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Un’anziana donna aveva due grandi vasi, ciascuno sospeso all’estremità di un palo che lei portava sulle spalle. Uno dei vasi aveva una crepa, mentre l’altro era perfetto, ed era sempre pieno d’acqua alla fine della lunga camminata dal ruscello a casa, mentre quello crepato arrivava mezzo vuoto. Per due anni interi andò avanti così, con la donna che portava a casa solo un vaso e mezzo d’acqua.
Naturalmente, il vaso perfetto era orgoglioso dei propri risultati. Ma il povero vaso crepato era in imbarazzo per via del proprio difetto, ed era avvilito di saper fare solo la metà di ciò per cui era stato fatto. Dopo due anni che si rendeva conto del proprio amaro fallimento, un giorno parlò alla donna lungo il cammino:
Mi vergogno di me stesso, perché questa crepa nel mio fianco fa sì che l’acqua fuoriesca lungo tutta la strada verso la vostra casa
La vecchia sorrise:
Ti sei accorto che ci sono dei fiori dalla tua parte del sentiero, ma non dalla parte dell’altro vaso? È perché io ho Sempre saputo del tuo difetto, perciò ho piantato semi di fiori dal tuo lato del sentiero ed ogni giorno, mentre tornavamo, tu li innaffiavi. Per due anni ho potuto raccogliere quei bei fiori per decorare la tavola. Se tu non fossi stato come sei, non avrei avuto quelle bellezze per ingentilire la casa.

 

 

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In una precedente riflessione ho accennato che stavo ridistribuendo gli spazi nel mio studio.
Nel sistemare gli oggetti, oggi, ho notato un vecchio amico:

 

Vecchio amico

 

I ricordi legati a questo manichino sono tantissimi. Oggi, che la sua funzione è stata ahimè, abbandonata per esser retrocesso a semplice oggetto d’esposizione, mi da spunto per un nuovo pensiero, legato al corpo.

 

Molti delle insicurezza che ci portiamo dietro, hanno un forte legame con la percezione del nostro corpo, percezione suscettibile al limite del tormento alle opinioni altrui.

 

Ho sempre ritenuto superficiale il pensiero che sminuisce il problema. Cuore di mamma ti porta sempre nel petto sia tu bello o brutto, poi diventi adolescente e la mamma non è più l’unica voce che ascolti e scopri che, poi, così bello come diceva non eri.

 

Da adulti, molto adulti, si perde, per fortuna, questa percezione, si è concentrati su altre priorità che hanno scadenze che alleggeriscono pensieri e pressioni.

 

Ma d’adolescenti, da giovani uomini e donne, il problema esiste ed è ben radicato dentro e fuori.
Facile dire:
“La bellezza di una donna non dipende dai vestiti che indossa né dall'aspetto che possiede o dal modo di pettinarsi. La bellezza di una donna si deve percepire dai suoi occhi, perché quella è la porta del suo cuore…” o “Gli altri uomini vedono in te una bellezza che dileguerà più veloce dei loro anni. Ma io vedo in te una bellezza che non svanirà, e nell'autunno dei tuoi giorni quella bellezza non avrà timore di guardarsi nello specchio, e non ne riceverà offesa." il buon Gibran.
Caro Gibran, dalle vette della tua saggezza, la retorica muta in poesia e l’emozione diventa un capriccio per dare forma ad un'espressione eterea che è più una preghiera che un t’amo.
Per me che sono un povero mortale, le cose son molto diverse.

 

L’aspetto condiziona la crescita interiore, perché le relazioni si reggono prima di ogni altra percezione, sul contatto.
E da ragazzi: il contatto, l’interazione, il gioco, sono i principali canale di comunicazione. L’ideale intellettuale cresce e nasce con una certa maturità, prima c’è l’energia dalla fisicità. Iniziare il cammino verso la maturità, con la traumatica consapevolezza che chi ti guarda non vede bellezza, ma qualcosa che può esser deriso e offeso, lascia ferite che si trascinano per lungo tempo, ferite che ritornano quando poi l’ombra ti prende il cuore e l’anima.

 

Questa riflessione nasce, in verità, per condividere un brano, che recentemente è stato ripresentato dall’artista che l’ha portato al successo.
Brano significativo, dal messaggio importante ieri come oggi.

 

 

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Lunedì!
Ecco che inizia una nuova settimana. Il lunedì è sempre stato un dì, capace di suscitare (altalenanti) emozioni, fin dai tempi della scuola.

