Oggi mi sono svegliata con
questo verso in mente."non
amo che le rose che non
colsi". Chissà il mio cervello
da dove l’ha tirato fuori.
E'una poesia di Gozzano,
Cocotte, del 1911, e se
dovessi dire, giurerei di
non averla mai letta
prima. E’ bella, nella sua
bellezza stantia e superata,
polverosa di fiori secchi
conservati nelle pagine di
un libro, di ricami ingialliti
e guanti di capretto.
Riporta secoli bui in questa
pianura piemontese,in cui il
vecchio continuamente
muta, in cui tutti sono così
dannatamente affaccendati
e attivi da non permettere
alla polvere di posarsi.
Il cervello è come una polla
d’acqua profonda, da cui
sgorgano flussi, onde, reti,
rami che si allungano, foglie
marce e schiuma. Difficile
riconoscere i legami, trarre
significati da queste raccolte
di oggetti eterogenei. E’ un
po’ una lettura da indovini,
un’opera da sibilla, il mettere
insieme, ordinare, dare un
senso a quello che resta
nella rete della coscienza,
magari vuota di pesci utili,
ma piena di perle sconosciute.