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trillyina 11 marzo

 

Sul retro 

Giacomo Balla 

Marcia su Roma 

1931-1933

 

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trillyina 11 marzo

 

 

Tra il febbraio 1913 e il gennaio 1914 Giacomo Balla si concentra su una serie di opere dedicate al tema della velocità dell’automobile, probabilmente attratto dalle sperimentazioni nell’ambito del fotodinamismo e sulla scia delle formulazioni scientifiche di Einstein, che all’inizio del Novecento stravolgono il modo di pensare spazio e tempo. Nella grandiosa tela, Velocità astratta, si percepisce l’interesse dell’artista nella rappresentazione del movimento, attraverso linee sintetiche e diffrazione della luce, che lo conduce verso l’eliminazione dei colori e l’astrazione delle forme. Negli anni Trenta, sperando di ottenere nuove commesse, Balla rovescia la tela, estendendola lungo il bordo inferiore, e dipingendo sul verso una monumentale Marcia su Roma, un’inquadratura fotografica del Congresso di Napoli del 1922 che ritrae il Duce accompagnato dai Quadrumviri. L’opera, da lui definita “un grande quadro patriottico”, non avrà la fortuna sperata, così solo nel 1935 Balla ne riporterà alla luce il recto della tela.

 

 

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Il dipinto si colloca in una fase successiva alla celebre stagione impressionista degli anni Settanta dell’Ottocento. Al 1881 risale una prima versione dell’opera (conservata presso lo Sterling and Francine Clark Art Institute, Williamstown) che differisce per misure e declinazione cromatica dello sfondo. Il dipinto venne commissionato a Renoir dal mercante Durand-Ruel, che al tempo lo rappresentava e che era rimasto favorevolmente colpito proprio da quella prima stesura. La modella è Aline Charigot, compagna e poi moglie dell’artista, che in più occasioni posa per lui, mentre lo sfondo allude, a detta dello stesso Renoir, alla baia di Napoli. La tela segna un cambiamento importante nell’opera del pittore, che prende avvio da un viaggio in Italia e dall’incontro con l’arte antica e con le opere di Raffaello. Questa esperienza lo porta a elaborare disegni dai contorni più definiti e forme particolarmente scultoree che nel dipinto vengono associate alla resa ancora impressionista dello spazio naturale circostante.

 

 

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Nu couché rientra tra la serie di opere realizzate da Modigliani nell'appartamento parigino di rue Joseph Bara 3, che il suo mercante Zborowski aveva affittato nel 1916 per consentire all’artista di concentrarsi sulla produzione. Se negli anni della sua formazione tra Firenze e Venezia Modigliani aveva lavorato molto sul nudo, a Parigi l’artista dapprima evita il tema. Il nudo era considerato troppo “accademico” negli ambienti dell’avanguardia e dalle nuove correnti artistiche. Modigliani lo riprende solo più tardi, una volta conclusa la famosa serie delle Cariatidi quando, con la famosa mostra personale alla galleria parigina Berthe Weill, sospesa dalla polizia per “oltraggio al pudore”, inizia la stagione dei grandi nudi. In Nu couché l’artista ritrae una modella semisdraiata su un sofà a mani giunte con le sue morbide linee definite da un segno scuro che separa il corpo dalle campiture di colore quasi astratte dello spazio circostante. Il nudo è rappresentato da Modigliani nella sua purezza attraverso una sensualità femminile che suggerisce anche controllo e sfida.

 

 

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Questo ritratto è stato per anni identificato come lo schizzo preparatorio della grande tela di Manet che fece scandalo al Salon parigino del 1865 perché ritraeva la prostituta Olympia e la sua domestica (oggi conservata al Musée d’Orsay di Parigi). Solo in anni recenti si è compresa la modernità del dipinto in quanto ritratto autonomo. Sulla base di un appunto su un taccuino dell’artista, la modella è stata riconosciuta come Laure, giovane donna dalle origini antillane, vissuta a pochi passi dallo studio parigino di Manet. Partendo dall’analisi del titolo, la storica dell’arte Griselda Pollock nel 1999 ha riportato l’attenzione sul riferimento alla schiavitù abolita definititvamente in Francia nel 1848. Manet, certamente consapevole degli immaginari della pittura orientalista da Delacroix ad Ingres, sceglie un soggetto all’epoca secondario, allontanandosi così dalle convenzioni di impronta accademica. Con poche pennellate, cattura l’espressione del volto di Laure, lasciandone trasparire lo stato d’animo e muovendosi verso una nuova modalità di confronto con la realtà, volta ad una resa più diretta e naturale del soggetto rappresentato.

 

 

 

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