,
e la mente era leggera.
Vi è mai capitato di essere assenti?
Di non aver timbrato il cartellino dei ricordi?
Di non riconoscere il mondo attorno a voi?
Di non avere più pensieri da vendere?
Di avere la sensazione di esservi persi?

 

Le parole possono farci perdere l’orientamento e la consapevolezza di sé stessi, tante parole possono creare un labirinto di promesse, di speranze e paure, che possono sprofondarci in un limbo senza memoria. Una memoria che genera angoscia e preoccupazione. E pensiamo, pensiamo, pensiamo, pensiamo e pensiero fino a dimenticare l’origine del nostro pensiero e quel che rimane, è solo l’opinione altrui.

 

“Penso troppo ai come e ai perché, troppo a me stessa. Non mi va che il tempo mi svolazzi intorno battendo le ali.”
Virginia Woolf.

 

 

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natodallatempesta0 più di un mese fa

 

Ieri ho accennato le difficoltà della mia compagna nell’affrontare l’attuale influenza stagionale, soffermandomi sulla cura e l’affetto che essa (la cura) genera tra chi si dà l’uno per l’altra, tra chi si ama e cresce insieme nel bene e nel male.

 

Gli atti d‘amore che ho, sommariamente, descritto con la frase:
“Io le cucino, io l’accudisco, io le cambio il pigiama, io l’aiuto in questo momento di difficoltà.”
Sono forme alternative, strutture emotive che nascono su quel t’amo che sussuriamo nei momenti d’intima confessione, è sono la nostra forza, la mia forza.
Dire t’amo, sistemare un giaciglio o un tavolino per ristorare le sue esigenze, sono però atti che scorrono come l’acqua, facili sospiri che lasciano in bocca il sapore della primavera.
Ma non è sempre così. Oggi voglio scrivere una frase che è, nei momenti di difficoltà, nelle labbra di tutti noi: "essere forti.”
Esser forti per lei o lui.

 

“Dimostriamo compatimento per le sofferenze degli amici non con le lamentazioni, ma prendendoci cura di loro.”
Epicuro.

 

È vero a volte mi lamento, quasi, egoisticamente (purtroppo non sono perfetto) di non esser apprezzato per quel che con amore faccio e dico.
Chi è, sofferente, provato nel corpo e nella mente da un malessere, è sottoposto ad uno stress che porta inevitabilmente ed esser (temporaneamente) depressa o depresso, irascibile e al momento incapace di mostrare gratitudine.
Il malato o comunque chi soffre per un motivo o un altro è, inevitabilmente concentrato su di sé, il dolore lo richiama a sé, gli spasmi lo costringono a piegarsi su di sé. E questo porta a volte a rispondere, magari, male ad un atto che per noi è spinto dall’amore.
Bisogna esser forti anche quando e sopratutto ci si sente respinti.

 

È facile mettersi in dubbio e mettere in dubbio chi amiamo, soprattutto nei momenti di difficoltà, è nella natura umana complicarsi la vita sia fisica, che emotiva. Il perché? Ancora non l’ho compreso.
La mia compagna come ho avuto modo di scrivere in passato ha un carattere tosto, con un arsenale di frecce appuntite nella sua Santa Barbara. Dal suo arco scoccano frasi piene di ironia e sarcasmo, che sanno pungere e intaccare l’orgoglio, anche il meno irascibile.

 

Il buon Gibran scisse che esser generosi significa dare più di quello che puoi, e l'orgoglio sta nel prendere meno di ciò di cui hai bisogno, che può (in negativo) significare anche dare di meno.

 

Ed è vero! L’orgoglio, se poi è ferito, ti porta a dare di meno ed è in questi momenti che ci si deve dar forza e dare di più, quell’attenzione in più che fa la differenza nel momento del bisogno o cambiare le cose nel momento che non si ha bisogno.

 

Tutto questo per dire solo che a volte prendersi cura di qualcuno non è rose e fiori, ma può esserlo se si ricorda che le rose sono i tanti t’amo concessi e ricevuti. Quel mazzo di rose non appassisce mai, e la bellezza che vive in esso, può rendere luminosa anche una brutta giornata.

 

 

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natodallatempesta0 più di un mese fa

 

L’influenza stagionale è un appuntamento per molti italiani inevitabile, e nel male si ha l’occasione di mostrare e dimostrare l’amore che a parole è sempre vivo e presente.

 

La mia compagna al momento è immobilizzata (per modo di dire) a letto, costretta dall’australiana.
Io le cucino, io l’accudisco, io le cambio il pigiama, io l’aiuto in questo momento di difficoltà.
Siamo soli ed è nel nostro essere l'uno per l’altra che nasce la cura. Quell’attenzione che ci fa tendere la mano e ci mostra, forse, ingiustamente migliori di quel che siamo.
Un’attenzione.
Un’attenzione in più, fa la differenza, nel momento del bisogno.
Un’attenzione in più, potrebbe cambiare il mondo, invece, quando viene donata nel momento che non si ha bisogno.