 

Emozioni che alternavano fastidio a gioia. Fastidio per l’interruzione di quella attesa libertà concessa la domenica. Gioia! Perché il nuovo iniziava.
Anche, ora, le novità sono attese, anche qui dove la riflessione diventa una riva su cui sedersi in attesa delle onde, che nel vai e vieni lasciano, sempre, qualcosa.

 

Finora ho registrato, solo, un paio di volte opinioni su eventi e scenari esterni alla mia persona e fatto salvo alcune eccezioni, continuerò a tenere lontano da questo spazio: Guerra, violenza e dibattiti sociali.

 

L’istinto di parlare d’Arte c’è!
È sempre stata presente nella mia vita, fin da quando ho iniziato a camminare, ma devo confessare che dopo gli anni passati a scrivere di artisti e opere, oggi, l’arte la lascio divulgare o sproloquiare ad altri utenti. Io con lei, adesso, faccio all’amore e quante creature prendon vita da quell’atto creativo.

 

Proprio ieri, quel ieri senza ispirazione d’inchiostro, senza idea da scrivere, ha portato a rimettere, letteralmente, mano ad una vecchia forma lasciata in disparte, ma mai dimenticata, nessuna forma è, mai, abbandonata. Perbacco e perdindirindina 🙂

 

Oibò

L’arte è stata, amica, compagna e come accennato, nel precedente pensiero: salvatrice. Persino nell’amore mi è stata suggeritrice. Quante volte ho creato un pensiero, per esprimere quell’emozione che banalmente, a volte, si trasforma in un acquisto non convinto.
I fiori, le rose, in particolare, sono stupendi pensieri che accompagnano egregiamente un dono alla propria amata. Una volta, un mazzo di rose rosse lo creai dal nulla, un dono che ancora oggi la mia compagna tiene conservato.

 

Basta il pensiero

 

Tempo fa scrissi: A volte mi sento solo in mezzo alla gente. La solitudine, quindi, è stata un’emozione presente nel corso della mia vita. Ma la vera solitudine non lascia fiato, non lascia luce. Devo correggere quella frase, perché solo non lo sono mai stato, l’arte mi è sempre stata vicina.
Quindi, a volte ci sentiamo (io e l’arte) soli in mezzo ad un oceano di gente. 🙂

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natodallatempesta0 più di un mese fa

Sono più o meno le 10:00 quando accendo il PC ed entro nel mio profilo, pronto a condividere un pensiero.

 

Beh non sapevo di che scrivere.

 

Tornare sempre sullo stesso pensiero interiore, non mi dava ispirazione, ed ho chiuso.

 

Ho riacceso il PC e rientrato in Libero alle più o meno: 13:30. Controllato le attività, mi sono preparato o meglio ho provato a scrivere un pensiero, non che sia obbligatorio scrivere.
Quel che conta è la spinta che da sempre mi porta a scrivere, di cosa viene di solito da se.
Avevo pensato di raccontare di ieri. Insieme alla mia compagna, sono sceso in città. Dalle 10:45 fino più o meno alle 16:00, con pausa pranzo nel mezzo, abbiamo girato o meglio ha girato, perché è lei che più si diverte, per il mercato o fiera della città.
Il mercato più antico e folcloristico, risalente al XIX secolo da quel che so.

 

Una giornata al mercato – 12 Novembre 2022

 

Ma neanche questo è, oggi, nelle mi corde.

Quando scrivere non è in sintonia, faccio altro. La provvidenza non mi ha concesso il dono di un animo guascone, l’animo di chi sa attirare gli occhi degli altri. Non ho, quindi, amici, veri amici. Anche lei, l’amicizia, ha mille sfumature, per quel che per me significa amicizia, non né ho. Ho, però, tanti talenti donati da un destino che ha un senso dello humour, alquanto, ironico.

Disegnare, è il primo talento che ho scoperto, quello che mi ha trovato per primo, quello che negli anni mi ha coccolato, protetto e salvato.

 

Buona domenica cari utenti di Libero. Un saluto speciale alle anime, poche, molto, molto poche, che hanno deciso nonostante l’inerzia mentale della comunità di restare (e spesso tornare), quelle stesse anime, che mi danno ogni tanto il privilegio della visita e dell’interazione.

