Miss Europa e le allegre comari di Piazza del Popolo
“Ma che cosa sono le leggi, illustre rappresentante del P.M., se non esse stesse ‘correnti di pensiero’? Se non fossero questo, non sarebbero che carta morta... “
Piero Calamandrei, giurista, avvocato e deputato socialista, 1957
Per la premier l’Europa di Ventotene non è la sua Europa. E bon, ce ne faremo una ragione. Non vedo il motivo di rovinarsi l’ugola, come stanno facendo da un paio di giorni i parlamentari dell’opposizione, per frasi dal sen fuggite tese solo a ribadire che lei con certi passi del Manifesto, tra cui ad esempio quello nel quale si invoca una rivoluzione socialista in Europa, non ha niente da spartire.
Sai la novità: è di destra, è cresciuta nell’MSI di Almirante, nel corso del tempo ha provato, seppur tra balbettamenti, silenzi, distinguo e acrobazie verbali, a riciclarsi come democratica e antifascista ma, gratta gratta, la “punzonatura” è quella. Come si può pretendere che le piaccia la”rivoluzione socialista”? “Chi nasce rotondo non muore quadrato” si dice dalle mie parti e questo può valere per la stragrande maggioranza dei politici, ma non solo: provate a far dire ad un comunista trinariciuto della “vecchia guardia”, ma che da anni ormai in pubblico fa professione di sincera socialdemocrazia, che il regime sovietico è stato solo il dominio di una oligarchia burocratico-militare ottusa e feroce e vi arriverà, rompendo il muro del suono, una sfanculata megalattica.
Tutto ciò però i politici italiani del centro-sinistra lo sanno bene e se strepitano ad ogni peto silente e inodore dei loro colleghi della maggioranza è perché oggi la politica, qualunque sia la maglia che indossi, non si fa con gli argomenti, si fa con gli schiamazzi fini a se stessi. A parti invertite non cambierebbe nulla, ma questo è un fattore, figlio della dialettica parlamentare trepalleunsoldo in auge in Italia da oltre un trentennio, che se per l’elettorato italiano di destra o per i simpatizzanti della sinistra cd. “antagonista” ha ben poca importanza, abituati entrambi come sono – dopo Mussolini e Berlusconi l’uno e dopo gli anni settanta gli altri – a vivere la politica per slogan urlati, frasi fatte e semplificazioni da asilo mariuccia, per la sinistra riformista rappresenta invece il preoccupante termometro di una involuzione e di uno scadimento profondi del suo linguaggio e della sua azione.
Ora, sulla seconda forse c’è ormai ben poco da fare, visto che i precedenti nove - dicasi nove - governi di centro-sinistra che abbiamo avuto dalla fine degli anni novanta ad oggi, si sono distinti, ad onta del nome, più per le politiche liberiste e i tagli alla spesa sociale che per altro, rompendo così, forse in maniera irreversibile, il cordone ombelicale con il loro elettorato di riferimento (la cartina al tornasole di quanto sopra è oggi un partito post-fascista al 30%), ma sul linguaggio ci sarebbe ancora tempo per recuperare una parte del predetto cordone ripristinando una tradizione fatta di politici pacati ma fermi, opimi di cultura e competenza, intransigenti nella difesa dei loro valori ma che di rado, e quasi sempre a ragion veduta e per il tempo strettamente necessario, alzavano il volume delle corde vocali.
Perché poi il problema non è solo “estetico” ma anche di “comprensione del testo”, oserei dire: le parole, si sa, “sono pietre” ma quando vengono scagliate alla pene di cane rischiano di confondere e smarrire coloro che le ascoltano, inducendo ad esempio “er glorioso popolo democratico e desinistra” ad organizzare una manifestazione oceanica a favore della UE, con balli, canti, sventolio di bandiere, discorsi appassionati dal palco, sfilata di esponenti della politica ,dello spettacolo e della migliore intellighentia progressista nonché di tutto il caravanserraglio che solitamente transuma per le strade in queste circostanze.
Tutto molto bello, molto emozionante, coinvolgente e commovente.
Ma fuori luogo.
L’Europa attaccata dalla Meloni, se dobbiamo attenerci strettamente alle sue parole, è solo quella di due dei tre “genitori” del Manifesto di Ventotene, ossia di Altiero Spinelli, comunista, e di Eugenio Colorni, socialista ( l’ultimo della “sacra triade”, ossia Ernesto Rossi, era liberale). Quella, cioè, che sognava la già citata “rivoluzione socialista” e l’avvento di un regime molto simile a quello sovietico: “La rivoluzione europea dovrà essere socialista”; “…la proprietà privata dovrà essere abolita, limitata, corretta, estesa caso per caso”; “…attraverso questa dittatura del partito rivoluzionario si forma il nuovo Stato”.
Niente a che vedere , quindi, con la UE turboliberista, e ora pure turbomilitarista, nata a Maastricht dopo la Caduta del Muro: vestale del Dio Mercato, consorteria gaudiosa di alta finanza, politica corriva e imprenditoria di rapina, affamatrice dei popoli dell’ovest, sfruttatrice di quelli dell’est e Moloch famelico molto poco democratico, con un Parlamento buono solo a foraggiare lautamente i suoi membri - ma che in pratica conta nulla o quasi - ed una Commissione, vera tolda di comando della baracca, che nessuno può sfiduciare e che i soldi che non vuole spendere o far spendere in welfare e servizi, miracolosamente li trova per fabbricare missili, bombe, aerei da combattimento e carri armati.
E’ per questa UE che è sceso in strada a Roma “er glorioso popolo”? Per metà sì e per metà no. L’altra metà, che “er glorioso popolo” lo schifa (diciamo le cose come stanno), era composta da politici e simpatizzanti di quegli stessi partiti di centro consguardoadestra (ogni riferimento a Renzi o a PiùEuropa è puramente casuale…) che attualmente stanno all’opposizione e i cui membri preferirebbero soffrire di dissenteria per sei mesi di seguito piuttosto che veder salire al potere, in Italia e in Europa, movimenti politici autenticamente di sinistra, portatori ed esecutori di programmi autenticamente di sinistra.
E dunque? Non avevano capito bene contro chi, con chi e per cosa si doveva manifestare? Ci sono stati errori di comunicazione, come nella sciagurata carica della cavalleria britannica a Balaklava? No, semplicemente c’è stato un fraintendimento: alla Meloni non piace l’Europa di Spinelli ma quella di Orban siamo certi che le piace da morire, invece partiti ed elettori del PD e “isole comprese”, a partire dal promotore Serra, hanno capito che lei era “contro la (Dea) Europa” tout court. E così la frittata è stata servita. Anzi, come scrive oggi sul F.Q. il portavoce di Potere al Popolo Giuliano Granato prendendo in prestito un’espressione del giornalismo d’oltre Manica, l’aringa - intesa come “arma di distrazione” da altre questioni ben più importanti e imbarazzanti - è stata servita e i deputati dell’opposizione, more solito, ci sono cascati. Urlatori e pure babbioni, insomma.
Ora vallo a dire fra un paio di lustri ai figli o ai nipoti che un giorno di tanti anni fa hai marciato, fiero ed entusiasta, a fianco di eroici europatrioti come Matteo Renzi, padre spirituale di quel sublime capolavoro di precarietà pro padronato noto come Job Act.