 

“Le cose che si amano non si posseggono mai completamente.
Semplicemente si custodiscono.”
Gaio Valerio Catullo

 

I filosofi danno sempre aiuto nel dare struttura alle idee e ai pensieri. Catullo declina una grande verità. Ciò che amiamo non ci appartiene mai completamente, forse, non ci appartiene per niente.
Ma è una realtà che è, verità per tutti i nostri sentimenti. Non ci appartiene, così come chi amiamo, chi adiamo, chi desideriamo o sogniamo, dobbiamo, dovremmo, semplicemente, custodirli, come si custodisce qualcosa di prezioso, curarli, è la cura, la verità nascosta dell’amore.

 

Non scrivo nulla di nuovo o di originale, ci sono esempi più importanti e incisivi sul significato e l’importanza della cura.

 

 

Com’è mia abitudine e libertà scrivo quel che mi sento e lo scrivo quando mi sento e nel modo in cui mi sento, fregandomene se posso esser agli occhi di chi mi legge banale e scontato.
Lo so, sono un pochino presuntuoso?
Ma la mia più che presunzione è un riscatto dai tanti silenzi che hanno scandito la mia vita.

 

E non c’è peggior male del silenzio, di fronte a chi soffre, a chi grida, perché, poi, il silenzio non è vuoto come pensate, è pieno di aspettative e idee che sperano di lasciare il nostro cuore. Il mio cuore è pieno di questi relitti e non posso eliminarli e in verità non devo eliminarli.

 

La cura e il silenzio, due verità che spesso si incrociano, nel bene e nel male, lungo il nostro cammino.

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natodallatempesta0 11 febbraio

 

Dopo la tempesta ecco il sole.

 

E che sole.

 

Permettetemi oggi di esprimere il mio dispiacere per le ferite che la mia terra ha subito in questi tre giorni. Il ciclone Helios diventato uragano ha praticamente devastato la Sicilia orientale.

 

Marzamemi piccolo e meraviglioso borgo marinaro completamente allagato.

 

 

L’ultima volta che l’ho visto era pieno di turisti, pieno di vita e voglia di mostrarsi al mondo per quello che era ed è.

 

Non voglio e non sarò pessimista, con o senza aiuti le comunità, che siano al sud o al nord, si sono sempre rialzate, l’italiano se vuole sa essere resiliente. Dispiace, ovviamente, vedere la serie continua di pugni che subiamo, la crisi, il covid, le conseguenze della guerra e il maltempo, quando mai dalle nostre parti si mostravano così violentemente cicloni e uragani.

 

La storia racconta che il nostro è un popolo ingegnoso e creativo, spesso, spessissimo, ladro, corrotto e razzista, in parole povere un gran figlio di puttana.

 

Per citare Benigni un paese che di legale ha solo l’ora.

 

Checché se ne dica un paese profondamente diviso:

“Prendete un problema di qualunque natura (politico, sociale, culturale, tecnico o altro) e datelo da risolvere a due italiani: uno milanese e l'altro siciliano. Dopo un giorno, il siciliano avrà dieci idee per risolvere questo problema, il milanese nemmeno una. Dopo due giorni, il siciliano avrà cento idee per risolvere questo problema, il milanese nessuna. Dopo tre giorni, il siciliano avrà mille idee per risolvere questo problema, e il milanese lo avrà già risolto.”
Giuseppe Tomasi di Lampedusa.

 

Rimane comunque il più bel paese del mondo.

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natodallatempesta0 10 febbraio

Allerta rossa e un ciclone che sta creando un mare (e non è una metafora) di problemi dalle mie parti.
Il mare fra poco mi bussa alla porta. :-)
Problemi di linea, immagino non dovuti a Libero stavolta, mi rendono la navigazione instabile.

Per adesso mi limito per modo di dire ad un piccolo saluto ad amiche e ad amici.

 

“Battere le ali contro la tempesta avendo fede che dietro questo tumulto splenda il sole.”
Virginia Woolf

 

 

Buon week end.

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natodallatempesta0 09 febbraio

 

Ho già avuto modo di scrivere di sguardi, di occhi e visioni, in un post ho anche descritto l’arrivo nel mio comodino degli occhiali per leggere. La vista.

 

“Ogni uomo confonde i limiti del suo campo visivo con i confini del mondo.”
Schopenhauer.

 

I limiti con l’età creano confini ed ereggono trincee è inevitavile. Da anni, direi oramai, mi sottopongo a controlli visivi, la prevenzione è, intelligenza oltre che prudenza.

Mi è stato diagnosticato un glaucoma, lo so da una settimana oramai, quando penso a questa parola, penso alla cecità. Il medico mi ha rassicurato che nella maggior parte dei casi se preso in tempo, questo rischio è inesistente, se ovvio si seguono le cure.

 

Le metafore sulla vista sono infinite e acuminate come lame.

 

“Occhio per occhio rende il mondo cieco."