 

“Un giorno senza sorriso è un giorno perso.” semplice e diretta citazione di Charlie Chaplin, usata come pretesto per donarvi un mio disegno. 🙂

 

Il sorriso del vagabondo.

 

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natodallatempesta0 più di un mese fa
Puppy blocking its ears and looking up
 

L’ultimo post inserito oltre a raccontare una parte importante della mia vita, conteneva un messaggio per me importante.

 

La Prevenzione.

 

Oggi, non racconterò di me, condividerò, invece, un messaggio, un altro messaggio, per me importante.

 

Nel blog c'è un bel video.

 

 

La cucciola che vedete, ha un solo bisogno ed è: donare amore. E lo fa senza condizioni e filtri. Si dona anima e corpo a me e alla mia famiglia, come nessun essere umano abbia mai fatto e farà mai.

 

C’è ne sono tanti in giro, come lei. Cucciole e cuccioli che danno amore senza, mai, chiedere nulla.

 

Ricordarlo non è una scelta, ma un dovere.

 

Abbandonarli non è una scelta, ma un atto criminale senza perdono (e sì, qui non lo congedo).

 

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natodallatempesta0 più di un mese fa

 

Ieri in un messaggio ho scritto:

 

Una mia congiunta intima a 43 anni ha scoperto di avere il cancro […].

 

Il resto del messaggio non è importante per quel che devo raccontare ora. È, però, a dir poco curioso come a volte si condividono confidenze, candidamente, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Confidenza nata, poi, da un contesto che capita abitualmente a tutti (beh la parte sana di tutti), qui, ringraziare per un apprezzamento. Poi, una frase dopo l’altra si arriva a confidare parte della propria vita, magari per dare un sostegno.
Con la natura dei miei post è, naturale, spontaneo, ricevere confidenze, perché sono confidenze, racconti personali a loro volta, già, i miei pensieri. Nei commenti ricevuti in queste settimane, reciprocamente, ci siamo confidati pensieri e dato sostegno. Sostegno la cui natura si palesa proprio nel descrivere le proprie emozioni, le proprie difficoltà e gioie.

 

Quel che descriverò e condividerò, ora, mi ha toccato e tocca profondamente. Come per molti post precedenti lo faccio per me. È questa la libertà che permette la rete.

 

La congiunta intima è, mia sorella.
Come capita molte volte tra fratelli e sorelle, i caratteri si alternano, quasi a voler bilanciare una naturale predisposizione al contatto, al dialogo e alla convivenza.
Uno riservato o riservata, l’altra estroversa o estroverso. Io sono il carattere riservato, mia sorella invece è il carattere estroverso. Per capire la natura del nostro rapporto, non dissimile da tanti altri.
Devo, per forza di concetto, descrivere la nostra infanzia.
Come ho scritto quando ho parlato del rapporto con mio padre, lui non è stato quello che convenzionalmente si potrebbe definire un buon padre. Non entro nei dettagli non è il caso, mi limito a d’esprimere con una parola quel che è stato. Che è quel serve sapere in questo contesto: Assente.
Mia madre si è, come molte madri dovuta mettere sulle spalle tutto. Purtroppo, dovendo lavorare anche lei a volte solo lei, per gran parte delle nostre giornate: Siamo stati ed eravamo soli.

 

La differenza di età non è tanta, solo 3 anni, abbastanza breve da renderci, quasi, coetanei e questo ha agevolato la costruzione del rapporto.
Potrei raccontarvi tanti episodi, il punto fondamentale era ed è che spesso tutto si concentrava solo su noi due.
La mattina, nostra madre ci preparava per andare a scuola. Come ogni madre amorevole, ci preparava lo spuntino, lo zainetto, il grembiule e ci accompagnava lasciandoci all’ingresso della scuola. La rivedevamo solo la sera quando, lei, ormai stanca si ritirava dal lavoro.

 

Cosa facevamo nelle ore precedenti?

