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Giovanni Fattori, Autoritratto (1884); olio su tela, 58×49 cm, Galleria d'Arte Moderna, Firenze. In basso a destra la firma: Giov Fattori // 1884.
Giovanni Fattori (Livorno, 1825 – Firenze, 1908) è stato un pilastro del movimento dei Macchiaioli, rivoluzionando il panorama artistico dell’Ottocento. Capace di dominare vari generi pittorici, Fattori ha approfondito la tecnica della "macchia", dando vita a un’importante rivoluzione stilistica. Accanto a questa ricerca, ha trattato il ritratto, il paesaggio en plein air, la vita rurale e, in particolare, la Maremma, un luogo simbolo di un mondo contadino che egli amava e che poneva in contrapposizione alla modernità urbana. Le sue opere militari, inoltre, sono un'accurata esplorazione delle Guerre d'Indipendenza e della vita di guarnigione, tra epiche rappresentazioni e momenti più intimi.
Giovanni Fattori, Autoritratto (1854); olio su tela, 59×47 cm, palazzo Pitti, Firenze. Si tratta della prima esperienza artistica significativa del Fattori, che qui sceglie di raffigurarsi con un atteggiamento disinvolto e brioso
Duecento anni dalla nascita di Giovanni Fattori, il maestro che ha saputo dominare tutti i generi pittorici, dalle prime ricerche sulla macchia ai paesaggi en plein air, dai soggetti di vita rurale alle scene che esaltano la Maremma.
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Si può rinascere in ogni momento se sappiamo vivere con il ritmo delle stagioni, del tempo, dell’amore, della natura. Romano Battaglia
La posa della prima pietra risale al 1569 e la consacrazione avvenne già nel 1573; considerate le dimensioni imponenti della chiesa, i lavori di costruzione durarono diversi anni, tanto che la facciata venne ultimata solo nel 1792. La chiesa, il monastero e il collegio di S.Agostino di Piacenza facevano parte di un unico complesso di edifici che venne a formarsi lentamente nel corso dei secoli. La scelta di quest’area fu determinata dal fatto che, nel XVI secolo, Pier Luigi Farnese s’impadronì del territorio occupato dai Lateranensi, attualmente incluso nell’Arsenale. Ad indennizzo dell’esproprio, i religiosi ricevettero il monastero dei SS. Giovanni e Paolo, che si affrettarono a demolire per costruirvi un nuovo monastero e l’adiacente chiesa dedicata a S. Agostino, che venne così ad occupare l’antico castello visconteo di S. Antonino che era stato demolito nel 1550. La chiesa mantenne la propria funzione fino al 1734, quando fu adibita ad ospedale militare e come tale fu utilizzata fino al 1799. Poi nel 1801, con la soppressione della Congrega Lateranense, la chiesa di S. Agostino fu definitivamente destinata a magazzino militare, con tanto di scuderia e maneggio, fino agli anni ’90, con la dismissione da parte del Ministero della Difesa. Il complesso è caratterizzato dalla grandiosa chiesa a cinque navate e dai due grandi chiostri del convento, che si impongono per la classica linea architettonica tipicamente cinquecentesca e, pertanto, è di grande interesse per la storia del vasto movimento edilizio promosso durante i secoli scorsi dagli ordini monastici del piacentino.
Nel transetto, illuminato da due elegantissime serliane, si apprezzano eleganti affreschi del Malosso con un’Annunciazione.
Lunetta, ai lati della serliana, fu affrescata un'Annunciazione da Giovan Battista Trotti detto il Malosso (Cremona 1556-Parma 1619), discepolo di Bernardino Campi, impegnato lungamente a Piacenza (1583-1615). È andato purtroppo perduto nei bombardamenti del 1945 l'affresco del refettorio, opera di Giovan Paolo Lomazzo (Milano 1538-1600) noto per il celebre trattato sulla pittura e i suoi rapporti con Leonardo.
Chiusa al culto da circa due secoli, ora appartenente al demanio dello Stato, è stata utilizzata per mostre ed esposizioni fino al 1985. Annesso alla chiesa è stato edificato un vasto complesso monastico dall'ordine dei Lateranensi, da anni destinato a caserma, e precedente alla costruzione della chiesa di cui viene posta la prima pietra nel 1569 e che sarà consacrata già nel 1573.
La Chiesa di Sant’Agostino e le mostre d’arte e antiquariato
Ora di proprietà del Demanio militare, la chiesa fu restaurata a più riprese per diventare un luogo per mostre d’arte e di antiquariato. È un monumento che racconta una storia di devastazione e rinascita, una testimonianza della forza della fede e della cultura di una comunità. Le statue decapitate all’interno della chiesa rimangono come un monito contro l’intolleranza e un invito a preservare la nostra eredità storica e culturale, anche nelle situazioni più turbolenti.