 

Saggio e indimenticato Gandhi, oggi più che mai servirebbe una figura con il suo cuore.

 

La paura c’è, percepisco il peggioramento e l’idea di perdere la vista, lo ammatto mi fa tremare.
Che dire mi mancava un’altra paura, non sia mai mi potessi sentire solo o per un’istante pensare che tutto andava bene.
Mi viene in aiuto la logica come sempre, e il mio cuore che mi parla e come sempre anch’egli cerca di aiutarmi a capire e sentire con la giusta visione. :-)

 

Non c’è mai perdita senza insegnamento, quindi raccogli quel che ti verrà donato da questa consapevolezza e ama, l’amore riempie non toglie mai. La paura ha ali per volare e condurti, lì, dove i pensieri diventano strutture e le parole echi per conversare. La vista del cuore, la mia visione non ti verrà mai tolta e finché osservi il mondo con i miei occhi ci sarà luce anche nel buio più tetro.”

 

La paura c’è, ma sono fiducioso che i miei occhi riusciranno a resistere anche a questo bullo.

 

E sì, tornano sempre nei miei pensieri i bulli, in giro ce c’è stanno parecchi, piccoli e grandi, alcuni grandi come Nazioni. La sfida più grande è sempre vincere se stessi, il bullo ha un potere che è nostro, noi concediamo quel potere, il potere di sopraffarci e solo nostro è il potere di sottrargli dalle mani la violenza, trasformando la paura in un angelo capace di mostrare compassione, mostrare resilienza e persino il dolore del nostro sangue.
Tutti, tutti dicono, urlano, scrivono che vogliono, desiderano un mondo senza violenza, persino chi combatte, afferma di combattere per un mondo senza violenza. Finché si risponde alla violenza, finché si rende viva la violenza, essa sarà voce per le nostre paure, respiro per le nostre incertezze.

 


Mi rendo conto leggendomi di esser retorico e inutile, c’è rabbia verso il mondo e cerco di nasconderla con belle e nobili parole.

 

Meglio il silenzio.

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natodallatempesta0 08 febbraio

E poi ci sono le stelle.

 

Era estate, io e la mia compagna ci siamo messi in viaggio per raggiungere un parco in una bellissima località della mia terra. Quando siamo arrivati era già calata la sera.
Era necessaria per quel che ci aspettava.
Una notte tra le stelle.
C’era gente, non tantissima ma abbastanza per rendere una festa quel che abbiamo vissuto. Ricordo la fila per vedere Giove e Saturno.
Attraverso un telescopio astronomico ho visto gli anelli e le macchie del gigante.

 

 

Ecco questo è quello che ho visto - l’immagine che ho condiviso è presa dalla rete - più o meno questo è, però, quel che ha mostrato il telescopio, una monetina d’oro circondata da un’anello perfetto.

 

Perché vi ho raccontato questo ricordo?
Perché molte volte è capitato di alzare gli occhi al cielo e cercare in quell’infinito, ispirazione e conforto.

 

Ispirazione nel trovare le forme, i colori, i versi e i suoni della gioia, della speranza e in ultimo dell’amore.

 

Conforto dalle miserie, dalle ingiustizie e dalle sofferenze della vita.

 

Ora le scelte sono due, dare voce all’ispirazione o al conforto.
L’ispirazione conduce alla poesia, alla musica e all’arte. Quanti versi da cantare, quante opere d’ammirare.
Il conforto al contrario sprofonda nel delirio. Strappo al passato o al presente frammenti d’anima che lacerano il mio corpo e cerco nel pianto la consolazione alla disperazione.

 

La vita è questo, una moneta che gira e mostra una faccia diversa ad ogni giro.
Può capitare di persistere su una faccia e perdersi in quella, ma come una moneta è solo un’illusione, come la luna l’altra faccia è solo nascosta e riabbracciarla è una scelta.

 

Quando è capitato un evento particolarmente coinvolgente nel bene o nel male, ho sempre donato un pensiero, una mia impressione. In Turchia e in Siria in queste ore si cerca di fare la cosa giusta tutti insieme, si dà conforto allo strazio e si ispira forza e coraggio. Tutti stanno collaborando e dal mondo gli aiuti sono partiti, Italia, Francia, Germani, Usa, Cina, hanno dato la loro disponibile a dare un mano, un aiuto anche l’Ucraina e la Russia.
E sì, anche Ucraina e Russia, l’unione è una scelta, dare aiuto è una scelta, dare la vita è una vita, dare la morte è una scelta. Il bello delle scelte è che possono cambiare.

 

Non bisogna mai smettere di alzare gli ogni al cielo e scorgere l’infinito dell’anima.

 

L’associazione è quasi scontata, l’infinito mi riporta in mente e mi ispira i versi di una poesia, una bellissima poesia del Leopardi, che tutti noi conosciamo.

 

Manoscritto de L’infinito di Giacomo Leopardi, 1819, Biblioteca Nazionale di Napoli

 

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