 

Finita la scuola, prendevo per mano mia sorella e da soli tornavamo a casa.
Giunti a casa, preparavamo il pranzo e da soli pranzavamo con la sola compagnia della TV e i cartoni. Io avevo tra i 10 e 11 anni, mia sorella tra i 7 e 8 anni.
Capitava a volte che nel pomeriggio annoiati uscivamo e andavamo nella piazzetta del quartiere. Mia sorella amata pattinare, non sul ghiaccio ovviamento, ma per strada con i pattini a rotelle. Per accontentarla, la portavo in piazza e la facevo giocare. Ricordo che c’era una discesa o salita (fate voi) dove non passavano macchine. Lei si lanciava dalla cima della discesa e arrivata alla fine, io, la prendevo.
Così passava il pomeriggio! Così sono passati gli anni!
Questo è come siamo cresciuti. Poi, ovviamente, ci siamo separati per iniziare ognuno la propria vita personale, ma quel rapporto non si è mai spezzato, non si è mai opacizzato, è sempre presente nei miei silenzi e nelle sue parole.
A volte quando passo, a piedi o in macchina quella piazzetta, i ricordi riaffiorano. Oggi, è diversa, caotica, rumorosa, pericolosa. A volte non la riconosco.

 

Oggi è così e non la riconosco.

 

La scoperta del cancro ha messo a dura prova mia sorella, la battaglia è vinta, ma ancora, oggi, lotta per tenere lontano il mostro, per resistere ai trattamenti, alle forze che mancano, al sostegno, all’equilibrio che ogni tanto viene meno, alle tante visite che hanno trasformato i medici in figure amichevoli e gli ospedali a delle seconde case.
In questi anni, perché orami sono passati anni da quella terribile notizia, è capitato, le volte che mia cognato non poteva, di accompagnarla e riprenderla da un controllo.
E come un tempo per pochi momenti, ho sentito nel cuore rivivere, quei due bambini, che da soli si aiutavano ad affrontare la quotidianità.
Tutti, naturalmente, vicini e lontani, hanno speso una parola di incoraggiamento, non che mia sorella né avesse bisogno, lei è sempre stata forte, all’apparenza una roccia, ma io che per lungo tempo, ho raccolto le sue confidenze, i suoi malumore, le sue intemperanze, conosco le sue fragilità e le sue paure. Non lo direbbe mai, neanche se fosse vitale dirlo, ma ha paura. Beh chi non ne avrebbe, non è semplice capirlo per chi hai accanto, se si fa di tutto per apparire serena, forte, incrollabile, i figli e i mariti, questo devono vedere.

 

A mio modo ho detto, le ho detto: Coraggio, passerà, ti siamo tutti vicini.
Senza, però, mai esprimere il dolore, mai esprimere palesemente il dispiacere, perché, io, sono questo per tutti, l’inafferrabile, l’insondabile. Ma in cuor mio so: non per lei. Perché, forse, lei è l’unica che davvero mi conosce e sa cosa c’è dietro i miei silenzi e il mio modo di fare. La mia compagna mi conosce abbastanza bene, sta piano piano comprendendo come sono, ma credo non capirà mai fino in fondo, chi sono, come io non capirò mai, lei, fino in fondo, perché non abbiamo vissuto e conosciuto il bambino e la bambina che eravamo e siamo stati.

 

Voglio concludere ricordando l’importanza della prevenzione.

 

PREVENZIONE

 

Non è importante solo per la donna, ma anche per l’uomo. La paura è un piccolo mostro che se lasciato libero di crescere può mutare e diventare qualcosa di terribile. Non aver paura, in questo caso, è la strada per vivere la vita.

 

 

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natodallatempesta0 più di un mese fa

 

Immagino capiti anche a voi di destarvi dal sonno e, poi, rimanere a letto, ad ascoltare i rumori che attorno si alternano, c’è ne uno che assiduamente è sempre presente:

 

 

TIC TAC TIC TAC TIC TAC

 

Il tempo! Torna sempre, perché è sempre presente.

 

Ogni frazione di tempo è importante e va sfruttata al meglio. Ecco un esempio di frase fatta.

Durante il giorno ci sono tante cose da fare, tante o poche, secondo i casi e la natura intima, persone da incontrare.

 

In questi giorni sto ricollocando, ridistribuendo gli spazi nel mio studio.
La matematica dice: Che il volume, ossia la misura dello spazio occupato da un corpo, non può variare una volta occupato per intero. Ergo: per qualcosa di nuovo che entra, qualcosa di vecchio deve uscire.

 

Le novità.

 

A detta di chi mi conosce non le so gestire se sono impreviste e imprevedibile. L’essere messo in dubbio è stata una costante fin da piccolo e continua ancora oggi ad esserlo. E non è facile, perché poi tutto questo, rimane rinchiuso, l’armatura non la togli più. E ciò che ti porti come una catena, sempre, sono le domande. Domande a volte folli.

