Il secolare dilemma tra cultura e censura: il caso Gergiev
Chi pensava che dopo l’omicidio del filosofo Giovanni Gentile, giustiziato dai partigiani dei G.A.P. nel 1944 per la sua “consustanzialità” col fascismo - di cui è stato un importante teorico ed esponente di governo - fosse ormai chiara a tutti nel nostro Paese la distinzione, quando si giudicano illustri esponenti della cultura vicini a regimi politici autocratici, dell’intellettuale dal simpatizzante, si sarà dovuto ricredere dopo le virulente e sdegnate prese di posizione contro l’ invito fatto dal Presidente della Campania De Luca al Direttore d’orchestra Gergiev , grande musicista ma anche grande amico di Vladimir Putin.
Gentile pagò con la vita le sue aderenze incondizionate alle scellerate politiche mussoliniane ma chi lo assassinò avrebbe dovuto mettere sul piatto della bilancia, prima di privare l’Italia di un tale pensatore di altissimo livello, le sue responsabilità nell’appoggio al regime fascista e i suoi meriti.
Questi ultimi furono obiettivamente enormi: padre del neoidealismo italiano, cofondatore dell’Enciclopedia Treccani, Presidente dell’Accademia dei Lincei, autore di numerosi trattati e ispiratore di una importante riforma della scuola che porta il suo nome e che ancor oggi da molti - compresi intellettuali di area marxista come Diego Fusaro - viene ritenuta superiore a quelle succedutesi nell’Italia del dopoguerra, Giovanni Gentile fu l’ultima, grande espressione della scuola filosofica italiana, che dopo di lui non ha prodotto personalità della medesima statura intellettuale.
Prova ne sia che, consapevole di ciò, il CLN all’epoca, con l’eccezione dei comunisti, condannò senza mezzi termini il suo assassinio, nella convinzione che i G.A.P. della Toscana, uccidendo il filosofo siciliano, avessero privato la Nazione di un personaggio dalle virtù culturali infinitamente superiori alle sue mende ideologiche.
La storia si sta ripetendo con il maestro Gergiev: il musicista non ha ucciso nessuno, non ha torturato o bombardato nessuno e nessuno ha spedito nelle carceri e nei gulag del dittatore russo, eppure dovremmo privarci del piacere di ascoltare una orchestra diretta da un gigante della musica classica come lui perché lo berciano le Picierno e i suoi ascari.
Ragionando come costoro ragionano, a questo punto perché non ostracizzare anche gli scritti e la memoria stessa di un colosso della drammaturgia come Luigi Pirandello, grande adoratore del fascismo e di Mussolini? Pirandello fu un convinto assertore della dittatura fascista e non ebbe mai il benché minimo dubbio sulle politiche e sulle scelte del Duce. Per averne conferma basta consultare le biografie dedicategli dagli studiosi nel corso degli anni , prima tra tutte “Il gioco delle parti” del suo conterraneo Matteo Collura.
Pirandello a parte, la Storia poi è piena di poeti, scrittori, filosofi e artisti amici e consiglieri di dittatori, tanto da poter ritenere a ragione che se si volessero condannare all'oblio i loro nomi, enciclopedie, monografie e manuali scolastici subirebbero una drastica cura dimagrante.
Una democrazia matura separa le opinioni e le simpatie politiche dell’intellighentia dal giudizio sulla statura e sulle opere dei suoi protagonisti. Ma nel Belpaese è lezione che dobbiamo ancora mandare a memoria...