 

Il volume della nostra anima è infinito?
Quante informazioni, emozioni, sensazioni, afflizioni, incomprensioni, quanti oni può sopportare la nostra anima, prima che lo spazio, il volume, imploda?
Perché comincio a dubitare di quell’infinità, se mi guardo attorno.
Ma anche, solo, se mi guardo dentro.
C’è un disequilibrio evidente tra i volumi che riempio io, con la comprensione e il perdono a volte e i sensi di colpa e i rimpianti altre e i volumi che riempiono gli altri e per quanto vecchio faccio uscire, quello spazio è sempre colmo.

 

Il tempo come ho scritto deve essere speso bene.
Anche quello che si dedica qui, se no si sminuisce ogni cose che si scrive, ogni citazione rubata ai saggi, ogni poesia, canzone e immagine sottratta, spesa per comprare un’inafferrabile valore.

 

Si arriva prima o poi a dover scegliere, se sorridere o piangere.
Se esser felice della vita che ho o rassegnarmi a esser triste, perché la vita fa schifo.
Può esserci, anche, di peggio! O forse meglio.
Far finta di esser felice, ma dentro esser spezzati, ci sono momenti in cui prendo ago e filo e cucio, rimetto insiemi i pezzi e mi convinco che tutto va bene. L’auto condizione è una strada come le altre.

 

Cari amici, vi sembra sia troppo pessimista (che non sono) o disfattista o banale, questo ora sono e di certo non sarò solo questo. Perché esser felici significa amare ciò che di brutto e di doloroso c’è dentro di noi.
Un mare in tempesta.

 

 

C'era una volta un filo di cotone che si sentiva inutile. «Sono troppo debole per fare una corda» si lamentava. «E sono troppo corto per fare una maglietta. Sono troppo sgraziato per un Aquilone e non servo neppure per un ricamo da quattro soldi. Sono scolorito e ho le doppie punte... Ah, se fossi un filo d'oro, ornerei una stola, starei sulle spalle di un prelato! Non servo proprio a niente. Sono un fallito! Nessuno ha bisogno di me. Non piaccio a nessuno, neanche a me stesso!». Si raggomitolava sulla sua poltrona, ascoltava musica triste e se ne stava sempre solo. Lo udì un giorno un mucchietto di cera e gli disse: «Non ti abbattere in questo modo, piccolo filo di cotone. Ho un'idea: facciamo qualcosa noi due, insieme!
Certo non possiamo diventare un cero da altare o da salotto: tu sei troppo corto e io sono una quantità troppo scarsa. Possiamo diventare un lumino, e donare un po' di calore e un po' di luce. È meglio illuminare e scaldare un po' piuttosto che stare nel buio a brontolare».
Il filo di cotone accettò di buon grado. Unito alla cera, divenne un lumino, brillò nell'oscurità ed emanò calore. E fu felice.

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natodallatempesta0 più di un mese fa

 

Ieri un viaggiatore, mi ha domandato se mi interesso di spiritualità?

 

Sì! Un viaggiatore. Perché anche qui, la natura degli utenti si manifesta e identifica dal tipo di cammino che si intraprende.
Un viaggiatore, raccoglie esperienze ed ha sempre una strada in mente. Sono, di solito, ottimi compagni di riflessione. Gli utenti migliori qui dentro, i più interessanti e ricchi in un certo senso, perché condividono esperienza, il problema al massimo può esser la forma di condivisione che può in alcuni casi (pochi) esser criptica.
Ci sono poi: gli osservatori e i disturbatori o molestatori (la piaga di questo comunità, perché nella maggioranza sono sciacalli travestiti da pecore).

 

Se devo usare questa logica per definirmi, userei il termine: Ramingo.
Dall’antico ramenc: “che va di ramo in ramo”, ossia che va errando senza meta.
Ed io come un ramingo, per sorte, per irrequietezza, per una sorta di spiritualità avversa, mi ritrovo ad errare senza volerlo, senza un luogo preciso da visitare.

 

Ramingo nella mia terra.

 

Per rispondere all’amico viaggiatore.
Chi non ha mai puntato gli occhi verso la spiritualità?
Primo o poi tutti si trovano dinanzi ad un’altare, a d’espiare un dolore.
Perché è il dolore che richiama lo spirito e quando si rimette tra le mani, un’anima sofferente, si ci ritrova a mani giunte a pregare.

 

La preghiera. Vero simbolo di spiritualità.

 

Non ho avuto da bambino un buon rapporto con le figure religiose, sia mio padre, che mia madre non hanno mai fatto cenno agli insegnamenti religiosi. Mio padre nelle poche volte che ha accennato il discorso, ha palesato un marcato scetticismo, mentre mia madre ha dimostrato di avere fede, ma quella fede dottrinale che si accetta per cosa fatta, senza un’intima comprensione dei reali valori che nascondono le parole.

 

Le scuole primarie le ho frequentate presso un istituto religioso, un oratorio per esser precisi, dedicato a San Giuseppe, oggi non più esistente (per fortuna) e quello che ricordo di quelli anni, sono le sberle del prete e preside della scuola, i ceci sulle ginocchia e un cupo e inquietante Cristo intrappolato in una buia stanza, poi scoperto esser la cappella della scuola.

 

Mia nonna, finché era in vita ha provato con i propri mezzi a insegnarmi che significa credere, non aver fede, ma che significava per lei esser cattolica e credente.
Ed ho trovato, una consapevolezza postuma, grande saggezza nel suo avvicinarmi alla fede, perché non ha imposto, né detto: così si fa.
Questo! Mi ha lasciato il cuore libero. Quando poi gli studi mi hanno avvicinato alla filosofia e alla storia, leggendo e approfondendo, sono riuscito a costruire una mia comprensione della fede e dell’amore.
Questo, oggi, mi porta ad affermare che c’è spiritualità in tutte quelle confessioni (per restare in tema) che servono alla nostra anima per comprendersi.
In un certo modo e qui, spero di non esser blasfemo e non urtare nessuna sensibilità, si vive una trinità terrena che trova luce in tre parole: Fede, Amore e Vita. Se ami qualcuno e vivi la vita con la fede verso il legame tra te stesso e l’altra o l'altro, sei in spirito, mente e corpo, vicino a Dio, indipendentemente da qualunque volto o nome sia dato a quel Dio.

 

La spiritualità intesa come interesse verso la natura divina delle cose, invece, è ben diversa e racchiude secondo me un’interesse intellettuale delle persone, che trascende la curiosità verso un senso di scoperta che è più mentale, empirico in alcuni casi, che passionale ed emotivo.
Vivo questo aspetto, più come una ricerca del buono c’è in giro o c’è stato.

 

In questo i testi sacri sono miniere d’oro, ma anche molti esempi di vita comune e non comune, che sono trascrizioni su cuore di gesti e atti d’incommensurabile amore.

 

Chissà, se sono riuscito a dare una risposta alla domanda dell’amico viaggiatore?

 

 

 

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natodallatempesta0 più di un mese fa

Oggi per un impegno sono uscito di casa prima del sorgere del sole, vivendo in un paesino, alcune necessità che non trovo dove vivo, come già sottolineato, richiedono lo spostamento verso la città.

 

Mi sono ritrovato, quindi, a vivere il passaggio dal buio della notte alla luce del giorno: L’alba.

 

Capita spesso e quando un evento è ripetitivo, tende a perdere importanza, interesse, diventa abitudine, non ci si fa più caso.

 

Il buon Einstein diceva: “Chi non è più in grado di provare né stupore né sorpresa è per cosi dire morto; i suoi occhi sono spenti.”

 

Oh cielo!!! Sono uno zombi e non lo sapevo!!!!!! 🙂

 

risateScena ripresa dal film: Fra Diavolo.


E invece no!!! Oggi per la prima volta dopo tempo, dopo tante volte che faccio questa strada, mi sono fermato ad ammirare l’alba. La fugacità di quel momento mi ha spinto a bloccarmi ed ascoltare l’istante.

 

Forse è per questo che gli inni alle meraviglie del sentire si chiamano: Odi.
 

La poesia vissuta nella sua integrità di voce, di vista e udito.
La suggestione è ancora più marcata perché c’è il mare a far d’orizzonte alla nascita del sole, lo specchio vivo espande e riflette tra le nuvole la luce che piano piano costringe il buio a svanire, annichilato da tanta potenza.

 

7 Novembre 2022

 

Potrei fermarmi qui e non scrivere altro, il post tutto sommato è carino, con quel pizzico di poesia in più, che basta a regalare una piccola emozione.

 

Ma qualcosina, ancora, avrei da dire su quell’essere zombi.

 

la-notte-dei-morti-viventiScena ripresa dal film: La notte dei morti viventi.


Perché è facile, quasi scontato, riportare quella sensazione nella quotidianità, riflettere e scoprire quello che già sai, che a forza di baciare la nostra compagna o nostro compagno, di far l’amore, tutto diventa ripetitivo, perde interesse e piano piano un giorno non ci fai più caso.

 

Quasi, quasi al ritorno le compro un bel mazzo di fiori, non c’è nessuna ricorrenza e forse proprio per questo avrà più valore, lo stesso di quell’alba appena passata.

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natodallatempesta0 più di un mese fa

sindrome-anton

 

Sapete quando si comincia a capire che non si è più giovani?

 

Io l’ho capito nel momento che mi sono ritrovato nel comodino due astucci, uno per gli occhiali da lontano, uno per gli occhiali da vicino.

 

Ho avuto bisogno degli occhiali fin da giovanissimo ed è stato per la mia indole, lento, il processo di accettazione. Agli inizi non li indossavo se non a casa quando dovevo studiare.
Provavo vergogna, ero giovane, 14 anni. un’età piena d'incertezze e scoperte.
E seppur ero attento e tra quelli più bravi, tanto da esser etichettato e inserito tra i secchioni della classe, per la massa ero il ragazzo silenzioso, non tanto sveglio, imbranato.
Sapevo che se mi fossi presentato a scuola con gli occhiali da vista, sarei stato preso in giro e questa consapevolezza, questa paura, scaturiva dal fatto che già quotidianamente, bastava per provocare lo scherno, il mio modo di parlare, la mia capigliatura e i miei vestiti, anche se non erano poi differenti da quelli indossati dal resto dei miei compagni, solo che io li indossavo male :-).
Ad un certo punto, però, ho dovuto per necessità di cose e salute, indossarli, da quel giorno non li ho più tolti.

 

Se dovessi, quindi, definire quegli anni e scegliere un termine per descriverli, non userei parole positive, non userei ad esempio il vocabolo: “felicità”, purtroppo. E devo scrivere con rammarico che sono state più cattive la compagne, seppur non abbiano mai usato violenza fisica, come è capitato qualche volta con i maschietti e me ne dispiace, perché la donna merita per la sua storia un incondizionato sostegno.

 

La parentesi aperta sulla mia adolescenza doveva esser più breve, ma va bene, scrivo quel che mi sento e non m’importa dei giudizi, delle banalità che possono scaturire da chi vede in quel che scrivo un prosaicismo o prolissismo un pò marcato.
Oggi, non potrei fare a meno degli occhiali, di tutti e due. 🙂

 

 

Per chi è abituato a leggere e ha basato e basa il proprio lavoro su questo e in generale sul leggere qualunque cosa è trascritta o disegnata su un foglio di carta, la vista è fondamentale.
E se non si preserva non si può godere della lettura di un buon libro, magari la sera, come alternativa alla tv, allo sproloquio sempre più vivo e irritante che essa presenta ai suoi spettatori.

 

Ieri ne stavo continuando uno: Non lasciarmi di Kazuo Ishiguro.

 

Ho sempre amato i racconti con un pò di irrealtà dentro, quella che va oltre il presente e sfida le regole e le dinamiche del futuro. Ieri leggendo mi sono ritrovato a riflettere sulla cecità.
Da qui, forse, lo spunto che mi ha portato alla parentesi degli occhiali. Una cecità fisica ma non solo.
Una cecità verso ciò che conosciamo, che apparentemente vediamo come chiaro e limpido.
Mi rendo, invece, conto che sono cieco verso tante realtà, tante superfici che una volta toccate mi portano a scoprire facce nuove, substrati che non avevo neanche idea, fossero lì.
Il problema è, che sono convito che quella superficie è, come la vedo e arrivo anche a litigare per sostenere che è così come la guardo. Per poi renderti conto che sono un’idiota e litigo ancora, perché l’orgoglio mi porta a giustificare, ciò che era il mio pensiero, la mia convinzione.
Ma credetemi cerco di arrivare a quello spazio comune che porta alla riconciliazione, indipendentemente dalla superficie infranta, ma a volta giunge prima il BASTA, finiamola qui.
E dopo ho la sensazione di ritrovarmi in un futuro diverso.

 

 

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